Capovolgere la medicina, ieri e oggi
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- 5 Maggio 2014
Non so se sia più o meno problematico ‘capovolgere’ (per usare i termini di Stefanini) la medicina di oggi rispetto a quella di ieri: l’unica cosa certa è che oggi qualunque capovolgimento non può che partire dalla medicina a impronta ‘contrattualistica’ attuale e non dalla medicina prevalentemente ‘paternalistica’ di mezzo secolo orsono.
Le analisi di Giulio Alfredo Maccacaro, risalenti ormai a mezzo secolo fa, hanno – come mostra la presentazione e discussione in Salute Internazionale di Angelo Stefanini – una doppia valenza : come acuto approccio di studio del rapporto tra medicina (dottrina e pratiche) e potere e come disamina della concreta strutturazione storica di tale rapporto.
Sotto questo secondo profilo molte cose della medicina, in Italia e dovunque, sono immutate ma molte sono cambiate. In modo schematico la medicina con cui ci si doveva confrontare mezzo secolo fa era ancora largamente di tipo ‘paternalistico’: dove la parola traduce nella latitudine dei suoi significati sia il ruolo sociale del medico, investito di potere di fatto poco discutibile sul paziente, sia il ruolo protettivo paterno ed empatico in cui sostanziava il meglio del rapporto interpersonale medico-paziente. Se faccio il paragone tra la medicina di allora, quale la ho vissuta nei miei anni di pratica clinica, e quella di oggi, quale la vive una delle mie figlie, scorgo nettamente la avvenuta transizione dalla medicina di ieri, di tipo prevalentemente ‘paternalistico’ a quella di oggi, di tipo prevalentemente ‘contrattualistico’. Troviamo in quest’ultima tre sviluppi principali e tra loro correlati.
Primo un’enorme espansione delle conoscenze fisiologiche e fisiopatologiche e delle tecniche diagnostiche e di intervento che induce in ambito didattico una accumulazione sempre più onerosa di cognizioni difficile da assimilare e trasformare in una formazione di base chiaramente e solidamente articolata. Su questa piattaforma più o meno solida o precaria si innesta direttamente un ventaglio sempre più largo di specializzazioni e sub-specializzazioni . È solo all’interno di ognuna di queste che il medico si sente a proprio agio quanto a competenze acquisite. In generale a livello disciplinare le filiere di specializzazione comunicano scarsamente, ognuna vive e avanza di vita quasi solo propria. Questo vale anche per tutto il settore sociale della medicina: anche dove esistono vivaci attività di ricerca e didattiche sui determinanti sociali di salute e malattia o sulla psichiatria sociale queste si configurano esse stesse come filiere specializzate – perché così opera il meccanismo generale di differenziazione disciplinare – in limitata osmosi da e verso le altre specializzazioni. Siamo ben lontani da quel ruolo di fondamento della medicina che evoca Stefanini.
Il secondo sviluppo è che a livello di pratica gli specialisti si trovano obbligati a uscire dal corridoio della loro specialità, a comunicare e ad agire in concertazione: se questa fallisce i risultati per i pazienti variano da sub-ottimali a catastrofici, se questa funziona i risultati sono positivi non solo per i pazienti ma anche per i medici che riescono a recuperare nella pratica una prospettiva piu’ comprensiva dei problemi della malattia e della salute.
Differenziazione specialistica e concertazione pratica tra specialisti sono trasversalmente innervate a tutto campo dal terzo sviluppo : la ‘normalizzazione’ (nel senso tecnico) via procedure formalizzate della pratica medica. Che si tratti di linee guida generali per il trattamento di una malattia o della formulazione locale dei percorsi diagnostico-terapeutici in un ospedale le procedure sono considerate ‘step-by-step’ prima in modo descrittivo-analitico e poi in modo prescrittivo, più o meno vincolante. Non raramente questa ‘normalizzazione’ non è ‘evidence-based’, nel senso che da ben intenzionati epidemiologi diamo a tale espressione, ma ha acquisito una forza di penetrazione e diffusione propria come strumento indispensabile per il controllo economico dei servizi sanitari e come fondamento di un rapporto contrattuale – da pari a pari almeno in linea di principio – tra il paziente/utente e il prestatore di servizio (contratto che ha in primo luogo rilevanza dal punto di vista assicurativo). Questa condizione migliora rispetto al passato le possibilità di un rapporto tra medico e paziente più reciprocamente partecipato e genuinamente empatico, anche se usualmente limitato da costrizioni di tempo a disposizione. Per il personale sanitario il controllo economico implica infatti quasi sempre, come per il personale di altri settori di attività, un controllo sulla ripartizione del tempo di lavoro: qualunque guadagno di tempo , quale ottenibile attraverso l’automazione di una procedura diagnostica, è riassegnato ad aumentare il numero di procedure per unita’ di tempo (il tempo è denaro) e non, ad esempio, il tempo dedicato al dialogo con il paziente o alla discussione e approfondimento dei casi. La burocratizzazione della medicina non è che un aspetto della burocratizzazione crescente, di cui Max Weber aveva visto già un secolo fa il contrassegno inesorabile delle società contemporanee, di tutte le attività professionali, nel privato non meno che nel pubblico. Se c’è un compito che i giovani medici di oggi vivono come vorace di tempo e frustrante è il carico di procedure burocratiche, che paradossalmente viene spesso aggravato anziché alleggerito da sistemi di raccolta e trattamento dei dati ottimizzati dal punto di vista ingegneristico-informatico anziché dal punto di vista del funzionamento del sistema a cui sono applicati (reparto ospedaliero, ambulatorio etc.). È poi un aspetto interamente aperto sul futuro quanto sulla spinta evolutiva della ‘normalizzazione’ una parte sostanziale delle funzioni delle professioni sanitarie sia destinata a essere rimpiazzata a medio termine da procedure algoritmiche e robotizzabili: il ‘mantra’ secondo cui questo scaricherebbe le professioni da funzioni di livello più basso e creerebbe quindi opportunità di lavoro più ampie, qualificate e soggettivamente soddisfacenti mi sembra cozzare contro l’elementare considerazione che in sistemi sociali in cui il profitto è il fattore-guida il personale viene essenzialmente calcolato come un costo da minimizzare.
Non so sia più o meno problematico ‘capovolgere’ (per usare i termini di Stefanini) la medicina di oggi rispetto a quella di ieri : l’unica cosa certa è che oggi qualunque capovolgimento non può che partire dalla medicina a impronta ‘contrattualistica’ attuale e non dalla medicina prevalentemente ‘paternalistica’ di mezzo secolo orsono.
Rodolfo Saracci, IFC-Consiglio Nazionale delle Ricerche, Pisa