Perché chiamarlo “male incurabile”?
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- 17 Settembre 2014
In campo oncologico spesso assistiamo all’abbandono del paziente quando la malattia non risente più delle “cure”, mentre la “cura” dell’ammalato deve necessariamente proseguire in tutte le fasi della malattia senza abbandono, fino alla fase terminale se questo sarà il suo esito. Il caso del cancro del polmone.
Francesco Cognetti ha recentemente presentato, alla presenza del Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, il volume ‘Il male incurabile. I progressi nella lotta contro il cancro e il nuovo ruolo della comunicazione‘ (Intermedia Ed.) edito dalla fondazione “Insieme contro il cancro”, di cui è presidente[1]. Cognetti si è rivolto ai media affermando che oggi non si può più parlare di “malattia incurabile” quando ci si riferisce al cancro, questo in base al fatto che il cancro non fa più paura come una volta grazie ai risultati ottenuti negli ultimi decenni che hanno visto aumentare il numero dei soggetti guariti per questa patologia che sono passati dal 30% degli anni settanta, al 47% degli anni novanta, fino al 60% di oggi. Il tumore del polmone non rientra però tra le neoplasie che negli ultimi anni hanno registrato i progressi riportati per altre neoplasie.
Il tumore del polmone rappresenta la principale causa di morte per cancro, è in progressivo aumento e si stima che nel 2030 rappresenterà la 3a causa di morte nei Paesi ad elevato reddito e la 5a causa nei Paesi a medio reddito [2]. Ancora oggi in più del 50% dei casi la diagnosi di tumore al polmone viene infatti fatta quando questa patologia ha già metastatizzato, con una conseguente sopravvivenza a 5 anni che supera poco più il 3%. Da sottolineare poi il fatto che negli ultimi decenni l’andamento delle curve di incidenza è rimasto quasi parallelo a quello delle curve di mortalità a dimostrazione che minimi sono stati i progressi per i tassi di sopravvivenza a 5 anni che si rimangono sempre fermi tra il 10-15% a seconda delle varie realtà[3]. Questo purtroppo anche se si considerano gli innegabili progressi che si sono avuti negli ultimi anni in tutti i settori terapeutici per questa neoplasia: la chirurgia che consente oggi interventi radicali anche a soggetti in età avanzata e con nuove tecniche mininvasive, la radioterapia che si avvale di nuove metodiche di trattamento sempre più mirate alla sola neoplasia e quindi molto meglio sopportate di una volta, l’oncologia medica che sempre più cerca di intervenire, soprattutto grazie alla target therapy, con trattamenti sempre più personalizzati e quindi efficaci.
Il tumore del polmone è, come tutti sanno, legato principalmente all’effetto cancerogeno del fumo di sigaretta; il cancro del polmone colpisce infatti, per l’84% dei maschi e per il 76% delle femmine, fumatori o ex fumatori, e nel 4% soggetti esposti a fumo passivo[4]. Si può così stimare che un fumatore corrente di 75 anni di età se ha una storia di fumo di 30 pack/year (cioè 20 sigarette al giorno per 30 anni) abbia il rischio di contrarre il cancro al polmone entro i prossimi 6 anni pari al 8,3%, e per lo stesso fumatore di 80 anni quello dell’11,7%.
Certo lo scenario attuale del tumore al polmone sarebbe ben diverso se il Sig. James Albert Bonsack non avesse ideato nel 1880 la macchina che prese il suo nome e che rivoluzionò l’industria delle sigarette, consentendo di confezionarne ben 200 al minuto. La lotta contro il fumo con fatica sta portando ad una lenta riduzione dei soggetti fumatori; ma i dati DOXA del 2011 ci dicono che ancora circa un quarto della popolazione italiana è rappresentato da fumatori (e tra questi molti giovani) e che, sommando a questi gli ex fumatori, che rappresentano il 15% della popolazione, ben 4 italiani su 10 sono ad oggi esposti al rischio di cancro del polmone per effetto del fumo[5].
Gli scarsi tassi di sopravvivenza per il tumore polmonare possono così spiegare perché siano stati favorevolmente accolti, almeno negli USA, anche se forse più del dovuto, i risultati ottenuti dal trial randomizzato NLST (National Lung Screening Trial) che ha mostrato che lo screening del tumore polmonare eseguito con Tc torace a basso dosaggio (LDCT) per 3 anni sia stato capace di ridurre la mortalità per questo cancro del 20% per i soggetti (adulti di classe di età compresa tra 55 e 74 anni, che avevano una storia di fumo di almeno 30 pack/year) sottoposti a LDCT rispetto a quelli che eseguivano lo screening con Rx del torace[6]. Così i risultati di un solo trial, anche se di grosse dimensioni come quello statunitense (sono stati coinvolti 53.454 soggetti e sono state eseguite 75.126 LDCT), hanno convinto le maggiori società scientifiche americane[7] nel iniziare lo screening con la Tc nella popolazione, anche se molte sono ancora le domande che attendono risposte. Fra queste ricordo, ad esempio, quali siano i fattori di rischio/criteri per individuare i soggetti asintomatici a cui proporre lo screening, quale debba essere la frequenza dei test e per quanti anni debba durare lo screening. In sintesi, rimane essenzialmente aperto oltre al problema di quali siano i soggetti da sottoporre allo screening, anche quello di come si possa ridurre l’elevato tasso di falsi positivi e di quanto possa incidere l’overdiagnosis (individuazione di un nodulo che è davvero un tumore maligno ma che non è destinato ad essere la causa di morte di quel paziente, perché cresce troppo lentamente) anche in considerazione del fatto che la sovradiagnosi può avere tassi particolarmente elevati nelle forme neoplastiche a crescita lepidica(*) che spesso rappresentano la lesione preinvasiva di adenocarcinoma[8].
Cognetti giustamente sottolinea di non utilizzare più il termine di “malattia incurabile” e di usare il termine “cancro”; in realtà già da anni si sarebbe dovuto abbandonare questo termine di “incurabile” almeno per un paio di motivi. Il primo perché una malattia non è mai “incurabile”, ma, al massimo, la si può considerare non guaribile come spesso ancora accade per il tumore polmonare. Specialmente in campo oncologico spesso invece assistiamo all’abbandono del paziente quando la malattia non risente più delle “cure” mentre la “cura” dell’ammalato necessariamente deve proseguire in tutte le fasi della malattia senza abbandono, fino alla fase terminale se questo sarà il suo esito. Penso che nella medicina di oggi sempre più raramente si riesca a trovare un’unica figura che abbia la capacità di accompagnare il proprio paziente per tutto il percorso della propria malattia, rispondendo così a quello che lo stesso paziente richiede. Si alternano invece più figure (il medico di medicina generale, l’internista, lo specialista d’organo, il chirurgo, il radioterapista, l’oncologo, lo psiconcologo e alla fine il palliativista) tutte apportando il proprio prezioso contributo, ma spesso purtroppo nessuno che sia capace di rispondere a quanto richiesto per la vera “cura” degli ammalati.
Il termine di “malattia incurabile” va giustamente sostituito col termine di “cancro”, ma sarebbe molto più onesto aggiungere quasi sempre a questo il termine quello di “malattia non curata”. Si deve abolire il termine di “malattia incurabile” e sostituirlo con quello di “cancro”, ma va anche osservato che ancora vi sono persone ammalate di cancro alle quali viene nascosta la diagnosi spesso con la complicità dei famigliari e/o dei medici che nascondono a fin di bene. Quando domando agli ammalati se, una volta arrivati alla diagnosi, vogliono essere informati direttamente, la risposta è però sempre positiva. Se comunque fortunatamente l’informazione sulla diagnosi è oggi raramente celata, quasi sempre è però nascosta la prognosi, soprattutto quando questa è infausta. Quando viene fatto firmare il modulo di consenso informato per iniziare qualunque trattamento si dovrebbe richiedere il “consenso” solo dopo avere dato una informazione che dovrebbe essere precisa e completa, oltre che comprensibile, e che dovrebbe scendere nel dettaglio delle probabilità che la terapia proposta possa essere efficace e di cosa potrebbe accadere nel caso in cui non lo fosse. Quando non è più possibile proporre un trattamento oncologico per lo scarso Performance Status a causa dell’evolvere del quadro patologico, spesso viene celata la verità dicendo che le cure potranno riprendere quando le condizioni miglioreranno, sapendo che questo non avverrà mai. Si deve quindi usare da ora in poi il termine di “cancro”, ma si deve anche formare il personale sanitario a gestire questo termine nel giusto rapporto che deve esistere con l’ammalato che non deve più subire il “furto” di una corretta e onesta informazione.
Nota
*La crescita lepidica indica un tipo particolare di proliferazione delle cellule neoplastiche che avviene tappezzando gli alveoli polmonari.
Andrea Lopes Pegna, primario pneumologo, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi. Firenze.
- Tumori. In 40 anni raddoppiate le guarigioni. Quotidiano Sanità, 24.07.2014
- Mathers CD, Loncar D. Updated projections of global mortality and burden of disease, 2002-2030: data sources, methods and results. PLoS Med 2006;11:e442
- Registro Tumori della Toscana
- Richards TB, White MC, Caraballo RS. Lung cancer screening with low-dose computed tomography for primary care providers. Prim Care Clin Office Pract 2014;41:307–330.
- Gli italiani ed il fumo. Istituto Superiore di Sanità
- Aberle DR, DeMello S, Berg CD et al. Results of the two incidence screenings in the National Lung Screening Trial. N Engl J Med2013;369:920-312.
- American Association of Thoracic Surgery, American College of Chest Physicians, American Society for Clinical Oncology, American Cancer Society, American Lung Association, Cancer Care Ontario, National Comprehensive Cancer Network, French Inter-/Oncology Group, French Inter-/Oncology Group.
- Patz EF Jr, Pinsky P, Gatsonis C et al. Overdiagnosis in low-dose computed tomography screening for lung cancer. JAMA Intern Med. 2014 February 1; 174(2): 269–274.
In merito all’articolo “una voce fuori dal coro” del volume – Il male incurabile. I progressi nella lotta contro il cancro e il nuovo ruolo della comunicazione – scritto dal Prof. Francesco Cognetti mi permetto di esprimere un personale commento.
Non credo che la comune opinione comprenda a pieno la differenza fra malattia “inguaribile” e malattia “incurabile”. La malattia si cura ma, non guarisce: preferiamo usare il termine curabile perché ci protegge dalla impossibilità di guarire e quindi di essere coscienti della “impotenza” che abbiamo nel combattere il cancro. In particolare il big killer, cancro del polmone, ha uno scenario di seguito rappresentato.
Percentuali di sopravvivenza a 5 anni:
– I stadio 50%
– II stadio 25%
– IV stadio 2% ( 10% a 2 anni )
In considerazione delle percentuali di sopravvivenza riportate in relazione agli stadi di malattia ne consegue, amio avviso, una modalità diversa di comunicare. Ogni singolo paziente esprime la propria “statistica”. – Lei ha il 10% di possibilità di vivere 2 anni..! – Quanti accetterebbero di sottoporsi a terapie, anche se con tossicità diverse, più o meno accettabili ?, cure che non La guariranno ?.
Per quanto riguarda la complicità dei familiari….. .Complicità: partecipazione a un’azione illecita, connivenza, favore, intesa.
Due sono i significati interpretativi del termine Complicità ….Primo: criminale che trova nel complice colui che partecipa all’azione riprovevole o la favorisce ……Secondo: sentimentale come rapporto di intesa profonda.
Io penso che la complicità del familiare vada intesa come il secondo significato e non altro.
Il dramma, il più delle volte tragedia, che vive il paziente non si può disgiungere dalla sofferenza del familiare che deve mantenere un atteggiamento equilibrato, soffocando l’emotività e la propria sofferenza.
Il diritto all’informazione non dovrebbe essere confuso con lo scarico di “responsabilità” da parte del medico oncologo. La gestione del paziente affetto da cancro è meno impegnativa quando è al corrente e cosciente della malattia, in modo completo.
Se la voce deve essere fuori dal coro, che sia anche un’altra musica.
Dal quotidiano lavoro di un medico oncologo: Dr. Carmine Santomaggio
A fine gennaio, In seguito ad un ricovero di tre giorni, per tutt’altro motivo, e’ stato riscontrato un addensamento al polmone destro.
gli hanno dato cento nomi, celandomi la verità, per cinque mesi, alla fine il 30 di giugno un radiologo gli ha dato nome e cognome, mi ha spiegato in maniera semplice e comprensibile quello che avevo e le probabilità’ di farcela.
Desidero sapere tutto quello che mi succede e perché’ ho diritto di vivere la mia vita, non nella menzogna, ma nella consapevolezza di quello che mi rimane da vivere e soprattutto in quale modo.
l’omerta’ fa parte di una finta pieta’ che non rende giustizia.
Noi malati di cancro abbiamo il diritto di sapere quello che ci riguarda, soprattutto se gli effetti saranno spiacevoli… la consapevolezza aiuta a sopportare o a rinunciare alla vita.
Desidero essere informata di tutto, non lo voglio scoprire quando e’ troppo tardi… e perché’ qualcuno si e’ arrogato il diritto di nascondermelo.
Se questo fosse un reato io lo denuncerei e dovrebbe pagare per questo furto… il furto della mia vita.
Sono d’accordo che il paziente debba essere informato sul decorso clinico ,ma anche essere aggiornato sulla terapia ed essere aiutato dal punto di vista del decorso sia che migliori o peggiori la sincerità secondo me aiuta ad affrontare la malattia si deve spiegare anche quello che lo aspetta quando si giunge alla fine