Dove va la sanità toscana

tagliGavino Maciocco

Ticket sui ricoveri ospedalieri e accorpamento delle 16 aziende sanitarie (12 ASL e 4 AO) in 3 grandi aziende di area vasta: questa la risposta a caldo della Regione Toscana ai tagli contenuti nella legge di stabilità. Sul primo punto è calato il silenzio, sul secondo si discute su delle supposizioni. La buona reputazione della sanità toscana e le riforme sistemiche portate avanti a fari spenti e finite nella sabbia. Finirà così anche questa volta?


Quando, a metà ottobre, si seppe che la legge di stabilità per il 2015 avrebbe comportato un taglio di ben oltre 4 miliardi di euro nei bilanci delle Regioni, in Toscana si calcolò che l’impatto sarebbe stato di meno 200-300 milioni di euro nel budget della sanità regionale. E prontamente il Presidente Enrico Rossi lanciò la sua proposta per fronteggiare la crisi: il ticket sui ricoveri ospedalieri e accorpamento delle 16 aziende sanitarie (12 ASL e 4 AO) in 3 grandi aziende di area vasta (vedi post).

Sul primo punto – il ticket ospedaliero – è calato subito il silenzio dopo una pioggia di critiche provenienti da tutte le parti; sul secondo punto – l’istituzione di tre grandi asl – si è discusso e si discute molto, ma solo su delle supposizioni. Dopo un mese dall’annuncio non è uscito alcun documento in grado di spiegare gli obiettivi, i risultati attesi, i percorsi di una riforma così rilevante e di sciogliere i problemi giuridici legati al superamento delle Aziende ospedaliere Universitarie (finanziate in base all’attività e ai DRG) e la loro fusione con le Asl (finanziate con quota capitaria). Tutto questo la dice lunga sul modo con cui vengono prese decisioni del genere.

Uno sguardo alla letteratura internazionale avrebbe dovuto suggerire molta cautela. Le grandi fusioni organizzative sono infatti ad alto rischio di fallimento, come è ben illustrato nel post di Marco Geddes del 24.11.2014. Alle autorevoli fonti citate nel post ne aggiungo un’altra.

“Dalle fusioni delle organizzazioni sanitarie ci si aspetta che portino vantaggi economici, clinici e politici. I vantaggi economici dovrebbero venire dall’economie di scala, in particolare dalla riduzione dei costi del management e dalla capacità di razionalizzare l’offerta. Tuttavia queste fusioni raramente riescono a raggiungere gli obiettivi stabiliti. (…) E’ stato osservato che nel periodo 1997 – 2006 su 112 fusioni di ospedali 102 non mostrarono alcun miglioramento della produttività, e neppure della posizione finanziaria”. Così scrive un recente documento del King’s Fund[1], la più importante istituzione di ricerca sanitaria britannica a proposito di modelli organizzativi del NHS, e conclude: “Le evidenze suggeriscono che quanto più alto è il grado di cambiamento organizzativo che si vuole ottenere, tanto maggiore è il rischio che il beneficio non sia raggiunto”.

Quest’ultima frase ci porta a una riflessione sui cambiamenti organizzativi tentati in Toscana dagli anni 70 in poi e sui risultati che ne sono seguiti.

I cambiamenti organizzativi in Toscana. Successi e fallimenti

Cosa ha funzionato. La Toscana, dalla riforma del 1978, ha più che dimezzato il numero degli ospedali (da 90 a 40). Ciò è avvenuto in gran parte – dalla Versilia alla Val di Chiana – attraverso operazioni di fusione che prevedevano la chiusura di piccoli ospedali e la costruzione di uno nuovo in posizione baricentrica. Si è trattato di un processo concentrato negli anni Ottanta e Novanta, con un’attività di programmazione duratura e meticolosa che ha coinvolto Assessorato alla sanità, Usl-Asl, Comuni e popolazioni locali. Ha funzionato, più recentemente, anche la concentrazione – prima su area vasta e poi su base regionale – di alcune attività amministrative, come l’approvvigionamento di beni e servizi o la gestione delle procedure per il pagamento del personale.

Cosa non ha funzionato. In generale non hanno funzionato i cambiamenti organizzativi di carattere sistemico.

  1. Transizione dalla 833/78 alla 502/92, ovvero il passaggio dalle Usl (40) alle Asl, di dimensioni provinciali. Si trattò di un passaggio assai sofferto che registrò la netta contrarietà dei Comuni che con la riforma nazionale perdevano il potere di gestione e con la dimensione provinciale vedevano allontanarsi anche il centro decisionale della sanità. Per venire incontro alle richieste dei Comuni il Consiglio Regionale approvò una riforma che introduceva una struttura organizzativa non prevista dalla normativa nazionale, la Zona: una struttura che corrispondeva alla dimensione geografica delle vecchie (e disciolte) Usl e individuava nel Responsabile di Zona il soggetto che si sarebbe interfacciato con la Conferenza zonale dei Sindaci, per gli aspetti collegati alla programmazione locale[2]. Occorse qualche anno per capire che la riforma non funzionava: la Zona depotenziava il ruolo della direzione aziendale, rallentava i processi decisionali e relegava i Distretti a semplici appendici organizzative. Le Zone vennero abolite nel 2002 (assessore alla sanità Rossi), con l’approvazione del Piano sanitario regionale, contenente – tra l’altro – i due punti seguenti.
  2. Le Società della Salute (SdS) furono lanciate nel 2002 come fondamentale strumento di riorganizzazione del territorio (dopo la liquidazione delle Zone), attraverso il consorzio tra Asl e Comuni, per dare più forza alle attività di prevenzione, per consentire un’effettiva integrazione tra settore sanitario e settore sociale e promuovere la partecipazione dei cittadini[3]. Un obiettivo tanto ambizioso, quanto mal governato, concluso con il fallimento, culminato con la decisione di porre fine a questa esperienza; e ciò sarebbe avvenuto se non ci fosse stata l’opposizione di un gruppo minoritario di SdS dove le cose avevano funzionato, con risultati evidenti, e dove la fine dell’esperienza avrebbe provocato dei danni. Alla fine si è giunti all’approvazione di una legge regionale di compromesso (n. 44/2014) che consente a un gruppo minoritario di SdS di proseguire il loro cammino. Con ciò si declassa ad eccezione una buona pratica (e lo si fa con una legge) e si dilatano a dismisura le diseguaglianze nell’organizzazione e nell’accesso ai servizi all’interno della regione. E non deve stupire che, ad esempio, in alcune realtà la sanità d’iniziativa raggiunga – come in Versilia (SdS) – oltre il 60% della popolazione e in altre – come nella città di Livorno – non si arrivi neppure al 10%.
  3. La programmazione di Area vasta rappresentò nel Piano sanitario regionale 2002-2004 l’altro forte elemento di novità: se con le SdS si decentrava il potere nella gestione del territorio, con le Aree vaste (facenti capo a Firenze, Pisa e Siena) si accentravano le funzioni di governo dell’assistenza ospedaliera. In particolare l’Area vasta avrebbe dovuto potenziare i centri di eccellenza, eliminare le duplicazioni e gli sprechi, favorire la creazione di dipartimenti interaziendali e la mobilità del personale (che sono le stesse giustificazioni con cui oggi si sostiene la necessità di creare 3 Asl di area vasta). Quasi niente di tutto ciò è avvenuto e col tempo della programmazione su area vasta si sono perse le tracce.

Se i precedenti punti 2 e 3 non fossero miseramente falliti l’organizzazione della sanità toscana godrebbe oggi di ben diversa salute, con il territorio presidiato da 34 SdS funzionanti e una rete ospedaliera fortemente integrata: la costituzione di 3 aziende ospedaliere di area vasta sarebbe stato il naturale approdo di un processo di integrazione maturato e collaudato negli anni.

La reputazione della sanità toscana

La sanità toscana gode di una buona reputazione e registra indicatori di salute e di performance tra i migliori in Italia. La tradizione di un servizio pubblico che per decenni ha svolto un egregio lavoro (gli interventi di prevenzione oncologica, come il pap-test e la mammografia, sono nati in Toscana), una buona coesione sociale (oggi purtroppo erosa dalla crisi), la competenza e anche la dedizione della gran parte dei professionisti del servizio sanitario toscano, la presenza di due agenzie di alta qualità – il MeS del S. Anna di Pisa e l’Agenzia Regionale di Sanità (ARS) – che hanno svolto, dal 2000 in poi, un prezioso lavoro di analisi, di supporto, di valutazione e anche di definizione puntuale di obiettivi: a tutto ciò si deve buona reputazione e buoni indicatori.

Negli ultimi anni, in assenza di un piano sanitario regionale, MeS e ARS hanno svolto un fondamentale ruolo di bussola e di orientamento, di identificazione delle aree di forza e di debolezza del sistema sanitario. Oltre non potevano andare. Serviva un’attività di governo e di gestione regionale che seguisse giorno per giorno l’implementazione dei programmi, che garantisse la manutenzione del sistema, che diffondesse le buone pratiche e intervenisse nelle aree di debolezza e di crisi, che contrastasse le crescenti diseguaglianze nella salute. Un’attività di governo e di gestione indubbiamente politica, ma anche necessariamente tecnica, e di alto profilo professionale. Ciò che è avvenuto nell’era di Enrico Rossi – come assessore alla Sanità e di presidente di Regione – è stato il progressivo depauperamento, quantitativo e qualitativo, della componente tecnica all’interno dell’assessorato, fino ad arrivare alla situazione attuale dove esiste un governo solo di tipo politico, nelle mani del Governatore. I fallimenti di cui abbiamo parlato ai punti 2 e 3 sono in gran parte il frutto di questa situazione.

Di tutto ciò il presidente Rossi dovrebbe serenamente rendere conto ai cittadini toscani, prima di gettarsi nella spericolata e inconsulta operazione di fusione delle Asl, dal sapore amaramente elettoralistico.

Perché i tagli ci saranno e saranno dolorosi. Il peggio che potrebbe capitare è quello di affrontarli nel mezzo di un caos organizzativo regionale, con una dirigenza allo sbando e con professionisti demotivati e privi di punti di riferimento, in un terreno dove operano le ruspe, laddove – per dirla con Marco Geddes – ci sarebbe invece assoluto bisogno di cacciaviti.

Bibliografia

  1. King’s Fund. Future organisational models for the NHS. Perspectives for the Dalton review, July 2014.
  2. Maciocco G. La riorganizzazione del Servizio sanitario toscano. Prospettive sociali e sanitarie 1998; 9: 3-5.
  3. Maciocco G. Le Società della salute. Prospettive sociali e sanitarie 2002; 12: 1-4.

6 commenti

  1. Come non concordare con questa, come al solito puntuale e fondata sulle evidenze, analisi degli scenari di riforma del sistema sanitario toscano.

    In questi giorni credo che tutti i lettori di “salute internazionale” abbiano trovato il tempo e il modo per leggere quanti più articoli possibili sull’argomento.

    Nel leggere i diversi articoli proposti(sia da Marco Geddes che da Gavino Maciocco)si ha una maggiore consapevolezza di quanto in modo superficiale, e anche un po’ cialtrone, si proceda a modificare un sistema, ritenuto da molti tra i migliori in europa (e con i limiti ben evidenziati da Maciocco al punto 2 e 3) senza la dovuta comprensione della complessità dei processi sottostanti. Dando per scontato economie di scala o miglioramenti della qualità che non sembrano trovare riferimento nella bibliografia internazionale.

    L’ultimo articolo che ho letto “The struggle to implement teaching-hospital mergers” (Denis, Lamothe, Langley. Canadian Publica Administration Volume 42, n.3) si concentra su una fusione di tre ospedali nella stessa città (un’operazione molto più semplice di quella ipotizzata)mettendo in risalto alcuni aspetti relativi ad effetti/esiti diversi in relazione al contesto esterno iniziale, al capitale sociale dei singoli ospedali, agli esiti nell’offerta post fusione in termini di equità di accesso sul territorio. Nelle conclusioni “the results of this study suggest that the idea that the health-care system can be regenerated by structural reform alone is illusory”.

    Quello che più colpisce oggi è che la riforma sia stata proposta in 140 caratteri di un tweet (e probabilmente pensata nello stesso tempo della battitura) e che da allora non si sappia nulla di concreto.

  2. Voglio essere ottimista. Provo a fantasticare che sia tutto possibile e che i problemi del passato non si ripresentino e la riforma vada avanti con successo e per questo mi chiedo:
    1. quali sono gli scenari di sviluppo di questo modello? Perchè ovviamente ve ne sono molti e dovrebbero essere analizzati e mi immagino che ci sia chi sta lavorando su mega matrici per costruire una o più visioni dell’assetto futuro,
    2. chi è preposto a progettarli e chi a valutarli? Ci vogliono tecnici di grande apertura mentale e capacità di innovazione per ripensare un sistema e credo sarebbe giusto conoscere i loro nomi, aumenterebbe la nostra fiducia nella riuscita della riforma,
    3. come sarà valutato il profilo delle competenze tecniche di chi dovrà dirigere questi sistemi ultracomplessi e secondo quali criteri sarà selezionato? e i super manager potranno creare la loro squadra liberamente?, francamente non credo che potremmo portare avanti una riforma di questo livello senza reclutare gli uomini (non si fa una rivoluzione lasciando al comando gli stessi generali)e senza dare a loro la possibilità di crearsi staff adeguato senza troppi vincoli come purtroppo accade nel pubblico. Faremo polemiche poi sul loro stipendio e quello dei loro collaboratori o veramente pensiamo di reclutare super manager veri che dovranno gestire bilanci in media di oltre 2.000 milioni di euro e la salute in media di oltre 1 milione di cittadini ciascuno (in realtà le aree vaste non ripartiscono equamente la popolazione regionale e quindi il relativo finanziamento) pagandoli più o meno 4.000 euro al mese?

  3. Caro prof, spero che il governatore possa leggere con calma e senza pregiudizi questa lucida carrellata nella storia vissuta da molti di noi, al vostro fianco, sempre…. E poi possa decidere con la stessa lucidità …. e permetterci anche stavolta di condividere e costruire (non destrutturare) la nuova storia….

  4. Sono d’accordo sull’analisi di Gavino Maciocco, tanto che mi sono sempre chiesto da dove arrivassero indicatori così positivi nelle performance della nostra regione, e dove fossero tutte queste eccellenze : sicuramente non a livello territoriale, dove gli errori di programmazione, impostazione e sviluppo del governatore Rossi si risentiranno per anni, mentre imperversa una burocrazia gigantesca, gestita spesso da amministratori incompetenti, che si autoalimenta con provvedimenti e regole che sembrano fatti più per intralciare il lavoro dei professionisti che per snellirlo e renderlo più efficiente: gli esempi sono sotto gli occhi di tutti e lo saranno di più nei prossimi anni: la gestione del passaggio alla dematerializzazione della ricetta elettronica; le lunghissime liste d’attesa (ma non erano indicatore di buona sanità?!) che hanno dato un impulso mai visto verso la sanità privata, con prestazioni spesso di bassa qualità e il sistema si regge solo perché il cittadino toscano ha ancora qualche risparmio da spendere; l’assoluta mancanza di programmazione su obiettivi di salute concordati a medio termine, si naviga a vista per buona pace della tanto decantata prevenzione; la mancata valorizzazione degli aspetti professionali nella gestione del territorio (e non solo, vedendo cosa succede nei così detti ospedali ad alta intensità di cure), dove prevalgono “ornati e grafismi”..
    Si potrebbe continuare, mi fermo qui e ricordo che al neosindaco di Livorno per vincere è bastato fare la campagna elettorale contro la costruzione dell’ospedale secondo le regole imposte da Rossi (e che distruggono già l’operatività ospedaliera in diverse ASL).. Ci avviciniamo alle elezioni regionali, ci fletta il governatore..
    Stefano Giovannoni

  5. è prassi nel nostro paese che nessuno si assuma la responsabilità come per esempio è successo con la SdS. Quando dicevamo che era una scatola vuota se non un poltronificio oramai sei anni fà, quasi tutti i politici della attuale attuale maggioranza la sostenevano e cosi molti funzionari che magari ora sono stati premiati con passaggi in regione.Mi sà che le nuove proposte continueranno su questa linea come se nessuno fosse responsabile, la Toscana appare così la Regione più bloccata culturalmente

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