L’Università nella formazione delle Cure Primarie e della Medicina Generale

medicina comunitàMaria Angela Becchi

La specializzazione di Medicina di Comunità e delle Cure Primarie ha la potenzialità di realizzare anche in Italia quella realtà professionale comune a tutti i paesi europei, rappresentata dalla specializzazione di Medicina Generale. Allora, se la Medicina di Comunità accademica viene intesa nel significato di Community and Family Medicine e fornisce competenze per un approccio globale ed integrato a paziente e famiglia, perché non pensare alla evoluzione della Specializzazione di Medicina di Comunità e Cure Primarie in Specializzazione di Medicina Generale e Cure Primarie?


Premesse

I recenti post di Saluteinternzionale.info Ripensare la formazione medica (13.04.2015),  Il futuro dell cure primarie (27.04.2015), mi suggeriscono di intervenire per ampliare il dibattito culturale sullo sviluppo in Italia delle Cure Primarie e sul ruolo della Università nella Formazione di medici in grado di rispondere ai bisogni di Salute Globale della popolazione.

Prima di entrare nei dettagli della Formazione, è necessario chiarire il significato di due termini storici, introdotti in tempi abbastanza recenti nel nostro lessico sanitario, che hanno portato ad interpretazioni fuorvianti, con ricadute negative sulla Formazione.

Il primo termine è Cure Primarie”, impropria traduzione di Primary Health Care (World Health Organization-WHO, 1978)[1]. Impropria perché al termine “care” è stato attribuito il solo significato di “cura”, mentre “primary care” è da intendersi come livello assistenziale comprensivo di “care + cure”, facendo riferimento alla concetto di salute multidimensionale della WHO. Le Cure Primarie sono oggi concepite da molti come interventi solo sanitari, legati alle prestazioni del medico di medicina generale (MMG), che delle Cure Primarie è parte importante, ma non unica. La traduzione corretta è invece “assistenza socio-sanitaria primaria” basata su interventi di cura e assistenza alla persona, erogati da medici e professioni sanitarie.

Il secondo termine è “Approccio bio-psico-sociale” (Engel, 1977)[2]. Questo approccio pone l’individuo al centro di un sistema influenzato da molteplici variabili. Per comprendere e risolvere i problemi multidimensionali di salute, il medico deve occuparsi non solo di funzioni e organi (modello bio-medico), ma deve rivolgere la attenzione agli aspetti psicologici, sociali, familiari dell’individuo, fra loro interagenti ed in grado di influenzare la salute globale. L’approccio bio-psico-sociale è da molti ritenuto un concetto teorico, riguardante le scienze sociali ed umanistiche e quindi non utile nella Formazione medica. Al contrario il termine attiene ad un modello pratico, realizzabile grazie a metodi e strumenti scientifici divulgati dalla WHO, che devono essere conosciuti da tutte le professioni sanitarie e sociali e quindi anche dal medico.

Chiarito ciò possiamo affermare che la salute Globale richiede la realizzazione di:

  1. un Sistema Sanitario basato sulla Primary Health Care (PHC) e sostenuto dalla assistenza ospedaliera di primo e secondo livello
  2. un approccio bio-psico-sociale che garantisce la risposta ai bisogni multidimensionali di salute, centrata su paziente e famiglia
  3. cambiamenti di paradigma sia nella organizzazione dei servizi sia nel modello di approccio alla persona e quindi anche della Formazione professionale.

Se i Servizi di Cure Primarie sono in via di sviluppo in tutte le Regioni, non altrettanto può dirsi della Formazione medica. Questo ritardo risente della inerzia delle Facoltà di Medicina che, in base al principio della autonomia degli Atenei, hanno fino ad ora sviluppato gli aspetti formativi più tradizionali, ignorando la necessità di insegnamenti in aree nuove, quali sono appunto le Cure Primarie al cui interno si colloca la medicina generale territoriale.

Un recente articolo della WHO[3] rileva gli errori della attuale Formazione del medico (formazione nel setting ospedaliero, approccio bio-medico, mancanza di competenze al lavoro in team, approccio ai problemi e non alla continuità assistenziale, debole o nulla leadership dei professionisti), indica il ruolo delle Istituzioni che governano la Formazione e fornisce indicazioni alle Facoltà per la “Trasformazione della Formazione”:

  • sviluppare ai diversi livelli programmi formativi adeguati ai nuovi bisogni della popolazione
  • arruolare come docenti professionisti competenti sia nella cura che nella assistenza
  • consentire lo sviluppo di metodologie e tecnologie didattiche innovative
  • sviluppare programmi di formazione interprofessionale
  • sviluppare programmi di formazione che producano profili professionali utili al servizio sanitario

I concetti da diffondere

Il primo concetto è che l’Università italiana possiede già gli strumenti normativi per sviluppare le Cure Primarie. Infatti le vigenti Normative del CdL in Medicina e Chirurgia[4] e delle Scuole di Specializzazione[5], indicano la “Medicina di Comunità” per realizzare la Formazione nell’area delle Cure Primarie. Ritengo utile riportare stralci di due articoli pubblicati da noi cultori della Medicina di Comunità, intesa nei termini di Community and Family Medicine[6], ampiamente diffusa in altri Paesi e coerente con i contenuti della PHC della WHO.

  1. Facchin P, UNIPD[7].
    “Gli ordinamenti didattici dei CdL di Medicina e Chirurgia forniscono da tempo indicazioni precise per sviluppare competenze nell’area delle Cure Primarie. La Tabella XVIII (1998) e l’attuale DM270 (2007), indicano uno specifico ambito disciplinare, la Medicina di Comunità, comprendente più SSD (MED/09, MED/17, MED/34, MED/38, MED/42) proprio perché molteplici sono le competenze necessarie per una formazione a sistemi complessi di cura. La Medicina di Comunità presenta un proprio specifico culturale e specifici strumenti professionali, riguardanti sia la promozione della salute e la prevenzione, sia fare diagnosi e curare, sia organizzare il contesto di cura in cui agire.”
  1. Becchi MA, UNIMORE[8]
    “Il recente Decreto delle Specializzazioni mediche (DIM 68, 2015), nell’indicare la “Specializzazione di Medicina di Comunità e di Cure Primarie”, riconosce il ruolo della Università nella Formazione specialistica di un medico dedicato al sistema delle Cure Primarie. La Specializzazione si ispira ai documenti del WHO per gli aspetti culturali e le modalità cliniche e organizzative. Il Decreto indica nel dettaglio le attività professionalizzanti da apprendere in una rete formativa integrata Università-SSR: Reparti ospedalieri e Pronto Soccorso, Studi dei Medici e dei Pediatri di famiglia, domicilio degli assistiti, Strutture territoriali (Residenze socio-sanitarie, Ospedali di comunità, Hospice…), Distretti/Dipartimenti di Cure Primarie. Questa offerta formativa produce un profilo professionale di medico con competenze cliniche di medicina generale, affiancate da competenze gestionali (coordinamento, governo clinico di percorsi di cura,dirigenza e direzione di UO semplici e complesse di Distretto).Tale profilo è sicuramente innovativo e risulta funzionale alla presa in carico globale dei pazienti complessi nei servizi in rete, ovvero nei servizi territoriali integrati al bisogno con l’ospedale”.

Il secondo concetto riguarda i contenuti didattici della Medicina di Comunità. La Disciplina fornisce competenze basate sugli aspetti culturali, sui metodi e gli strumenti della PHC della WHO. Tenendo conto del concetto pedagogico di Formazione, attraverso la Medicina di Comunità vengono fornite:

  1. Conoscenze: cultura dei principi (equità, accessibilità, coordinamento, partecipazione, sostenibilità dei costi), della organizzazione dei servizi (servizi globali di promozione della salute, prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione, assistenza alla persona), dei professionisti coinvolti (mmg, medici specialisti, professioni sanitarie e socio-assistenziali), delle modalità di lavoro (team multiprofessionale per l’approccio ai bisogni multidimensionali di individui, famiglie e comunità)
  2. Abilità: uso di strumenti scientifici dell’approccio bio-psico-sociale: ICF-WHO[9] per rilevare i bisogni multidimensionali di salute; Scheda PAI[10] per stendere Piani Assistenziali Individuali; Educazione Terapeutica[11] per attivare la partecipazione di paziente e famiglia; Pianificazione di percorsi di cura [12] per erogare interventi globali, coordinati e continui
  3. Atteggiamenti: attitudini a curare e prendersi cura della salute globale delle persone e delle loro famiglie, attraverso il lavoro in team[13] e il coinvolgimento attivo di paziente e caregiver[14].

Il terzo concetto riguarda la potenzialità della Specializzazione di Medicina di Comunità e delle Cure Primarie per realizzare anche in Italia quella realtà professionale comune a tutti i paesi europei, rappresentata dalla Specializzazione di Medicina Generale. Allora, se la Medicina di Comunità accademica viene intesa nel significato di Community and Family Medicine e fornisce competenze per un approccio globale ed integrato a paziente e famiglia, perché non pensare alla evoluzione della Specializzazione di Medicina di Comunità e Cure Primarie in Specializzazione di Medicina Generale e Cure Primarie? Questa Specializzazione esiste già in Spagna, dove i mmg hanno tutti il titolo di “Especialista in medicina familiar y comunitaria”, conseguito a seguito di Specializzazione universitaria di 4 anni. Si potrebbe iniziare con sperimentazioni regionali per formare nuove generazioni di mmg con specializzazione universitaria, basato su accordi fra i Ministeri della Università e della Salute, sentite le Regioni, con l’obiettivo di formare mmg con competenze cliniche per accedere alla convenzione, competenze di coordinamento e di governo clinico per garantire appropriatezza delle cure, lavorare in team ed attuare l’associazionismo medico, nonché con competenze di gestione per assumere ruoli di dirigenza nelle UO Complesse di Cure Primarie.

L’ultimo concetto riguarda la strategia per allargare ad altri Atenei la cultura delle Cure Primarie, oggi realizzata nel suo significato di PHC solo in UNIMORE e UNIPD. Un ruolo importante può essere attuato dai giovani medici, i più diretti interessati ad avere una Formazione che:

  • metta al centro la persona, considerata nel contesto della sua famiglia
  • metta il medico in rapporto con altre professioni sanitarie e socio-assistenziali
  • consenta di affrontare i bisogni di salute fisica, mentale, sociale
  • consenta ai cittadini di rimanere sani e li aiuti a cambiare abitudini scorrette di vita
  • curi e si prenda cura anche attraverso la partecipazione attiva di individui, famiglie e comunità.

Questa Formazione, orientata a sostituire il tradizionale modello bio-medico con il modello bio-psico-sociale, deve essere sviluppata soprattutto nel pre-laurea , diventare il denominatore comune per tutte le Specializzazioni e costituire lo specifico professionale della Formazione specialistica di medici dedicati al sistema delle Cure Primarie.

I giovani medici devono allora farsi interpreti dei nuovi bisogni formativi presso le Facoltà di Medicina e Chirurgia, sensibilizzando Presidi, Presidenti dei Corsi di laurea, Docenti dei vari SSD. Devono inoltre divenire attori diretti del cambiamento basato su:

  • partecipazione diretta alla organizzazione della didattica frontale, interattiva, dei tirocini professionalizzanti
  • apprendimento basato su “sapere, sapere fare e sapere essere” e acquisito attraverso didattica frontale (lezioni, presentazione di casi clinici complessi, di situazioni legate a stili di vita scorretti, a famiglie multiproblematiche, ecc..) e tirocini
  • didattica che preveda anche l’intervento di docenti non medici per un approccio interdisciplinare ai problemi complessi di salute.

Solo in questo modo gli studenti potranno cogliere gli aspetti complessivi del curare e prendersi cura dei cittadini nei servizi territoriali.

E sicuramente avranno il supporto attivo dei cultori della Medicina di Comunità di UNIPD e UNIMORE.

Maria Angela Becchi, Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze; Università degli studi di Modena e Reggio Emilia

Bibliografia

  1. WHO (1978). Declaration of Alma-Ata. International Conference on Primary Health Care [PDF: 25 Kb]. Alma-Ata, USSR, 6-12 September 1978
  2. Engel GL (1977). The need for a new medical model. A challenge for biomedicine. Science 196:129-136
  3. WHO (2013). Transforming and scaling up health professional education and training [PDF: 1,6 Mb]. WHO Guidelines
  4. MURST (2007). Attuazione del DD.MM. Classi di Laurea e di Laurea Magistrale Modifiche al regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, approvato con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509. XIV Legislatura. Decreto 22 ottobre 2004, n.270. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 12 novembre 2004 n.266
  5. MIUR (2015). Riordino scuole di specializzazione di area sanitaria. Decreto Interministeriale 4 febbraio 2015 n. 68.
  6. Vuori H. Health for all. Primary health care and general practitioners. Journal of the Royal College of General Practitioner, 1986;36:398-402
  7. Facchin. La formazione in Cure Primarie e la Medicina di Comunità [PDF: 3,7 Mb]. Med. Chir. 2008: 42 (1767).
  8. Becchi (2015). La Scuola di Specializzazione di Medicina di Comunità e delle Cure Primarie [PDF: 5,2 Mb]
  9. WHO (2001). International Classification of functioning, disability and health.
  10. Carulli L. Becchi MA, Carozza L, Martucci G, Pignatti F. The Individual Care Plan (ICP): proposal of a model to improve the communication between hospital and primary health care services. G Gerontol 2014;62:1-9
  11. WHO (1998). Therapeutic Patient Education Continuing Education Programmes
    for Health Care Providers in the Field of Prevention of Chronic Diseases. [PDF: 254 Kb]
  12. WHO (2008). Caring for people with chronic conditions. A health system perspective [PDF: 1,9 Mb]
  13. WHO (1988). Learning together to work together for health[PDF: 3,1 Mb]
  14. O’Connor A M, Stacey D. Should patient decision aids (PtDAs) be introduced in the health care system? [PDF: 437 Kb]. Copenhagen: WHO Regional Office for Europe, 2005

 

Un commento

  1. Non sono un clinico, ma l’articolo mi sembra estremamente interessante e condivisibile. Le evoluzione proposte affrontano questioni la cui rilevanza può essere toccata quotidianamente sia dal punto di vista assistenziale che organizzativo. Credo che una riflessione analoga sarebbe molto utile anche nelle professioni sociali e socioeducative.

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