Domande e risposte di cura. La voce dei Vulnerabili

Refugee clothes left to dry on a fenceGaia Jacchetti e Marzia Ravazzini

Una ricerca per osservare il rapporto tra i soggetti vulnerabili e organizzazione sanitaria nel contesto urbano utilizzando “la visuale del paziente”, in accordo con la convinzione degli autori che, seppur vulnerabili, i pazienti siano pienamente titolati a partecipare attivamente alla gestione della propria condizione. I soggetti vulnerabili riportano un bisogno sanitario, cui si affianca immediatamente un bisogno di salute più ampio: senza lavoro, con abitazioni insicure, poco alfabetizzati, con famiglie frammentate e affetti lontani si muovono in cerca di cura sapendo che non possono “stare bene” altrimenti.


Entra con la testa bassa, M. N., del Bangladesh, e l’odore richiama la sua situazione. Vive in dormitorio, in via S.M. a Milano, e ha come amici solo tre suoi paesani. In Bangladesh ha due figli, che sono rimasti lì con la moglie. Il medico procede per l’intervista, e il paziente diventa serio e rispettoso.

Ho il permesso di soggiorno, che era scaduto, ma l’ho già rinnovato”, afferma con sicurezza.

Sì, ho la tessera sanitaria, e anche il MMG”, prosegue con lo sguardo diretto e quasi fiero, “so muovermi in questi servizi”.

“Da quanto è in Italia?”, chiede il medico.

Sono arrivato nel 2009, e da allora ho usato tutti i posti: il Naga, l’ambulatorio dell’OSF…ho la tessera di tutti questi servizi, ma non li uso tanto, forse 2 o 3 volte dal mio arrivo; non sono mai andato al pronto soccorso, né qui né da altre parti in Italia”.

“E in farmacia lei va da solo?” domanda il ricercatore

No, no, certo che no… io ho pochi soldi, e li mando a casa per moglie e bambini” .

M.N., Bangladesh, 1980.

Lo studio “Domande e Risposte di cura” è stato condotto in tre setting differenti, volutamente scelti in un’accezione sistemica di città: due servizi del privato sociale (Fondazione Casa della carità- febbraio- marzo 2013 e Assistenza sanitaria San Fedele – febbraio – aprile 2014) nella periferia Nord-est di Milano, e nel cuore della città storica, ed uno pubblico (U.O. di Medicina e Chirurgia d’Accettazione e d’Urgenza dell’A.O. L. Sacco – maggio – giugno 2014 ), collocato in un’altra periferia significativa della città.
Obiettivo è indagare il rapporto tra i soggetti vulnerabili e organizzazione sanitaria nel contesto urbano utilizzando “la visuale del paziente”, in accordo con la convinzione degli autori che, seppur vulnerabili, i pazienti siano pienamente titolati a partecipare attivamente alla gestione della propria condizione.
Per l’individuazione dei soggetti vulnerabili è stato creato un filtro composto da quattro indicatori (almeno due presenti) rilevabili e misurabili con l’immediatezza del presente della visita, che potessero rappresentare e al contempo fare sintesi del concetto stesso di vulnerabilità: condizione migrante, mancanza di lavoro/reddito, mancanza di casa e basso livello di alfabetizzazione.

“Aspettiamo qualche settimana e le gambe andranno meglio”, rassicura il medico- ricercatore.
L’antropologo domanda: “E come stai tu davvero?”

S., sorride: “… come sto? Come le foglie per un giardino. A volte sono su, altre volte cadono giù per terra… sono preoccupata per la mia situazione; se guardo al passato, sono tesa, bloccata, non mangio e non dormo. Per il presente, guardo le mie gambe e non sono ancora pronte per andare… sono grosse, anche se rispetto la dieta… ma davvero devo prepararmi e ho bisogno di tempo e di comprensione… ho fatto tante valigie nella mia vita e ora so quello di cui ho bisogno” .

Egitto, del 1964

Il disegno dello studio ha previsto contemporaneamente l’utilizzo del metodo quantitativo e qualitativo con un questionario somministrato attraverso l’intervista diretta e la trascrizione etnografica di narrative attraverso il metodo dell’osservazione interattiva e negoziata.
Il questionario, con le necessarie variazioni rispetto ai tre setting, è articolato in cinque sezioni: dati socio-demografici; conoscenze, capacità e comportamenti rispetto ai servizi sanitari; visita e dimensione di cura, e le modalità di accesso alla cura, sia rispetto al passato (il comportamento nell’ultimo anno) sia nelle intenzioni future espresse ed infine, il concetto di healthability – la capacità di adattarsi e autogestirsi in salute – approfondendone tre aspetti: la sfida, l’abilità e la consapevolezza per la gestione della situazione in corso o futura.

Salomè si siede, con uno sguardo felice, e sorride: “non so perché, sono contenta che mi fate le domande” .
“Come mai sorride signora, le piace parlare?” chiede il medico – ricercatore.
Sì, penso di sì. Io non parlo mai, o poco ormai”.

Lei ha il suo medico signora, anche per parlare?”
Sì, vado tanto da lui
“Quante volte è andata, se pensiamo all’ultimo anno?” continua il ricercatore.
Oh… direi almeno 25 volte. Io sono sempre in pensiero per tutto, per mio marito, per i miei quattro figli, uno è qui altri sono in Bolivia ancora, e allora non smetto di pensare” racconta con una certa velocità
”
“È abbastanza 25 volte in un anno… il suo medico è bravo, cosa dice?”
“ No, lui è bravo… ma è arrabbiato con me, dice che vado troppo da lui”.

S., Bolivia, 1974.

Le persone incluse nello studio sono state N 387 (M 55%, età mediana 40aa); il 90% delle persone incluse ha accettato l’intervista. 
Rispetto ai criteri di vulnerabilità il 60% ne aveva almeno tre. Le persone straniere rappresentano il 93%. Più del 75% degli stranieri era in Italia da un periodo maggiore di 3 anni (il 41% da più di 10 anni) e il 27% non aveva PdS/iscrizione anagrafica. L’ 87% degli intervistati era disoccupato, il 34% aveva un’abitazione propria ed 16% degli intervistati si è dichiarato analfabeta.

H. è conosciuta; allo sportello del triage la vedono arrivare e commentano con confidenza del suo bisogno di attenzione…
“Buonasera, come mai oggi qui?”, dice l’infermiere al vetro.
“Vengo per un mal di testa, ce l’ ho da due giorni e va’ e viene, a volte c’è… perché io c’ho il diabete e non ho più medicine”.

L’infermiere registra e poi fa accomodare la paziente all’interno, per prendere i primi parametri. Continua il loro colloquio.

“Prende sempre le sigarette?”, continua l’infermiere: “Non son tanto medicine”.
Prendo la metformina a colazione, pranzo e cena, 3 volte al dì”.
“Lei mangia”?
Così sono abituata, sì… tre volte al giorno”.

Mostra le scatole dei farmaci… e dice ”questi mi hanno dato due mesi fa, prima erano da 100, perché mi hanno fatto esami ”, e poi tremando mostra anche le mani, con tante ulcere e molto crepate, affermando che è da oltre un mese che questi segni non passano.

“E non le hai fatte vedere a nessuno?” domanda gentilmente l’infermiere.
“Sì, il medico del San Carlo mi ha detto che è perché diabete da 500 , ma dottore… alle notti non riesco a dormire. E posso venire solo qui, al mio pronto soccorso ”.

Interviene l’antropologa e domanda “ Viene tante volte qui ? ”
Sì, è la mia seconda casa… sono stata ricoverata tante volte, almeno da 10 anni vengo qui… è morto mio figlio, non mi ricordo”.

H.H., Bosnia Erzegovina, 1955

I servizi sanitari più utilizzati sono il Medico di medicina generale (MMG) e il Pronto soccorso (PS). Il dato qualitativo rispetto all’uso del MMG mostra tre indicazioni preponderanti: linearità (9%), dipendenza/accudimento (67%) e strumentalità (25%).

Appoggia la testa tra le mani, e a bassa voce dice: 
“Sono in Italia dal luglio del 1999, ho 3 figli al paese e ora sono rovinato”.
“Cosa è successo? ”, chiede l’antropologo – ricercatore.
“Sono qui solo, ho sempre lavorato tanto, facevo il carpentiere e il muratore ma ora da 6 mesi non ho più lavoro”, scuotendo la testa.

“Sì, sentiamo che tanti stanno perdendo il lavoro… c’è la crisi”, commenta il ricercatore.
Ma io non voglio buoni, né andare da qualche altra parte. Ho la casa col mutuo e la famiglia al paese. Io voglio solo lavorare. Senza il lavoro come si vive? Poi vengono i pensieri e il mio cervello quasi brucia”.

M., Egitto, 1975

Il risultato principale emerso rispetto al concetto di healthability è che i vulnerabili portano una domanda di salute complessa: nel descrivere il proprio stare bene, gli intervistati elencano più dimensioni insieme, spesso connesse, in una concretezza che diventa reale ostacolo all’accesso alla cura.

“Prende anche gocce di En?”, domanda l’infermiere che ha ben in mente il caso.
“No, pastiglie… mi puoi far scrivere queste che io non ce le ho più. Quando non mangio, il mio cuore si agita un po’ e il cuore fa così ”… facendo il gesto delle palpitazioni e continua 
“le medicine per stare tranquilla me le ha date il dottore del Cps di via Aldini, perché io ho visto mio figlio morto e non posso stare tranquilla mai ”.

P: “Si, certo, annuendo con la testa; innanzitutto il problema è il lavoro, e non ho la casa… e come faccio?” (Italia, 1969)

P: “Eh…la vita è avere una bella moglie… ma ora, sì, mi manca il lavoro. Ho studiato letteratura francese, e qua in Italia non riesco a trovare un mio lavoro…” (Marocco, 1962)

P:” …la mia situazione non è bella, prima abitavo coi miei… ora servirebbe una casa nostra – di mio e del mio compagno, e per i nostri bambini che stanno arrivando – e poi ci conosciamo da davvero poco tempo, quasi un anno…” (Ecuador, 1993)

P: “Diciamo che sono fortunato, ma a volte poi ho anche tutti addosso… per stare bene, vorrei non stare da solo, e i miei pensieri sono per una casa mia, che non ho, e giro e vado per la strada e poi in comunità, così… così… e i soldi, che servono sempre.” (Italia, 1970)

P: “ Io mi sento tanti ostacoli vicino: il lavoro, perché non faccio proprio niente; e il legame con mia figlia… l’ho lasciata che aveva nemmeno un anno, e così ora non la vedo.” (Santo Domingo, 1987)

P:
“… se posso dire la mia… io come problemi, penso agli affetti, e al lavoro.” ( Perù, 1982)

P:
“ Già… la salute e lo stare bene… mah, dico: non avere il lavoro e i soldi, questo è un problema grande. Non riesco nemmeno ad avere la casa.” ( BiH, 1955)

P:
“Senza lavoro e senza affetti vicino… sono sempre triste, non stai bene così”. (Egitto, 1973)

P:
“First a room with a key, to be clocked whenever we need to, with my wife and children. Then, find a job…” (Siria, 1976)

Anche in un luogo prettamente sanitario, come un PS di un ospedale pubblico, i pazienti illustrano la complessità della loro situazione, mostrando le necessità che intravedono come sogni per poter stare meglio:

P: “ Si, quindi… io dovrei avere un lavoro. E poi con la mia cirrosi, le cure perché ho bisogno delle medicine per gestire la mia malattia.” (Italia, 1969)

P: 
“Già i sogni…primo fra tutti il lavoro, vorrei lavorare, secondo una bella casa, grande, e perché la mia è piccola, e terzo avere una famiglia.” (Marocco, 1962)

P: “Avere innanzitutto un buon lavoro per il mio compagno; non lavorava in regola, non lo pagavano nemmeno quando lo facevano lavorare un egiziano, poi ha chiuso ed è sparito; la seconda cosa è la salute per i miei bambini, perché il mio secondo bimbo soffre di convulsioni; e terza cosa per me avere un buon lavoro, così perché io non ho mai lavorato… e ride… ” (Ecuador, 1993)

P:“Lavorare, come primissima cosa perché per sentirci importanti è così, se lavoro mi sento bene e il mio spirito sta bene; e poi stare con la mia famiglia” e sorride con gli occhi…”  i miei figli sono lontani, di 27 – 25 e 17 anni, la piccola sta con il papà, mentre io sono già nonna di due bambini dal mio primo figlio di 27 anni”…” (El Salvador, 1965)

P: 
“Ho questa stanchezza, che mi pesa molto, e senza lavoro… e avere i figli lontano… anche…” (Marocco, 1952)

P: “ I miei sogni sono sempre gli stessi, non stare da solo, e una casa, con un lavoro, io ho studiato tanto perché volevo capire il senso delle cose, ma poi mi sono sempre ritirato e non ho finito , l’istituto tecnico due anni, e poi il liceo artistico, che non ho finito, e anche due anni di scuola di ceramica…e ho sempre letto tantissimo.” (Italia, 1970)

P: Le vengono subito gli occhi lucidi, e la voce in gola quasi si ferma: “ …migliorerei il fatto di rientrare al mio paese, per stare vicino a mia figlia e fare qualcosa nella mia vita, se solo il mio compagno volesse…” (Santo Domingo, 1987)

P: “ Ma se non c’è lavoro, la famiglia non può stare bene… quindi io sogno un buon lavoro, per me e per mio marito, un lavoro sicuro.” ( Perù, 1982)

P: “ Davvero… io sono sempre triste, vorrei la mia famiglia vicino, i due figli e la moglie, e poi un lavoro, non posso più stare senza” (Egitto, 1973)

P: “ Forse…” … e cerca conferma negli occhi della moglie “…forse una casa, dove riposare e fare una vita comoda, senza pensieri” (BiH, 1955)

P: “ Io, io…io vorrei stare al mio paese, sto aspettando solo questo; il figlio mio ha un lavoro in Honduras, con un contratto di 6 mesi nella marina e mi manda i soldi; ma è difficile mettere via i soldi, perché qui riesco solo a metter via 100 euro al mese, tra posto letto e cibo e quello che si ha bisogno…se va bene, difficile…” (El Salvador, 1965)

P: “ my dream…now is to be sure that my children can go and play in the street safe, not to be worried “ (Siria, 1976)

P: “ Se ci fosse un modo per tornare al paese, ma prima dovrei lavorare e qui non c’è lavoro…niente, non c’è bacchetta magica…io vorrei lavorare” (Marocco, 1952).

I soggetti vulnerabili riportano un bisogno sanitario, cui si affianca immediatamente un bisogno di salute più ampio: senza lavoro, con abitazioni insicure, poco alfabetizzati, con famiglie frammentate e affetti lontani si muovono in cerca di cura sapendo che non possono “stare bene” altrimenti.

Nel costruire modalità per essere promotori responsabili di questo cambiamento pensiamo che si debba riflettere sulla primary health care ed, in particolare, sull’idea delle Case della Salute, come luogo per una sanità d’iniziativa che vada verso l’ascolto e la comprensione della salute dei più vulnerabili, con un approccio multidisciplinare e comunitario, sul territorio.

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  18. Sanità d’iniziativa si intende un modello assistenziale di gestione delle malattie croniche che non aspetta il cittadino in ospedale (sanità di attesa), ma gli “va incontro” prima che le patologie insorgano o si aggravino, garantendo quindi al paziente interventi adeguati e differenziati in rapporto al livello di rischio, puntando anche sulla prevenzione e sull’educazione. La sanità d’iniziativa costituisce uno dei nuovi modelli assistenziali della sanità toscana: il riferimento è il Chronic Care Model, in www.arstoscana.it.
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  22. Salute Globale – Il concetto di Salute Globale è un nuovo paradigma per la salute e 
l’assistenza sanitaria; si fonda su approccio teorico delle determinanti di salute (2008) e sui principi della Dichiarazione di Alma Alta (1978) e può essere applicato alla prevenzione, diagnosi e trattamento delle malattie, promozione della salute a livello individuale e di comunità in educationglobalhealht.eu.
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Gaia Jacchetti e Marzia Ravazzini,
Fondazione Casa della Carità e Università degli Studi di Milano

Ringraziamenti

Le autrici ringraziano i rispettivi direttori: dott. Maurizio Bonati (Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Istituto Mario Negri, Milano), Padre Giacomo Costa (Centro San Fedele, Milano), dott. Stefano Guzzetti (Dipartimento Emergenza e Urgenza, dell’Ospedale Luigi Sacco di Milano), prof. Paolo Inghilleri (tutor della ricerca di Dottorato, Dipartimento di Scienze ambientali e culturali, Università degli Studi di Milano).

Si ringrazia la dott.ssa Silvia Landra e Don Virgino Colmegna che, con Casa della Carità hanno sostenuto l’indagine. Tommaso De Filippo e Andrea Vicenzi, per aver creduto nella possibile realizzazione della ricerca e per l’indispensabile assistenza pragmatica sul campo.
Questa ricerca è stata pensata e condotta a doppia mano dagli autori, e sviluppata nell’ambito del progetto di ricerca del Centro Studi Souq della Fondazione Casa della Carità, all’interno di una ricerca più ampia di dottorato, ciclo XXVIII, “Scienze fisiopatologiche, neuropsicobiologiche e assistenziali al ciclo alla vita” presso l’Università degli Studi di Milano, Facoltà di Medicina (nov 2015).

 

 

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