Perché i medici britannici devono votare contro l’uscita dall’Unione Europea
- 0
- 1.9K
- 5 Min
- |
- 21 Giugno 2016
I sostenitori del Brexit sono simili ai lobbisti anti-vaccini che, avendo dimenticato i danni provocati da morbillo, rosolia e parotite, denunciano i supposti danni da vaccino. Allo stesso modo i militanti della separazione dall’UE hanno dimenticato i demoni del virulento nazionalismo che l’Europa è riuscita a tenere a bada. Dopo due devastanti guerre mondiali in Europa prese forma un consenso progressista di tipo socialdemocratico. E i governi perseguirono politiche redistributive all’interno della più ampia Unione Europea, conseguendo enormi risultati in termini di salute e di giustizia sociale.
Il BMJ, rivista ufficiale del BMA (British Medical Association), in vista del referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’UE che si terrà il prossimo 23 giugno, ha aperto nella versione online uno spazio di discussione – The “Brexit” debate – in cui ha ospitato diverse posizioni di esponenti del mondo sanitario, con uno sguardo attento alle possibili ripercussioni dell’uscita dall’UE sul NHS. La direzione della rivista si era mantenuta neutrale (ovvero non intervenendo direttamente nel dibattito) fino al 14 giugno quando ha deciso di prendere decisamente posizione a favore del “Remain”, con un editoriale firmato dall’editor Fiona Godlee e da altre firme prestigiose, tra cui Kamran Abbasi[1].
L’editoriale (“Why doctors should vote to remain in the EU on 23 June”) elenca i motivi per cui i medici dovrebbero votare per rimanere all’interno dell’Unione Europea.
In primo luogo perché gli argomenti addotti dai sostenitori dell’uscita (The Leave campaign) sono “semplicemente sbagliati”, o addirittura falsi come quello che sostiene che la Gran Bretagna versa all’UE 350 milioni di sterline alla settimana. Altro loro cavallo di battaglia è l’impatto negativo della pressione degli immigrati sul sistema sanitario (“Se la Gran Bretagna rimane nell’UE il nostro sistema sanitario nazionale, NHS, sarà travolto dagli immigrati”), a cui l’editoriale risponde riportando i dati di una ricerca della London School of Economics che dimostra che l’impatto sanitario degli immigrati provenienti dai paesi dell’UE è molto limitato perché si tratta di persone giovani e in buona salute, i quali oltretutto in caso di malattia preferiscono ritornare nel loro paese a causa delle lunghe liste di attesa in Gran Bretagna.
La seconda considerazione riguarda le conseguenze dell’uscita sul NHS. Uno studio dell’Economist ha calcolato che – a causa dell’impatto negativo del Brexit sull’economia generale – la spesa sanitaria pro-capite si ridurrebbe di 135 sterline l’anno entro il 2020. Ciò si aggiungerebbe ai 22 miliardi di sterline che dovranno essere risparmiati entro il 2020 e rappresenterebbe un ulteriore insopportabile taglio delle risorse del sistema sanitario. Altra questione riguarda il personale sanitario proveniente dai paesi UE: un medico su dieci che lavora in Gran Bretagna si forma in un paese dell’UE. Quelli che già lavorano qui non potrebbero essere rimandati a casa domani se passasse il “Leave”, ma la rottura dei ponti tra UE e Gran Bretagna metterebbe in pericolo la libera circolazione dei professionisti su cui si basa il nostro sistema sanitario.
Londra inoltre è la sede dell’European Medicines Agency (EMA, l’agenzia europea dei farmaco), che dovrà sloggiare se vinceranno i sostenitori del Brexit. Se ciò avvenisse la Gran Bretagna perderebbe un ruolo importante di influenza nell’attività di regolazione in campo farmaceutico e andrebbe in fumo la capacità attrattiva nei confronti delle aziende americane e asiatiche che cercano la base per un braccio europeo dei loro clinical trials.
L’editoriale si conclude con una riflessione di carattere generale. “I sostenitori del Brexit sono simili ai lobbisti anti-vaccini che, avendo dimenticato i danni provocati da morbillo, rosolia e parotite, denunciano i supposti danni da vaccino. Allo stesso modo i militanti della separazione dall’UE hanno dimenticato i demoni del virulento nazionalismo che l’Europa è riuscita a tenere a bada. Dopo due devastanti guerre mondiali in Europa prese forma un consenso progressista di tipo socialdemocratico. E i governi perseguirono politiche redistributive all’interno della più ampia Unione Europea, conseguendo enormi risultati in termini di salute e di giustizia sociale. Ma queste politiche sono in pericolo, minacciate da rigurgiti nazionalisti di destra in Polonia, Ungheria, Austria e altrove. E queste non sono cupe fantasie: la convenzione sui rifugiati è già stata ridotta in carta straccia. E in Ukraina la persistente instabilità politica ha prodotto problemi di sanità pubblica da incubo: un milione di persone sono sfollate con una terribile diffusione di tubercolosi multidrug resistant.
Se la Gran Bretagna si separerà dall’Europa, noi potremmo assistere a un effetto domino se altri paesi, come Olanda, Danimarca e altri membri dell’UE, dovessero seguire l’esempio. Noi vogliamo veramente vedere risorgere i confini in tutta Europa? L’Europa non è perfetta e richiede riforme. Ma ricordiamoci come era prima. Sia l’Europa, che la Gran Bretagna al suo interno, staranno meglio e più al sicuro se noi votiamo per rimanere”.
Tra gli argomenti a favore dell’uscita dall’UE c’è la questione del TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), l’ accordo commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti, tuttora in fase di negoziazione, che riguarda in qualche misura anche i servizi sanitari e contro cui in Gran Bretagna si è sviluppato un forte movimento contrario (sostenuto dal Partito Laburista). Su questo tema è intervenuto Martin McKee, professore di European public health, il quale, pur condividendo le preoccupazioni sull’accordo, conclude che è meglio lottare all’interno dell’UE per migliorarlo, piuttosto che starne fuori[2].
L’uscita della Gran Bretagna dall’UE – sostiene M. McKee – significherebbe anche l’uscita dall’ European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC). La Gran Bretagna perderebbe la rappresentanza all’interno del consiglio di amministrazione e i suoi ricercatori non sarebbero più coinvolti nelle attività di ricerca. Da tutto ciò deriverebbe un notevole danno nella capacità di intervento nel campo delle malattie infettive.
Mancano pochissimi giorni al voto, l’esito del voto è incertissimo e l’opinione pubblica è divisa a metà nella scelta se rimanere o meno all’interno dell’ Unione Europea. Tendenzialmente a favore dell’uscita sono i partiti di destra e buona parte dell’elettorato conservatore (anche se il primo ministro Cameron e quasi tutti i ministri del suo governo sono per il “remain”). Contro il Brexit si è pronunciato il partito laburista per la voce del suo segretario Jeremy Corbyn, che tuttavia ha lasciato liberi i suoi deputati di schierarsi secondo le loro convinzioni (nove di essi si sono dichiarati a favore del “leave”). Decisamente a favore del “remain” era Jo Fox, la deputata laburista di 42 anni e madre di due bambini, da sempre schierata per i diritti dei rifugiati, pacifista ed europeista, assassinata per strada da un aderente a un’organizzazione filonazista.
- Godlee F et al. Why doctors should vote to remain in the EU on 23 June. BMJ 2016;353:i3302
- McKee M. Brexit: the NHS is far safer inside the European Union. BMJ 2016;353:i2489