Mio caro morbillo
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- 5 Aprile 2017
Pier Luigi Lopalco
Purtroppo, nonostante l’impegno e i proclami dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il morbillo continua a circolare abbastanza indisturbato su almeno tre quarti del Pianeta. Solo nella Regione Americana (che comprende nord, centro e sud America) si è al momento certificato lo stato di eliminazione. In Italia, nelle ultime settimane la curva epidemica del morbillo è in rapida salita. Ma, salute a parte, quanto ci costa la sua continua circolazione nel territorio nazionale?
Scrive il Lancet, dando voce a due dei maggiori esperti di sanità pubblica di Canada e Australia: “L’eradicazione del morbillo è la soluzione economicamente più vantaggiosa: si risparmierebbero ogni anno >2 miliardi di dollari per i trattamenti evitati e >63 miliardi di dollari in termine di DALY (anni di vita in buona salute guadagnati)”[1].
Purtroppo, nonostante l’impegno e i proclami dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il morbillo continua a circolare abbastanza indisturbato su almeno tre quarti del Pianeta. Solo nella Regione Americana (che comprende nord, centro e sud America) si è al momento certificato lo stato di eliminazione. Eliminazione vuol dire che la circolazione locale del virus è stata interrotta e che dunque tutti i casi osservati sono originati da un caso di importazione. Questa situazione, in termini di sanità pubblica, è estremamente costosa: significa infatti tenere in piedi una rete di sorveglianza estremamente sensibile ed intervenire massicciamente ad ogni segnalazione di caso. Infatti l’unico modo per mantenere lo stato di paese libero da morbillo, è quello di indagare ogni singolo caso, raggiungere tutti i contatti, sottoporli a sorveglianza sanitaria e, se suscettibili, vaccinarli.
Nel 2011 negli Stati Uniti si sono registrati 107 casi suddivisi in 16 epidemie separate: si trattava di casi originati da casi importati per lo più dall’Europa (qualcuno ahimè dall’Italia). I costi sviluppati da quelle epidemie sono stati stimati fra i 2,7 ed i 5,3 milioni di dollari. Per arginare la diffusione, infatti, i dipartimenti di prevenzione hanno dovuto contattare fra gli 8.900 e i 17.450 individui, generando così un carico di lavoro stimato fra le 42.000 e 83.000 ore[2].
Mantenere lo stato di eliminazione in un mondo in cui il morbillo non è eliminato, costa dunque tantissimo. In Italia siamo ancora lontani dall’eliminazione, nonostante l’impegno preso dal nostro governo con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, insieme a tutti i governi della Regione Europea, di eliminare definitivamente morbillo e rosolia. Le coperture vaccinali medie nel Paese non hanno mai raggiunto la fatidica soglia del 95%, anzi negli ultimi anni hanno ripreso a calare grazie all’impegno di tribunali male informati, avvocati e associazioni irresponsabili, deliranti gruppi anti-vaccinisti e tanti, ma tanti, genitori confusi in questo marasma comunicativo. Fatto è che il morbillo continua ad essere endemico in Italia e, a cicli più o meno regolari, ritorna con picchi epidemici come è il caso di quest’anno.
Il 2017, ho paura, vedrà in Italia il picco di morbillo più alto degli ultimi anni. Osservando i dati delle ultime settimane, la curva epidemica è in rapida salita e, purtroppo, gli interventi di sanità pubblica in questa fase servono solo a mitigare la diffusione ma difficilmente riescono a fermarla. Eh già, perché, anche se l’Italia non ha ancora eliminato il morbillo, forse non tutti sanno che comunque per ogni caso di morbillo notificato i nostri Dipartimenti di Prevenzione sono obbligati a contattare il caso, individuare i contatti, mettere in atto misure di vaccinazione ed isolamento, ecc. Si fa, cioè, esattamente quello che si fa negli Stati Uniti e che lì hanno stimato faccia spendere milioni di dollari. In Italia, inoltre, questo carico di lavoro cade sulla testa di un servizio sanitario decisamente stressato, con un organico insufficiente già a gestire la routine. In definitiva, il nostro Paese si trova in una situazione di transizione molto svantaggiosa: non abbiamo eliminato il morbillo, con le conseguenti epidemie cicliche, ma dobbiamo comunque mettere in atto le stesse misure preventive legate al programma di eliminazione.
A queste considerazioni va aggiunta una nota di carattere epidemiologico. Questa lunghissima fase di latenza, con coperture mediocri e non sufficienti a garantire l’interruzione della circolazione del virus, ha fatto si che negli ultimi decenni si sia accumulata una vasta coorte di suscettibili fra gli adulti. Moltissimi dei casi registrati nelle ultime settimane erano in soggetti non più giovani, nati quando il vaccino non era neanche offerto e cresciuti in una società a bassa circolazione del virus con la conseguenza di essere arrivati all’età di 40 o 50 anni senza aver mai avuto la malattia e senza aver mai pensato di doversi vaccinare. Giusto per la cronaca, qui in Toscana uno dei casi osservati aveva 69 anni! Questi casi fra gli adulti non sono il risultato di un calo dell’immunità individuale (la cosiddetta waning immunity). Sono il risultato di una strategia vaccinale mal condotta.
Ad aggravare il quadro è il fatto che molti dei soggetti adulti di cui si parla sono operatori sanitari o personale dei servizi che orbitano intorno agli ospedali. Questo non ci stupisce, visto che l’ospedale è il luogo che offre maggiori occasioni di contagio in caso di recrudescenza epidemica del morbillo. Se dunque nella popolazione è sparso un certo numero di adulti suscettibili, la probabilità, fra questi, di prendere il morbillo alla loro veneranda età è maggiore se si lavora in ospedale piuttosto che in un ufficio postale. Ma se un impiegato delle poste può anche permettersi il lusso di non riflettere sul proprio stato immunitario verso morbillo e rosolia, per un operatore sanitario questo rappresenta una grave mancanza perché, oltre al rischio individuale, esiste anche un problema di responsabilità professionale nei confronti dei pazienti.
Quanto ci costa, allora, questo morbillo? Certamente pesa sulle tasche del sistema sanitario in modo non indifferente. Sicuramente ci costa in termini di immagine, visto che l’Italia ha già ricevuto un ammonimento da parte dell’OMS su come stia conducendo la campagna di eliminazione. Quello che facciamo in Italia ha infatti risvolti internazionali dal momento che malattie come il morbillo non rispettano di certo i confini. Le politiche vaccinali mal condotte a casa nostra rallentano l’impegno internazionale del programma di eliminazione. Ma quello che è più grave è che se non invertiamo la tendenza e non raggiungiamo presto la soglia per l’eliminazione, questo continuo ripetersi di picchi epidemici porterà con sé il suo prevedibile carico di complicanze gravi e di morti.
Pier Luigi Lopalco, professore ordinario di Igiene, Università di Pisa.
- Durrheim DN, Crowcroft NS. The price of delaying measles eradication. Lancet Pub Health 2017; 2(3): e130-e131.
- Ortega-Sanchez IR, Vijayaraghavan M, Barskey AE, Wallace GS. The economic burden of sixteen measles outbreaks on United States public health departments in 2011. Vaccine 2014; 32(11): 1311-1317.
Buongiorno, vorrei sapere se è possibile prevedere l’andamento di questo tipo di epidemia. esiste un algoritmo in grado di stimare con buona approssimazione quanti casi dobbiamo attenderci quest’anno in Italia? oppure in base a dati riferiti a pregresse epidemie?
Inoltre mi chiedo se ci sia qualcuno che stia cercando di inquadrare il problema della comunicazione tra operatori sanitari e genitori contrari alle vaccinazioni. Personalmente ho notato che se la comunicazione avviene fornendo ‘numeri’ oppure usando lo stesso metodo dei no vax, cioè il canale emotivo (la paura e la rabbia), prospettando le possibili conseguenze anche gravi legate al contrarre malattie prevenibili e i legami economici con le industrie farmaceutiche non si ottengano grandi risultati. Scatta una sorta di reazione tipo ‘due pesi-due misure’, questi genitori non usano lo stesso approccio di fronte alle informazioni (e disinformazioni!) che ricevono.
Big pharma produce vaccini – Big pharma ci guadagna – quindi Big pharma è IL MALE. Poi però i genitori somministrano kg e kg di paracetamolo, antistaminici, antibiotici ai loro pargoli…dimostrando una grave incoerenza dal momento che a conti fatti la cara Big pharma ci guadagna di più (e lo stesso vale anche per chi somministra prodotti omeopatici, dato che anche quelli non si raccolgono nell’orto). Per non parlare poi dei ‘numeri’…1740 casi a inizio 2017 rispetto ai poco più di 200 del 2015…basterebbe fare due conti, no?
E noi tutti ci chiediamo: come è possibile che questo non venga capito? E’ un problema puramente matematico (da terza elementare) oppure c’è qualche meccanismo diverso sotto?
Io propendo per la seconda.
Eppure i colleghi più anziani (sono medico di medicina generale) sembrano non voler vedere questo ‘qualcosa d’altro’ che allontana le persone dalla razionalità in molti campi, non solo in quello sanitario (per esempio, che ruolo ha il conflitto di interessi in medicina nel condizionare il rapporto medico-paziente? o meglio: il paziente che è convinto che noi medici siamo tutti venduti e schiavi delle case farmaceutiche quanto è portato a fidarsi di noi? e noi, siamo proprio così innocenti come pensiamo?).
Per tutti questi motivi penso che sarebbe interessante se psicologi, sociologi, antropologi analizzassero questi meccanismi, e qualora fosse già stato fatto sarebbe assai utile fornirci i risultati e suggerire strategie a chi, come noi mmg, rappresenta spesso il primo fronte di contatto con la popolazione.
Grazie
La risposta alla prima domanda è abbastanza semplice. Esisterebbero dei metodi abbastanza attendibili per prevedere l’andamento di una epidemia. Si tratta di modelli matematici. Il problema è che il loro utilizzo può essere limitato solo a scopi di ricerca essendo un lavoro complesso e spesso indaginoso. Per una valutazione affidabile di sanità pubblica quello che serve è valutare il potenziale epidemico in termini di popolazione suscettibile: bisogna cioè vedere quanti non sono vaccinati ed intervenire precocemente con azioni di contenimento. I non vaccinati, infatti, prima o poi la malattia la prenderanno (almeno finché il virus continuerà a circolare). Quindi la ricetta è (in teoria) semplice: vaccinare i suscettibili senza tante storie.
Detto questo, il resto del suo commento è solo condivisibile in pieno. Serve impostare la comunicazione bene, possibilmente con il supporto di studi scientifici nel campo delle scienze comportamentali.