L’orgoglio di sentirsi ugandese

Gavino Maciocco
“Ripenso a un momento bellissimo che ogni giorno si ripete presso il centro di raccolta di Koluba, dove i rifugiati, dopo aver ricevuto un pasto caldo, vengono sottoposti a un controllo medico e ricevono un lotto di terra. Ogni mattina un rappresentante dell’ufficio del primo ministro ugandese prende in mano un microfono e si rivolge a loro con un sorriso schietto. «Siete arrivati qui per garantire la sicurezza dei vostri figli», dichiara. «Loro rappresentano la speranza e il futuro. È nostro desiderio che qui, nella vostra nuova casa, voi possiate realizzare i sogni e le aspirazioni dei vostri figli. Benvenuti in Uganda»”.


“I paesi in via di sviluppo ospitano la maggior parte dei rifugiati di tutto il mondo. Vero o falso?”

A questo quesito, contenuto in un ampio set di domande facente parte dell’esame di Igiene per gli studenti di medicina dell’Università di Firenze, molti hanno risposto “falso”. Di più: questa è stata una delle domande con il più alto tasso di errori nella risposta.

Naturalmente gli studenti avevano potuto documentarsi al riguardo con il materiale didattico a disposizione (tra cui la slide pubblicata qui sotto): la stragrande maggioranza di coloro che scappano dalle loro terre chiedono e ottengono rifugio in paesi lontani dall’Europa e dagli USA. Ma per molti studenti la percezione è stata diversa, indotta dalla martellante pressione mediatica che parla di “invasione dei migranti” e dell’Italia ridotta a “campo profughi dell’Europa”.

La stessa slide mostra che più della metà dei richiedenti asilo nel mondo provengono da tre soli paesi: Siria, Afghanistan e Somalia.  I dati si riferiscono al 2015 e vanno aggiornati perché nel frattempo il Sud Sudan, con 1 milione e 800 mila profughi, ha sostituito la Somalia in questa tragica classifica.

Il Sud Sudan è devastato da alcuni anni da una guerra interna che oltre a produrre morte, fame e distruzioni ha costretto alla fuga dalle loro case milioni di persone, parte di queste si sono riversate fuori dai confini del paese, la maggior parte, un milione, in Uganda.

Si deve allo scrittore Khaled Hosseini – in un ampio reportage pubblicato su Repubblica lo scorso 23 luglio[1– la descrizione di questo esodo, dell’organizzazione dei soccorsi da parte dell’Unhcr (l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati), del governo ugandese e delle comunità locali.

“Questo viaggio in Uganda – scrive Hosseini – è diverso dalle mie precedenti visite ai campi profughi di altri Paesi. La differenza che più salta all’occhio è l’assenza di recinzioni. Qui, grazie a una considerevole testimonianza di generosità e solidarietà, anche i privati cittadini e i proprietari terrieri, oltre che il governo, donano terre ai rifugiati. Osservando i volti stremati dei profughi arrivati da Pajok, provo un barlume di speranza nel sapere che nel giro di qualche giorno sarà loro assegnato un lotto di terreno su cui poter costruire un’abitazione di emergenza e coltivare il necessario per emanciparsi almeno in parte dagli aiuti. I rifugiati che giungono in Uganda sono liberi di spostarsi, hanno accesso alle stesse cure sanitarie e allo stesso sistema scolastico dei residenti e possono lavorare e aprire delle attività. L’Uganda ha un passato doloroso, e sa bene che una guerra che si protrae nel tempo costringe i profughi a vivere in esilio per anni, spesso decenni. E ha imparato che l’integrazione dei rifugiati, che non vengono considerati esclusivamente alla stregua di un problema umanitario, rappresenta un vantaggio per tutti. Oltre ad essere progressista e compassionevole, la politica dell’Uganda è anche intelligente, perché contribuisce a migliorare la vita dei propri cittadini”.

“Tutti i profughi che ho incontrato — in Uganda, in Ciad, in Giordania, in Iraq e persino in Afghanistan, dove sono nato — hanno espresso il medesimo desiderio: quando potrò tornare a casa e aiutare la mia gente? Nulla può sostituire il profondo legame che ci lega al posto in cui siamo nati. Ma quando tornare nel proprio Paese non è possibile, il luogo in cui troviamo un senso di appartenenza, dove le persone non dicono, guardandoci, che “non sei di qui”, diventa la nostra casa. Oggi nel mondo troppe voci dicono ai rifugiati che non sono voluti. Ripenso a un momento bellissimo che ogni giorno si ripete presso il centro di raccolta di Koluba, dove i rifugiati, dopo aver ricevuto un pasto caldo, vengono sottoposti a un controllo medico e ricevono un lotto di terra. Ogni mattina un rappresentante dell’ufficio del primo ministro ugandese prende in mano un microfono e si rivolge a loro con un sorriso schietto. «Siete arrivati qui per garantire la sicurezza dei vostri figli», dichiara. «Loro rappresentano la speranza e il futuro. È nostro desiderio che qui, nella vostra nuova casa, voi possiate realizzare i sogni e le aspirazioni dei vostri figli. Benvenuti in Uganda»”.

Devo ammetterlo, dopo aver finito di leggere questo reportage sono stato travolto da un’ondata di commozione.  Sì perché in Uganda ho vissuto e lavorato per diversi anni, lì sono nati i miei due figli, lì ho conservato amicizie e coltivato progetti: insomma mi sono sempre sentito un po’ ugandese e – dopo aver letto cosa fanno gli ugandesi per i loro “fratelli” in fuga dal Sud Sudan – posso dire di essere veramente orgoglioso di sentirmi tale.

C’è un abisso di civiltà, oltre che di umanità, tra le parole di benvenuto del funzionario ugandese rivolte ai profughi e l’ipocrito slogan “aiutarli a casa loro” tanto in voga tra i politici italiani. C’è un abisso di civiltà, oltre che di umanità, tra l’indefesso e oscuro lavoro dell’Unhcr in Sud Sudan per garantire la sicurezza dei convogli dei profughi nell’attraversamento dei confini e l’attacco in Italia alle ONG che portano soccorso in mare ai migranti, cercando in ogni modo di impedirne o limitarne l’azione.

In questo contesto di dilagante italica disumanità e inciviltà, l’unica iniziativa che ci salva dal disonore è quella promossa da Emma Bonino e dai Radicali, con il sostegno di altre organizzazioni come Arci, Acli e Asgi, dal titolo Ero straniero. L’umanità che fa bene .

“Per mantenere sostanzialmente inalterata la popolazione italiana dei 15-64enni nel prossimo decennio – si legge nell’ampio dossier della campagna dei Radicali -, dal momento che gli italiani diminuiranno dal 2015 al 2025 di 1,8 milioni di unità, è necessario un aumento degli immigrati di circa 1,6 milioni di persone, con un flusso d’ingressi di 157 mila in media ogni anno. È questo il fabbisogno indispensabile per garantire l’attuale capacità produttiva del Paese e per rendere sostenibile il sistema previdenziale”.

Il dossier include anche una parte dedicata a come “Sconfiggere la grande bugia e cambiare il racconto sull’immigrazione”, un piccolo prontuario per un racconto (finalmente) veritiero sull’immigrazione.

Chissà se la campagna dei Radicali riuscirà a fare breccia nell’opinione pubblica. Ce ne sarebbe bisogno, perché l’aria che tira non è buona. Si avvicinano le elezioni e per raccattare voti non c’è nulla di meglio che prendersela con gli stranieri.

Post scriptum.

Scrive Chiara Saraceno che l’Italia è il secondo paese più razzista d’Europa[2]. Di razzismo – oltre che di malasanità – è morto a Napoli Ibrahim Manneh.  Sia pure con enorme ritardo, ora conosciamo la causa (biologica) della morte: ulcera duodenale perforata. Su questa terribile storia continuiamo a chiedere verità e giustizia.

Bibliografia

  1. Hosseini K, Sud Sudan. Io e la rifugiata Gladys in viaggio nella solidarietà. La Repubblica, pp. 12-13, 23 luglio 2017.
  2. Saraceno C.  Come bloccare i moltiplicatori di odio. La Repubblica, p. 29, 20 luglio 2017

5 commenti

  1. gli immigrati vedono il nostro Paese come quello che si può vedere da una vetrina di un lussuoso negozio al quale però è loro vietato l’ingresso; solo noi possiamo infrangere quella vetrina, grazie Gavino

  2. GRAZIE GAVINO !!!
    Come al solito, da trent’anni a questa parte, riesci a scrivere o a parlare con la voce di noi tutti, quelli che ti conoscono da tempo (non da quello della foto, dove sembri Dustin Hoffmann nel “Laureato” !)e che si sentono orgoglioso per avere come amico una persona come te !!!

    P.S: chiedo anch’io, per il mio picolo, cittadinanza ugandese !!!

    Silvio Donà

  3. Grazie Gavino per la chiarezza con cui fai conoscere il problema della migrazione. L’informazione in Italia e’ sempre piu’offuscata dall’egoismo che spegne il cuore. Userò questo articolo in aggiunta cl tuo libro nel corso di insegnamento agli studenti di scienze infermieristiche.

  4. grazie gavino,
    il tuo primo viaggio in Uganda di ormai quasi 50 anni fa ha indicato il cammino da seguire a tanti medici e volontari.
    Io ho il ricordo del sorriso delle mamme orgogliose di racchiudere nel loro cuore e nel loro seno i semi della salvezza del mondo. Quelle mamme che mettevano al mondo 7-8-10 figli sapendo che la malaria, la malnutrizione, il morbillo o chi sa quale altra stupida malattia gliene avrebbe portati via 5 o 6, me ne ne sarebbe rimasto qualcuno in vita perchè anche il loro paese potesse continuare ad esistere.
    E’ questione di tempo ma sono sicuro che il loro colore e il loro calore salvera anche il nostro.
    grazie Gavino
    gino

  5. Non sorprende che gli studenti rispondano erroneamente al quesito sull’accoglienza nei paesi in via di sviluppo. Come ben ricordi ed evidenzi nel post, la campagna mediatica che dipinge un’emergenza da invasione ha il potere di condizionare la percezione dei più, anche di chi ha accesso a studi e informazioni corrette. Figurarsi chi non ce l’ha. E sono i più. Non c’è solo l’informazione distorta come brodo di coltura di questo rinato e fortissimo razzismo: c’è la mancanza di politiche serie sull’integrazione, la necessità di avere un bacino di persone da sfruttare e tanti altri fattori che nelle analisi abbiamo spesso sviscerato.
    Il clima sociale e politico dalla campagna “ noi non segnaliamo” è cambiato, credo che oggi non si riuscirebbe a cambiare un decreto disumano e razzista, anzi, credo che forse potrebbe persino prestare il fianco a fuorvianti strumentalizzazioni. Non è forse quello che è successo con l’attacco alle ONG? Era il prologo e la premessa per poter inviare navi da guerra a respingere, insinuando finanziamenti oscuri e fini nascosti.
    La campagna “Ero straniero. L’umanità che fa bene” è buona cosa, ma non basta, ora non basta nemmeno la ragionevolezza e la diffusione della verità, siamo oltre, ci vorrebbe uno scatto di civiltà e umanità, che, come scrivi, sono finite nell’abisso. Ci vorrebbe una mobilitazione, una marcia, qualcosa di visibile, per rendere visibili a sé stessi e al resto della società tutte quelle persone che in silenzio ci sono e si impegnano in tanti modi per soccorrere, curare, ospitare, nutrire, dare lavoro, casa, umanità. Sono tanti, cristiani e non solo, che sanno di avere nelle parole insistite di Francesco un’autorità ed un appoggio formidabili.

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