Il sonno della ragione genera mostri (a proposito di migrazioni)
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- 16 Ottobre 2017

Francisco Goya, 1797
Biblioteca Nacional de Espana, Madrid
Emilio Di Maria
Stabilire corridoi umanitari rimane una forma di intervento ineludibile. Perciò esprimiamo gratitudine e solidarietà con le organizzazioni che hanno scelto di avvicinare le frontiere, anziché allontanarle. Citiamo la comunità di Sant’Egidio e la Federazione delle Chiese evangeliche, Chiese valdesi e metodiste, che hanno allestito con “Mediterranean Hope” corridoi umanitari con i campi profughi in medio oriente. E citiamo Medici Senza frontiere che in un editoriale recentemente pubblicato su Lancet ci ricordano che “La medicina umanitaria è molto più che un esercizio tecnico”.
Quasi un secolo prima di Freud, forse ispirato da Kant, Goya dipinge animali minacciosi evocati dalla stessa mente di chi dorme – dorme e non guarda il mondo attorno a sé: le sue paure si proiettano in incubi spaventosi. Niente di nuovo, nelle nostre notti estive: il sonno della ragione genera mostri.
L’allarme: centomila stranieri sono arrivati quest’anno in Italia. L’invasione. Non conta che i richiedenti asilo arrivati in Italia nel periodo gennaio-luglio 2017 siano 84400, qualche migliaio in più rispetto al 2016 [dati Eurostat]. Non conta che ottantamila persone (ma anche centomila) sono tante quante si trovano in uno stadio, tutte insieme e in un solo giorno, in occasione di un concerto o di una partita di calcio. Il sonno della ragione trasforma ottantamila persone nell’arco di sette mesi sull’intero territorio nazionale – ottomila comuni, tra grandi e piccoli – in un’invasione. Così come la presenza di due giovani neri davanti al supermercato diventa un’espugnazione del territorio.
Il sonno della ragione, inoltre, consente di trasformare il falso in vero. Poiché un’affermazione infondata, ripetuta costantemente, diventa una verità.
L’allarme si crea, poi si alimenta
L’invasione. Poi, la tenuta democratica a rischio: “Ad un certo momento ho temuto che, davanti all’ondata migratoria e alle problematiche di gestione dei flussi avanzate dei sindaci, ci fosse un rischio per la tenuta democratica del Paese. Per questo dovevamo agire come abbiamo fatto non aspettando più gli altri paesi europei”. Così il ministro dell’Interno Minniti alla Festa dell’Unità di Pesaro [tratto da La Repubblica, 29 agosto 2017: Minniti: “Sui migranti ho temuto per la tenuta democratica Paese”].
Eppure qualcuno ancora pensava che la tenuta democratica del Paese si basasse sulla Costituzione. La quale all’art. 10 recita: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
L’allarme si crea, poi si alimenta, poi si adeguano le politiche.
Il nazionalismo sociale, già bandiera della destra qualunquista, acquista dignità. “Prima gli italiani” risuona con “America first”. La difesa dell’identità nazionale si fonde con la pretesa di difendere i deboli, di garantire i disoccupati i malati… E colpisce i più deboli e meno garantiti: i richiedenti protezione internazionale. “Dagli al samaritano” è stato il nostro tormentone estivo – si veda l’intervento di Gavino Maciocco “Se il sentimento umanitario finisce in minoranza” apparso su Saluteinternazionale.info e la rassegna stampa citata nel post.
Nell’estate del “dagli al samaritano”, il motto “aiutiamoli a casa loro” diventa una linea politica.
La politica interna diventa politica estera.
Mentre l’agenzia dei rifugiati dell’ONU, l’UNHCR, invitava tutti i paesi a “permettere ai civili che fuggono dalla Libia (cittadini libici, abitanti abituali della Libia e cittadini di paesi terzi) di accedere ai loro territori”, a Roma si sono firmati gli accordi con la Libia di El Serraj, seguito coerente degli accordi con la Turchia, che prevedono di esportare le nostre frontiere fino al Sahara.
[Si vedano per esempio gli articoli apparsi su Internazionale e La Stampa]
L’accordo di Roma, accanto a “adeguamento e finanziamento dei centri di accoglienza usufruendo di finanziamenti disponibili da parte italiana e di finanziamenti dell’Unione europea” [soldi, ndr], prevede il “completamento del sistema di controllo dei confini terrestri del sud della Libia”.
Frontiere che verranno difese da miliziani libici, ai quali l’Italia (sic: l’Italia) affida il compito di calmierare le partenze degli emigranti – emigranti, tali sono: profughi rifugiati persone in fuga che dalle coste sud del Mediterraneo intendono raggiungere l’Europa. Ma non la raggiungeranno: lontano dallo sguardo e dall’attenzione dell’opinione pubblica, si potranno sviluppare pratiche di discutibile umanità con minor disturbo delle coscienze (e dei sonni) di chi stabilmente dimora oltre le coste nord dello stesso mare.
Stop. Il sonno della ragione genera mostri [talvolta ministri, mai maestri].
Il Gruppo Ligure Immigrazione e Salute, in una nota dello scorso aprile, poi ripresa e fatta propria dalla Società Italiana di Medicina delle Migrazioni aveva già espresso profonde riserve rispetto alle misure del cosiddetto Decreto Minniti, poi trasformato in legge attraverso un voto di fiducia [“Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”]. Avevamo espresso preoccupazione rispetto all’istituzione di un “diritto speciale” per gli stranieri richiedenti protezione; preoccupazione per l’introduzione di nuovi centri di detenzione, denominati Centri di Permanenza per i Rimpatri (in luogo di Centri di Identificazione e Espulsione – CIE): il cambio di denominazione non ne cambia le funzioni, ma le estende ai richiedenti asilo che abbiano presentato ricorso contro un primo diniego. Nelle Raccomandazioni finali [PDF: 197 Kb] del XIV Congresso nel 2016 la Società Italiana di Medicina delle Migrazioni aveva già reiterato la propria preoccupazione per gli effetti dannosi dei CIE, e ne aveva auspicato la chiusura.
Già nel 2015, all’indomani della strage in mare di aprile, con la nostra lettera aperta “Basta lacrime” [PDF: 200 Kb], fatta propria dalla SIMM, avevamo individuato le azioni prioritarie da condividere tra cittadini e amministratori:
- allestimento immediato di corridoi umanitari;
- rifiuto della logica dei respingimenti;
- superamento dell’approccio emergenziale;
- promozione di un sistema di controllo democratico degli strumenti adottati e dei risultati ottenuti.
Sembrava velleitario, allora, ma stabilire corridoi umanitari era e rimane una forma di intervento ineludibile. Perciò esprimiamo gratitudine e solidarietà con le organizzazioni che hanno scelto di avvicinare le frontiere, anziché allontanarle.
Citiamo la comunità di Sant’Egidio e la Federazione delle Chiese evangeliche, Chiese valdesi e metodiste, che hanno allestito con “Mediterranean Hope” corridoi umanitari con i campi profughi in medio oriente. E citiamo Medici Senza frontiere: Vickie Hawkins e André Heller Pérache, che in un editoriale recentemente pubblicato su Lancet ci ricordano che “Humanitarian medicine is more than a technical exercise”.
L’efficacia delle azioni di cura e di prevenzione dipende in primo luogo dalla distanza – dalla distanza tra le strutture e le popolazioni, tra gli operatori e le persone. Spostare le frontiere ha e avrà sicuramente questo effetto: allontanare profughi e rifugiati dalla possibilità di accedere a protezione e cure, dignità e diritti. Riportiamo indietro le frontiere, vicino a noi, sotto il controllo democratico dei cittadini.
Aiutiamoli a casa nostra – che poi è casa loro.
Emilio Di Maria. Gruppo Ligure Immigrazione e Salute – GrIS Liguria