Tutti pazzi per il Secondo Pilastro
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- 6 Dicembre 2017
C’è una straordinaria e inedita convergenza d’interesse sul Secondo pilastro di finanziamento dei servizi sanitari, basato su assicurazioni private e varie forme di welfare aziendale. Ma questo Secondo pilastro è veramente integrativo? È forse orientato sulla assistenza domiciliare, su cronicità e non autosufficienza, su attività di assistenza sociosanitaria con valenza territoriale? Non sembra. Una semplice lettura delle proposte assicurative e dei piani previsti nei diversi Fondi sanitari ci indica tutt’altro: un insieme di prestazioni, talora offerte con modalità inappropriate, largamente duplicative di quelle presenti nel Servizio sanitario nazionale.
In occasione del 12° Forum Risk Management di Firenze, tenutosi la settimana scorsa, il Consigliere Delegato di RBM Assicurazione salute[1] Mario Vecchietti, partecipando alla tavola rotonda “Sostenibilità e fondi integrativi e mutue, modelli di erogazione di servizi: una vera integrazione tra offerta pubblica e privata”, ha avanzato alcune ipotesi, riportate dal Quotidiano salute del 3 dicembre, dove sono accompagnate da un’eloquente video intervista. In particolare ha proposto, testualmente: «Un secondo pilastro complementare per tutti i cittadini che evitando di far pagare di tasca propria le cure a 36 milioni di italiani intermedi collettivamente la spesa sanitaria privata garantendo al sistema sanitario la disponibilità di 22 miliardi di euro/annui aggiuntivi ed un contenimento della spesa sanitaria privata da 8,7 miliardi di euro a 4,3 miliardi annui; [o, in alternativa], l’esternalizzazione di alcune forme di assistenza (opting out) che […] promuova un’assunzione di responsabilità per i cittadini con redditi più alti (15 milioni di cittadini) mediante l’assicurazione privata della totalità delle loro cure sanitarie […]».
Queste ipotesi, che si riassumono sotto il generico titolo di “Secondo pilastro”, sono ormai quotidianamente presenti nei giornali, nelle pubblicazioni realizzate in cooperazione con prestigiose Università e Istituti di ricerca sociale e praticamente in qualsiasi incontro dedicato alle questioni socio sanitarie, come ad esempio nel Forum sulla sanità della Leopolda, tenutosi a Firenze in settembre di quest’anno.
Indipendentemente da chi promuove o patrocina gli eventi, quali Regione, Comune, Istituti e Agenzie nazionali, il Secondo pilastro viene presentato quale strumento salvifico del Servizio sanitario nazionale. I vari interlocutori si limitano per lo più a illustrarne aspetti specifici, in un peana crescente per tale soluzione, mentre vengono distribuite pubblicazioni dell’RBM, volte ad esaminare lo stato del Servizio sanitario e la sua possibile positiva evoluzione grazie al collaterale sviluppo di Fondi e Assicurazioni malattia[2]. Il fatto che il Consigliere Delegato Vecchietti promuova, “senza se e senza ma”, come si usa affermare, la diffusione del sistema assicurativo non evidenziando alcun elemento di potenziale criticità, risulta legittimo oltre che ovvio. Non chiederei ad un avvocato difensore di esporre, dopo gli elementi per i quali ha perorato l’innocenza del cliente, quelli che potrebbero deporre per una sua colpevolezza e neanche di elencarci, qualora la colpa del reo fosse incontrovertibile, le aggravanti del misfatto dopo che ha esplicitato tutte le possibili attenuanti!
Francamente mi desta invece una ingenua meraviglia e qualche preoccupazione che l’insieme degli interlocutori, dei membri dei Comitati scientifici, delle Istituzioni promuoventi indagini e convegni, nonché i politici che commentano le pubblicazioni delle Assicurazioni, siano percorsi e conquistati da un “pensiero unico”, poiché, come ricordava il presidente della Corte Costituzionale Francesco Paolo Casavola: «Non abbiano avuto nella nostra storia esempi positivi di pensiero unico; quando ci sono stati è perché c’era privazione di libertà in tutto il Paese: si sperava che quei tempi bui fossero tramontati […] I rischi storicamente vengono dai pensieri unici, non dal dialogo e dal confronto» (Intervista al quotidiano Avvenire, 16 gennaio 2008).
Ovviamente le proposte di Mario Vecchietti non ipotizzano la realizzazione di un servizio sanitario privato, dato che le evidenze accumulate in questi decenni depongono in modo incontrovertibile sulla maggiore efficacia e i minori costi dei sistemi pubblici, sia in base ad osservazioni empiriche che ad accurate ricerche, le quali evidenziano, ad esempio, una più lenta riduzione della mortalità ove il sistema sanitario non sia pubblico, ma di tipo privatistico[3]. Viene proposta invece una compenetrazione fra i due sistemi – pubblico e assicurativo – tale da interessare tutta la popolazione grazie alla promozione pubblica delle proposte assicurative e a forme di detassazione (immagino); tale strategia è genericamente definita come “pianificazione normativa” finalizzata ad “un rapporto inclusivo”.
Ora sarebbe interessante se qualche dubbio, qualche perplessità, qualche domanda emergesse all’interno di questo mainstream poiché le criticità esistono e non si tratta, per dirla con Totò, di “bazzecole, quisquilie , pinzellacchere”! Ne pongo solo alcune, fra le molteplici possibili, in un immaginario scambio di opinioni con Consigliere Delegato di RBM.
- I costi intermediati dall’insieme di un Secondo pilastro – sostiene Vecchietti – risulterebbero inferiori rispetto a quanto si ottiene tramite il Servizio sanitario nazionale. Questo tipo di affermazione trova, a quanto pare, il consenso (o il non dissenso) nello stesso ambito, incontro, convegno (ad esempio il Forum sanità alla Leopolda) nel quale contemporaneamente si evidenzia – con dati alla mano – che la concentrazione di acquisti attuata a livello nazionale o di singola regione, grazie al volume degli appalti e alla professionalità tecnica della stazione appaltante, ha apportato rilevanti risparmi. Allora è più vantaggioso operare tramite il servizio pubblico o tramite la frammentazione in molteplici Assicurazioni e negli oltre 300 Fondi sanitari?
- Il Secondo pilastro – sostiene Vecchietti – renderà sostenibile la spesa sanitaria nei prossimi decenni, che – secondo Vecchietti – è destinata a crescere. Poiché si prevede che la spesa sanitaria aumenterà del 58% nella popolazioni di età oltre i 65 anni e in particolare del 115% in quelli di oltre 80 anni[4], come farà fronte l’offerta delle Assicurazioni e dei Fondi sanitari a tale problematica? Questo Secondo pilastro si è forse orientato, anche attraverso la contrattazione collettiva, sulla assistenza domiciliare, su cronicità e non autosufficienza, su attività di assistenza socio sanitaria con valenza territoriale? Non scherziamo! Una semplice lettura delle proposte assicurative e dei piani previsti nei diversi Fondi sanitarie ci indica tutt’altro: un insieme di prestazioni, talora offerte con modalità inappropriate, largamente duplicative di quelle presenti nel Servizio sanitario nazionale!
- Ma la crescita della spesa sanitaria – sostiene Vecchietti – è inevitabile e si affianca, con una elasticità superiore, alla crescita del Pil. Il sistema assicurativo serve a renderla compatibile – secondo Vecchietti – offrendo un’altra fonte di finanziamento. Ergo, se ben capisco, questo apporto consentirebbe di risparmiare. Ma là dove esiste un sistema assicurativo la spesa sanitaria complessiva è maggiore. Certamente – sostiene Vecchietti – ma si tratta di Sistemi sanitari con standard qualitativi più elevati. Pertanto, io deduco se questa sola fosse la ragione della maggior spesa, in uno stesso paese il costo dei premi assicurativi dovrebbe essere analogo alla crescita del Pil, o alla crescita della spesa sanitaria.
È davvero così? Ho dato un’occhiata ai recenti dati della Svizzera che un giovane collega di sanità pubblica, assunto a Ginevra (in Italia i concorsi si fanno con il contagocce) mi ha fornito. Il grafico è riportato nella figura sottostante.
Figura 1: Evoluzione del Pil (PIB), del costo della sanità e dei premi assicurativi dal 1996 al 2014. Svizzera[5]

Risulta evidente come, a fronte di un aumento del 43% del Pil i costi sanitari siano incrementati del 72% ma i costi dei premi assicurativi ben del 107%!
Se trasferiamo questa informazione in un bilancio familiare potremmo affermare che, a fronte di un aumento medio del reddito familiare del 43%, la spesa che la famiglia sostiene per il servizio sanitario pubblico, attraverso la tassazione, ha avuto un incremento del 72%, ma, per pagare l’assicurazione, l’incremento della spesa è stato del 102%, sottraendo così risorse destinabili all’istruzione, ad investimenti per figli e nipoti, ai viaggi, ad altri tipi di consumo, al risparmio.
Un incremento simile si è registrato negli USA, dove il prezzo delle polizze assicurative (linea verde della Figura 2) è aumentato in misura nettamente maggiore all’incremento degli stipendi (linea rossa); ancora maggiore è l’incremento dei livelli di franchigia (linea blu), ovvero quella parte di rimborso di una spesa sanitaria che rimane a carico dell’assicurato.
Figura 2. Incremento degli stipendi, delle polizze assicurative e delle franchigie negli USA dal 2002 al 2014.

Il trasferire i risultati della nazione sulla singola famiglia media – sostiene (sosterrebbe) giustamente Vecchietti – è improprio e in particolare l’aumento del Pil non si traduce (non si tradurrebbe) in un incremento del reddito medio. Concordiamo con quanto sostiene Vecchietti. Infatti l’aumento del Pil si è tradotto in questi anni in un incremento del reddito per manager, azionisti di case farmaceutiche e di assicurazioni, investitori in immobili di lusso, finanzieri. In Italia in quindici anni oltre la metà dell’incremento della ricchezza è andato al 10% dei più ricchi. Non si è tradotto certo in reddito di una famiglia media. Concorda Vecchietti?
- RBM Assicurazione salute gestisce, tra l’altro, il fondo mètaSalute , il fondo di assistenza sanitaria integrativa – e in larga parte sostitutiva – dei lavoratori dell’industria metalmeccanica.
- RBM Assicurazione Salute (in collaborazione con il Censis), Il Servizio sanitario Nazionale e le Forme sanitarie Integrative, nella prospettiva di un Secondo Pilastro in Sanità, con introduzione dell’On Federico Gelli, Responsabile nazionale Sanità – Partito Democratico.
- Maria Michela Gianino, Jacopo Lenzi, Maria Pia Fantini, Walter Ricciardi, Gianfranco Damiani. Declining amenable mortality: a reflection of health care systems? BMC Health Services Research 2017; 17:735: 1-8.
- Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario Previsioni aggiornate al 2017 sulla base del nuovo quadro demografico Istat e dei nuovi scenari demoeconomici definiti in ambito UE. Roma, Giugno 2017
- Interpharmaph, Santé publique en Suisse 2017. Edition Impressum, Susse, 2017.
Grazie a Geddes e a Maciocco per avere sollevato il tema e spero che non sia che l’inizio. In proposito suggerisco anche le recenti prese di posizione da parte della Rete sostenibilità e Salute e del senatore Gaelli apparse su Quotidiano Sanità.
commento:
Finalmente si sta levando un coro di critiche alle teorie pilastresche variamente vestite diffuse da Censis, Bocconi, Statale di Milano, Legacoop, Unipol, Unisalute ecc. Da anni ormai, prima venticello ora rombo di cannone, dichiarano l’insostenibilità del Servizio Sanitario nazionale. Oltre a Vecchietti, stimati accademici come Ferrera, Longo, Colicelli ecc. in coro predicano la necessità del secondo welfare (vedi sito) e la trasformazione dell’universalismo in selettivo (sembra un ossimoro). GIMBE, onnipresente con le presentazioni del suo presidente Cartabellotta, gufa da anni del miserrimo destino del SSN e alla fine della tempesta perfetta descritta perora l’approdo alle sicure sponde delle assicurazioni private. La CGIL, non più di due mesi fa, nel convegno nazionale per la difesa del SSN, per bocca di Martini ha dichiarato di aver firmato i contratti con la sanità integrativa a malincuore, tirata per per i capelli. Le altre OO.SS., CISL e UIL sono da tempo sbarcate, senza crisi di coscienza, sui lidi del welfare aziendale con quella che viene chiamata contrattazione bilaterale. Tutte le categorie, lasciando ogni remora di classe, reclamano anche loro tutele sanitarie aggiuntive In questi anni poi dietro la sovrastruttura politica, ideologica, culturale, accademica e di marketing, sopraccennata,si è irrobustita la struttura economica delle assicurazioni ramo vita . A livello distributivo non c’è banca che non offra pacchetti assicurativi “meravigliao”. Non ultime le Poste Italiane e la Legacoop con iniziali check in di prevenzione veramente attrattivi. Salendo in su, verso i veri manovratori tipo Confindustria, ANIA, Ambrosetti ecc., vediamo sponsorizzazioni e finanziamenti di convegni, congressi, manifestazioni oltre a “position paper” dove si profetizza che i pilastri invece che due diventeranno tre e più. In questo quadro lo Stato Italiano nelle sue varie articolazioni o è assente, ad esempio non regolamenta la selva dei 300 fondi integrativi, il cui boom inarrestabile è stato, negli ultimi 8 anni, fecondato dai Decreti Turco e Sacconi, o è generoso (con i soldi di tutti) decretando dalla defiscalizzazione dei contributi sia delle imprese sia dei lavoratori. Per parlare in termini economicisti, odiati dalla professione medica ma a me cari, sembra che questi sconti assommano a circa 500 milioni quasi l’equivalente del superticket. Il Governo certo non interviene per bloccare tutti i fondi territoriali che stanno sorgendo ad opera di Regioni come l’Emilia Romagna, il Veneto e sembra la Liguria. La Lombardia vedrà dopo le elezioni. Se poi esaminiamo la lista dei contratti aziendali vediamo titolari di tutele aggiuntive i dipendenti pubblici stabili, a partire dalla Presidenza del Consiglio fino arrivare all’INPS o a numerosi enti territoriali (Regioni ecc.) Nella maggioranza dei casi la tutela prevede la prestazione sostitutiva del rimborso dei ticket versati. Ora anche l’esercito dei metalmeccanici et famiglie non avrà più il problema del ticket. Si può stimare che più di un quarto dei lavoratori stabilizzati è o sarà sollevato da questo peso grazie ad un contratto privato che invece permarrà per i loro colleghi precari e stagionali. Insomma l’universalismo selettivo è già marciante, operante e lotta con loro. Tornando a RBM, anche qui alcuni dati: se non sbaglio dal 2010 o poco prima la sua raccolta premi era di 10 milioni ora è di 500 milioni (2016). Riassicura decine di fondi di categoria ed aziendali e ovviamente vende polizze aggiuntive alle coperture previste contrattualmente. In poco tempo è diventata, con il suo marketing aggressivo,forse la prima società del settore in Italia, dopo aver superato le Generali e Unisalute. RBM fa parte di un gruppo di società PREVITAL di proprietà della famiglia Favaretto di Preganziol (TV) che offre pacchetti di previdenza integrativa ed ora di supporto alla costituzione dei welfare aziendali. RBM è riassicurata con MUNICH RE big mondiale delle assicurazioni a cui versa il 20% della raccolta premi. Recentemente ad un summit internazionale delle assicurazioni venne dichiarato che non saranno più solo pagatori ma vogliono essere giocatori ossia acquirenti di intere catene ospedaliere ed assistenziali. Il motivo è abbastanza ipotizzabile: attraverso la gestione diretta (e le prestazioni erogate e rimborsate) le assicurazioni avrebbero accesso ai Big data esistenziali della gente e su questi potranno selezionare i rischi e raggruppare la clientela attuale e futura escludendo chi ha le malattie più onerose. Mala tempora currunt.