La demenza si può prevenire

Gavino Maciocco

Un terzo dei casi di demenza possono essere prevenuti. Vi sono soggetti che pur presentando le alterazioni neuropatologiche tipiche della malattia di Alzheimer non hanno i sintomi della demenza. Queste ricerche hanno portato al concetto di “riserva cognitiva”: le persone che hanno questa riserva cerebrale possono tollerare danni neuropatologici senza soffrire di un declino cognitivo e funzionale e quindi sviluppare più lentamente la demenza rispetto a coloro che non hanno questa riserva.


 

La demenza è una delle maggiori sfide per la sanità del 21° secolo. Com’è ben noto, la demenza si manifesta soprattutto nelle persone anziane e la sua prevalenza cresce all’aumentare dell’età (Figure 1 e 2). Così in tutto il mondo la buona notizia dell’aumento della longevità si accompagna a quella meno buona dell’aumento del numero delle persone affette da demenza: nel 2015 erano nel mondo circa 47 milioni, e questo numero è destinato a triplicarsi nel 2050 (Figura 3).

Figura 1. Prevalenza della demenza in Europa, Maschi.

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Figura 2. Prevalenza della demenza in Europa, Femmine.

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Figura 3. Crescita nel numero di persone con demenza nei paesi ad alto e medio/basso reddito. Anni 2015-2050

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La demenza colpisce gli individui, che progressivamente perdono le loro capacità e abilità, e anche le persone che gli sono più vicine e che devono rispondere ai loro bisogni, dovuti alla progressiva perdita dell’autonomia e ai cambiamenti del comportamento. La demenza infine coinvolge l’intera società perché i pazienti richiedono un’intensa assistenza sanitaria e sociale. Nel 2015 il costo globale della demenza è stato stimato in 818 miliardi di dollari e destinato a crescere parallelamente all’aumento del numero dei pazienti. Circa l’85% di tale spesa è a carico delle famiglie e dei servizi sociali e solo la restante parte pesa sui servizi sanitari. Tuttavia i progressi nell’assistenza medica e nelle misure di sanità pubblica potrebbero nel futuro rimpiazzare o ridurre i suddetti costi.

La rivista Lancet ha istituito un gruppo di lavoro (“The Lancet Commission on Dementia Prevention, Intervention and Care”) che ha prodotto un corposo documento di 60 pagine, pubblicato lo scorso dicembre, che contiene le più recenti acquisizioni sulla materia, nella convinzione che “agire adesso sulla prevenzione e sulla gestione della demenza migliorerà la vita e anche la morte delle persone che ne sono affette e anche dei loro familiari, e di conseguenza trasformerà il futuro della società”[1].

Il primo messaggio del documento è tanto incoraggiante quanto inatteso: “Avendo messo insieme tutte le evidenze abbiamo calcolato che più di un terzo dei casi di demenza possono essere teoricamente prevenuti”.

Le prime ipotesi sulla possibilità di prevenire la demenza sono maturate dall’osservazione che in alcuni paesi ad alto reddito come USA, Canada, Svezia e Olanda si era verificata una riduzione dell’incidenza e della prevalenza età-specifica (all’interno cioè di una determinata fascia di età). In particolare due studi effettuati negli USA misero in evidenza come tale riduzione era legata al miglioramento dei livelli di istruzione. Accade cioè che le nuove coorti di popolazione anziana, più istruite rispetto ai predecessori, invecchiano meglio, sono cognitivamente più sane e si ammalano meno di demenza. Purtroppo a compensare (in peggio) i vantaggi di una migliore istruzione, che agisce come fattore protettivo, pesa negli Usa e in altri paesi, come la Cina, l’aumento della prevalenza dell’obesità, che è invece un importante fattore di rischio.

Alla prevenzione della demenza, ai relativi fattori di protezione e di rischio, è dedicata la prima parte del documento di Lancet, che specifica che nel termine “demenza” rientrano differenti tipi di “disordini neurocognitivi maggiori”: la malattia di Alzheimer, che è la forma più comune, la demenza vascolare, la demenza associata a traumi, infezioni e abuso di alcol, la demenza frontotemporale, la demenza da corpi di Lewy. La demenza è dunque un’entità eterogenea e le lesioni neuropatologiche, così come i fattori di rischio variano, talvolta coesistono, per differenti tipi di demenza. Ad esempio, le lesioni vascolari cerebrali, compresi gli ictus e gli infarti microvascolari, non solo possono condurre alla demenza vascolare, ma si ritrovano più frequentemente nelle persone anziane con malattia di Alzheimer rispetto a coloro senza malattia di Alzheimer. Gli individui che presentano lesioni neuropatologiche sia della malattia di Alzheimer che degli infarti lacunari hanno un danno cognitivo più severo di coloro che non hanno tali infarti.

Una delle acquisizioni più importanti e decisive sul fronte della prevenzione della demenza è stata l’osservazione che vi sono soggetti che pur presentando le alterazioni neuropatologiche tipiche della malattia di Alzheimer non hanno i sintomi della demenza. Queste ricerche hanno portato al concetto di “riserva cognitiva” (cognitive reserve): ovvero le persone che hanno questa riserva cerebrale possono tollerare danni neuropatologici senza soffrire di un declino cognitivo e funzionale e quindi sviluppare più lentamente la demenza rispetto a coloro che non hanno questa riserva. La “riserva cognitiva” si genera e si accumula, a partire dall’infanzia, attraverso l’istruzione, gli stimoli intellettuali e l’attività fisica: è stato osservato che un migliore stato socioeconomico durante la gravidanza e nei primi anni di vita ha un effetto protettivo rispetto al rischio di demenza nell’età anziana.  Queste ricerche indicano che il miglioramento della riserva cerebrale associata con gli interventi tesi a prevenire il danno cerebrale rappresentano la strada per promuovere la “resilienza cerebrale”, ovvero la capacità del cervello di resistere alle crisi.

Larga parte del documento della commissione è dedicata allo studio dei fattori di rischio della demenza, che conduce a queste conclusioni:

I nostri risultati suggeriscono che circa il 35% dei casi di demenza è attribuibile a una combinazione dei seguenti nove fattori di rischio, suddivisi in diverse fasi della vita:

Primi anni di vita

  1. Istruzione, almeno fino a 11-12 anni;

Età Matura

  1. Ipertensione
  2. Obesità
  3. Perdita dell’udito

Età anziana

  1. Depressione
  2. Diabete
  3. Inattività fisica
  4. Fumo
  5. Esclusione sociale.

L’eliminazione completa dell’apolipoproteina F (ApoF), uno dei principali fattori di rischio genetici della demenza, contribuirebbe in maniera significativa (7%) alla riduzione dell’incidenza”.

La Figura 4 mostra il contributo, in termini percentuali, dei succitati fattori di rischio modificabili alla demenza, considerando che in circa due terzi dei casi le cause non sono conosciute, probabilmente genetiche, e comunque al momento non modificabili.

Figura 4. Il contributo dei fattori di rischio modificabili alla demenza nel corso della vita

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Il gruppo di lavoro di Lancet raccomanda, in conclusione, un intervento di prevenzione basato su tre diverse strategie che, come si può notare nella Figura 5, hanno alcuni punti in comune:

  1. Aumentare la riserva cognitiva cerebrale, attraverso l’istruzione, la formazione continua e lo stimolo intellettuale, il mantenimento dell’udito, la costruzione di reti sociali (anche come strumento per prevenire la solitudine e la depressione) e l’esercizio fisico (che – è bene sottolinearlo – è presente anche nelle altre due seguenti strategie).
  2. Ridurre il danno cerebrale, attraverso la prevenzione e la riduzione dell’obesità, la cessazione del fumo, il trattamento del diabete, dell’ipertensione, dell’ipercolesterolemia, l’aderenza a un’alimentazione sana (con esplicito riferimento alla dieta mediterranea, che ritroviamo anche nella terza strategia).
  3. Ridurre l’infiammazione cerebrale, attraverso una dieta sana, l’uso di farmaci anti-infiammatori non steroidei e – come già accennato – l’esercizio fisico.

Figura 5. Le strategie per la prevenzione della demenza.

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Bibliografia

  1. Livingston G. et al. Dementia Prevention, Intervention and Care. Lancet 2017, 390: 2673-2734.

2 commenti

  1. complimenti per la chiarezza e la completezza dell’articolo su un argomento di grandissimo e impellente interesse, del quale si parla tanto in modo superficiale, ma che è in gran parte ancora sconosciuto. Aspetto la seconda puntata su quello che può essere fatto e che invece viene fatto dal punto di vista assistenziale. Mi riferisco ad esempio al potenziamento del personale di assistenza ad esempio delle RSA, che è attualmente assorbito quasi totalmente dall’assistenza alle persone con demenza (basta pensare al tempo necessario per l’alimentazione di queste persone, quando giustamente non si prende, come non si deve prendere, in considerazione la PEG che non è assolutamente indicata); altro problema è quello di essere assistito da un/una “badante” che in pochi si possono permettere (i più abbienti vanno incontro più difficilmente alla demenza, ma quando ne sono colpiti, possono essere assistiti meglio) ecc.
    Purtroppo la propaganda elettorale non prende minimamente in considerazione questa problematica, come altre riguardanti lo welfare (ad es. l’assistenza riguardante le persone non autosufficienti per le quali tutto sembra risolto col misero assegno mensile di €515,43 – indennità di accompagnamento – come stabilito dalla Legge 296!!). Visto che tutti propongono di togliere le tasse, nessuno a pensato ad ese. di sgravare dai contributi l’assegno di un/una badante
    Andrea

  2. La situazione e’ a dir poco tragica,considerando l’attuale abbandono delle istituzioni ai problemi degli esclusi alla socialita,qualsiasi ne sia il motivo.

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