Gli immigrati. Il futuro che arriva
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- 2 Luglio 2018
Ernesto Balducci
Si potrebbe dire, dunque, che gli immigrati sono qui con pieno diritto perché altro non fanno che chiederci conto della refurtiva. Ma il diritto degli immigrati non è soltanto di ordine morale. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e l’insieme dei documenti che essa in più di quarant’anni ha generato ci fanno obbligo di considerare ogni abitante del pianeta come un soggetto di diritti in forza dei quali, ad esempio, nessun uomo è veramente straniero in nessuna parte della Terra. A dispetto di tutto, l’insediamento degli immigrati tra di noi è una grandiosa occasione per avviare una civiltà veramente planetaria, il cui principio sia la diversità nell’uguaglianza e l’uguaglianza nella diversità.
“Vietato salvare. L’accordo Ue mette al bando le Ong. E i libici raccolgono cadaveri dei bambini”. Questa l’apertura della prima pagina dell’Avvenire (quotidiano d’ispirazione cattolica) di sabato 30 giugno, che sintetizza le conclusioni del vertice di Bruxelles. Un vertice europeo i cui ingredienti principali sono stati l’ignavia (parola del presidente della Croce Rossa Internazionale), l’egoismo e – dobbiamo dirlo – l’inciviltà e l’incultura. Di fronte a un fenomeno così profondo e sconvolgente, quale l’esodo di migliaia e migliaia di esseri umani dall’Africa, non si è levata una sola voce per proporre un’analisi approfondita delle cause, per indicare possibili soluzioni a medio e lungo termine, neppure una parola di pietà per il terribile carico di sofferenze e di morti che questo esodo comporta. C’era una volta l’Europa del diritto, dei Diritti universali dell’Uomo. Oggi sta tornando in scena l’Europa dei nazionalismi, la culla del fascismo e del nazismo e di due guerre mondiali.

In questo post i lettori troveranno un articolo di Ernesto Balducci, pubblicato su Cuamm Notizie nel 1990[1], dedicato al fenomeno migratorio, a quel tempo agli albori: articolo terribilmente attuale e per certi versi profetico. Ernesto Balducci, scomparso nel 1992, era un padre scolopio e intellettuale di punta ai tempi del Concilio Vaticano Secondo. Direttore della rivista Testimonianze, ha animato la vita religiosa e politica a Firenze e non solo. Tra il 1963 e il 1964 fu al centro della scena pubblica per le posizioni assunte sull’obiezione di coscienza. In un’intervista pubblicata il 13 gennaio 1963 su Il Giornale del Mattino di Firenze aveva sostenuto – criticando la sentenza di condanna di Giuseppe Gozzini, primo obiettore cattolico in Italia – che occorresse ridimensionare il concetto di patria e che in alcuni casi si avesse il dovere di disobbedire. Fu così denunciato alla procura della Repubblica e al contempo vennero presentati un esposto al provinciale degli scolopi e un’accusa al Santo Uffizio. Si aprì un processo contro di lui che si concluse, dopo l’assoluzione in primo grado, con una sentenza definitiva di condanna della Cassazione nel giugno 1964. La sentenza, che entrava nel merito di motivazioni di tipo religioso imputando allo scolopio un difetto di ortodossia, suscitò proteste e attestazioni di solidarietà nei suoi confronti. Non vi furono critiche alle sue posizioni da parte del Pontefice (ma dopo – anche per altri motivi – il Vescovo di Firenze gli rese la vita difficile). Anche Don Lorenzo Milani si schierò a favore dell’obiezione di coscienza al servizio militare ed è memorabile la sua lettera in risposta a un ordine del giorno dei cappellani militari della Toscana, di cui riportiamo alla fine dell’articolo di Balducci un breve brano.
Tutte le analisi del fenomeno migratorio di questi ultimi anni concordano in un punto: esso non può essere compreso se non viene collocato nel quadro delle interdipendenze che governano, in modo sempre più rigido, il rapporto tra i popoli. La specie umana ha sempre conosciuto gli spostamenti di intere popolazioni alla ricerca di nuovi spazi vitali in forza del principio che ha guidato l’evoluzione, quello della sopravvivenza. Ma oggi quegli spostamenti sono i riflessi di uno squilibrio globale che ha le manifestazioni più vistose nella crescente sproporzione demografica tra Nord e Sud del pianeta connessa alla sproporzione economica. Si rifletta soltanto su questi dati: nel 1950 la popolazione europea costituiva il 16% della popolazione mondiale: tra dieci anni sarà solo il 6%. Al progressivo decremento demografico dei paesi ricchi corrisponde l’incremento demografico dei paesi poveri con un grave riflesso nella sproporzione della disponibilità delle risorse: i paesi ricchi, con il 22% della popolazione mondiale dispongono dell’80% del prodotto globale, mentre i paesi poveri, con il 78% della popolazione mondiale dispongono appena del 20% del prodotto. E questo avviene proprio nel momento in cui, per effetto dell’evoluzione tecnologica, i popoli della terra hanno la coscienza di appartenere ad un medesimo villaggio, il cosiddetto villaggio globale.
Se si da uno sguardo al futuro si possono fare due ipotesi: quella di un nuovo ordine economico e politico planetario, fondato sulla democrazia, o quella di un’esplosione endemica della violenza. Nessun progetto politico è realistico se non si tiene conto di questa alternativa. La quale non sta ad attendere, si insinua nella nostra realtà sociale e politica giorno dopo giorno, costringendoci a misurarci con un problema che da solo mette in crisi le nostre tradizionali categorie politiche. Ritengo utile proporre alcune linee di approccio a questo problema con l’intento di dimostrare, appunto, la drammatica necessità di un cambiamento della nostra mentalità tradizionale.
Gli immigrati sono, tra noi, i testimoni scomodi di una grave inadempienza. Nel 1974 i paesi membri dell’ONU, quindi anche il nostro, firmarono la Dichiarazione sul Nuovo Ordine Economico Internazionale. Esso mirava a garantire ai paesi in via di sviluppo le condizioni per un decollo che appariva giustamente come una necessità per la stessa sopravvivenza dell’economia di mercato. Che ne è, dopo 16 anni? Il debito del Sud verso il Nord, che in quell’anno ammontava a 130 miliardi di dollari, è decuplicato. Globalmente il Sud invece di progredire è regredito fino alla disgregazione sociale (si pensi alla fuga dalle campagne e all’urbanizzazione selvaggia) e all’esplosione della violenza tribale, e all’aumento della morte per fame. I responsabili di questa regressione sono i paesi ricchi, la cui economia si nutre di questo dissesto e lo produce. Se molti arrivano dal Sud per fuggire a un destino di oppressione e di morte perché meravigliarci? Per mettere un argine alla valanga umana di cui conosciamo solo le prime avvisaglie, a poco servono le misure di polizia. Occorrerebbe fermarla alle origini instaurando un nuovo ordine economico. Ma nulla si oppone di più al liberismo economico da qualche anno trionfante.
Si potrebbe dire, dunque, che gli immigrati sono qui con pieno diritto perché altro non fanno che chiederci conto della refurtiva. Ma il diritto degli immigrati non è soltanto di ordine morale. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e l’insieme dei documenti che essa in più di quarant’anni ha generato ci fanno obbligo di considerare ogni abitante del pianeta come un soggetto di diritti in forza dei quali, ad esempio, nessun uomo è veramente straniero in nessuna parte della Terra. Esiste insomma una specie di “diritto cosmopolitico” che in certi casi può entrare in conflitto con le norme con cui uno Stato mira a proteggere l’ordine interno mediante il controllo degli accessi. Nel conflitto tra diritto cosmopolitico e diritto dello Stato è deplorevole che si ricorra alla forza. Le cosiddette nazioni democratiche, invece di concordare norme restrittive di tipo poliziesco dovrebbero studiare convenzioni adatte a un partico rispetto dei diritti dell’uomo. Tanto più che sta crescendo nella coscienza degli uomini e dei popoli una specie di ethos cosmopolitico al cui fondamento, come disse Einstein, c’è la coscienza di appartenere al genere umano prima che a ogni altra realtà sociale. Le risorse della terra appartengono all’intera famiglia umana. Urta contro un elementare sentimento morale il fatto che un bambino nato in Italia sia destinato a consumare quanto trenta bambini nati in Somalia. Alla base dell’attuale assetto dell’umanità c’è una flagrante ingiustizia che non può inquietare le coscienze. La contiguità tra uomini segnati dalla fame e dalla paura e uomini minacciati dalla stessa propria opulenza fa esplodere un’oscura inquietudine che forse è la vera radice del disagio della società contemporanea.
C’è un ultimo livello a cui sollevare il nostro confronto con gli immigrati, quello della diversità culturale. Nel passato noi abbiamo compiuto un vero genocidio delle culture. Abbiamo risolto l’incontro con l’‘altro’ o sopprimendolo o assimilandolo. È venuto il tempo di tentare una convivenza che potrebbe favorire un rapporto di mutuo rispetto e di reciproca fecondazione. È un capitolo nuovo della storia umana, questo, che da solo basterebbe a reggere questa conclusione: a dispetto di tutto, l’insediamento degli immigrati tra di noi è una grandiosa occasione per avviare una civiltà veramente planetaria, il cui principio sia la diversità nell’uguaglianza e l’uguaglianza nella diversità.

Nel febbraio del 1965 i cappellani militari della Toscana emanarono un comunicato stampa accusando i giovani italiani obiettori di coscienza di essere dei vili. In loro difesa intervenne don Lorenzo Milani con una lettera aperta agli stessi cappellani. Per questa lettera don Milani venne denunciato da un gruppo di ex combattenti e messo sotto processo. Impossibilitato a parteciparvi per l’aggravamento del tumore che lo porterà, di lì a poco, alla morte, scriverà allora una memoria difensiva sotto forma di una lettera ai giudici.
Della lettera di Don Milani ai cappellani militari (Leggi qui il testo completo) riportiamo qui sotto un breve brano).
“Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni. Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato e privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto.”
Ernesto Balducci (1922-1992). Vedi biografia Treccani
Lorenzo Milani (1923-1967). Vedi biografia Treccani
- Balducci E. Gli immigrati. Il futuro che arriva. Cuamm Notizie, N. 2, 1990, p. 30-31 (La rivista è tuttora in pubblicazione col nome di Salute e Sviluppo, a cura di Medici con l’Africa – Cuamm).
Un bambino emigrato
Tu bambino, che sei La luce della vita, sei scappato da un paese in guerra,
sradicato dagli affetti dai parenti, amici e della tua amata terra.
Tu bambino, che sei la speranza della vita, ti sei trovato in cammino nel deserto,
toccavi la sabbia, guardavi il cielo invocavi acqua, avevi tanta sete e ti sentivi disperso.
Tu bambino, che sei il fiore della vita, sei salito su un gommone, hai attraversato il mare,
guardavi il sole, le onde burrascose e avevi paura, non vedevi l’ora di toccare terra e arrivare.
Tu bambino, che sei la gioia della vita, finalmente su un’isola a te sconosciuta sei arrivato,
una gentile, dolce e umana accoglienza di tanti bravi volontari hai trovato.
Tu bambino, che sei l’amore della vita, in quella drammatica avventura ti sei trovato,
colpa di una società egoista e malata, la mancanza di un’equa distribuzione dei beni disuguaglianze hanno creato.
Tu bambino, che sei la dolcezza della vita, la tua avventura ci a commossi, speriamo in più umanità,
scuota le coscienze, apra le menti, l’amore trionfi per tutti i bambini sulla terra, ci sia la pace e più solidarietà.
Francesco Lena