Genova, 2001 e 2018.

Gavino Maciocco

C’è un filo che lega i due terribili sfregi che ha subito la città di Genova: quello recentissimo, il crollo del ponte Morandi, e quello più lontano nel tempo (luglio 2001) in occasione del G8: giorni di terribile violenza che impedirono che si desse voce alle 300mila persone che si erano pacificamente riunite per denunciare di fronte ai “Grandi della Terra”  i deleteri effetti della globalizzazione e delle politiche neo-liberiste, tra cui l’esproprio dei poteri dello Stato, l’attacco al welfare state e la spinta alla privatizzazione del patrimonio pubblico.

La città di Genova ha subito nella storia recente due terribili sfregi che, relativamente lontani nel tempo, sono in qualche modo tra loro collegati.

Uno, ancora sotto gli occhi di tutti, è il crollo del ponte Morandi avvenuto nello scorso agosto, con lo sconvolgente carico di distruzione e di morte, con centinaia di famiglie sfollate, con enormi disagi per la popolazione di Genova e dell’intera Liguria.

L’altro sfregio – forse meno cruento ma non meno grave e sconvolgente – risale al luglio 2001, in occasione del G8. “Fu una catastrofe, ricorda l’attuale capo della Polizia, Franco Gabrielli in un’intervista a Repubblica.  A Genova morì un ragazzo. Ed era la prima volta dopo gli anni della notte della Repubblica che si tornava ad essere uccisi in piazza. A Genova, un’infinità di persone, incolpevoli, subirono violenze fisiche e psicologiche che hanno segnato le loro vite. E se tutto questo, ancora oggi, è motivo di dolore, rancore, diffidenza, beh, allora vuol dire che, in questi sedici anni, la riflessione non è stata sufficiente. Né è stato sufficiente chiedere scusa a posteriori. Dopo dieci anni e dopo le sentenze di condanna definitive per la Diaz e Bolzaneto”.

I giorni del G8 di Genova sono ricordati per la violenza della polizia, a cui si aggiunse la violenza del black bloc, lasciati indisturbati a sfregiare anche loro la città. Quelle violenze impedirono che si desse voce alle 300mila persone – tra attivisti di ogni bandiera e colore, sindacalisti, ambientalisti, movimenti cattolici, migranti, studenti, professori, intellettuali, politici, giornalisti di tutto il mondo – che in quei giorni per le strade di Genova si erano pacificamente riunite per denunciare di fronte ai “Grandi della Terra”  i deleteri effetti della “loro” globalizzazione e delle “loro” politiche neo-liberiste.

George Bush e Tony Blair al G8 di Genova

La globalizzazione dell’economia e della finanza – scriveva David Coburn, sociologo canadese nel 2000 su Social Science & Medicine[1] – sta portando a una nuova fase del capitalismo in cui aumenta il potere degli affari e diminuisce l’autonomia degli Stati: la conseguenza è lo strapotere delle dottrine e delle politiche del mercato. Il declino del potere della classe lavoratrice rispetto a quello del capitale “globale” è caratterizzato dall’attacco al welfare state, dal predominio degli interessi delle imprese. Tutto ciò è associato a una minore capacità di contrattare politiche egualitarie e universalistiche nel campo dell’istruzione, della previdenza e dell’assistenza sanitaria e determina inevitabilmente una più elevata disuguaglianza nel reddito, una minore coesione sociale e, direttamente o indirettamente, un peggiore stato di salute della popolazione”.

La globalizzazione dei nostri giorni è quella della finanza e  dell’economia. Non è un caso che la Banca Mondiale abbia di fatto sostituito l’Organizzazione Mondiale della Sanità nell’indicare – e in certi casi imporre – le linee di politica sanitaria internazionale, che sono quelle della sanità a pagamento, delle privatizzazioni dei servizi e delle assicurazioni: in una parola della salute come bene di consumo, a disposizione di chi vuole, ma soprattutto  di chi ha i mezzi per acquistarla. Gli stessi G8 definiscono la salute come strumento di crescita economica, senza riconoscerla esplicitamente come diritto umano”. Questo si leggeva, fra l’altro, nella Dichiarazione di Erice (vedi Risorse), presentata a conclusione di un convegno tenuto nel marzo 2001 e che sarebbe stata oggetto di discussione al Genoa Social Forum se gli eventi di cui sopra non l’avessero impedito.

Ma la discussione e la partecipazione “No Global” non si fermò: a febbraio 2002 si tenne il Forum di Porto Alegre  e a novembre dello stesso anno, a Firenze, il Forum Sociale Europeo. Soffiavano in quei giorni i tempestosi venti di un intervento armato che gli USA e i suoi alleati stavano preparando contro l’Iraq: per questo motivo l’incontro di Firenze si trasformò in una straordinaria e pacifica manifestazione contro la guerra.  “Quando – riferivano le cronache locali – la testa del serpentone colorato contro la guerra arriva al termine del percorso di sei chilometri, allo stadio comunale «Franchi», la coda si è appena mossa dalla Fortezza da Basso: le forze dell’ordine dicono 450.000, gli organizzatori oltre 700.000, forse un milione. La gente, lungo il percorso, applaude, offre tè, caffè, panini e offre i bagni di casa propria per chi ne ha bisogno. In molti espongono striscioni e bandiere pacifiste, mentre il centro storico è pressoché deserto. I ‘Black bloc’, il pericolo nero, non si è fatto vedere”.

Vedi video: Firenze Social Forum (2002)

Ma guerra sarà. Avviata nel marzo 2003 sulla base di prove false (le fantomatiche armi di distruzione di massa di Saddam). Pervicacemente voluta George Bush e Tony Blair per mettere le mani sul petrolio iracheno, questa guerra non solo provocherà immani distruzioni e la morte di centinaia di migliaia di civili, ma sarà gravida di micidiali conseguenze a distanza: la totale destabilizzazione dell’area, la nascita dell’Isis, la dissoluzione della Siria con i suoi milioni di profughi. Nello stesso tempo le politiche neo-liberiste si rafforzeranno per effetto della deregulation della finanza, propiziata dalla promulgazione di una legge da parte del Presidente Clinton[2], che sarà all’origine della crisi bancaria globale del 2008 e della gravissima recessione economica che ne seguirà.

Le analisi dei vari David Coburn, Noam Chomsky, Naomi Klein, Robert Stiglitz, Ken Loach, Spike Lee, Wim Wenders erano giuste. I movimenti No Global avevano ragione su tutta la linea. Ma come titola il bel libro di Marco Revelli, “La lotta di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi”. Ha vinto il capitale a scapito e a danno del lavoro, hanno vinto quelli fanno i soldi con i soldi e non col lavoro, ha vinto chi condivide la frase di Reagan “Lo Stato non è la soluzione dei problemi, lo Stato è il problema” e avanti tutta con le privatizzazioni, ha vinto alla fine quell’1% più ricco della popolazione a scapito e a danno del restante 99%.

Hanno vinto (finora) i concessionari privati di strutture pubbliche che, sfruttando la complice latitanza dello Stato, hanno accumulato enormi profitti a spese della collettività e (nel caso del crollo del ponte di Genova ) con un letale danno per le persone e per la città.  “Quello di Genova – ha scritto Nadia Urbinati su Repubblica – è l’esito di una politica radicale di privatizzazioni del patrimonio pubblico che dalla fine del secolo scorso ha segnato tutti i governi che si sono succeduti, al di là delle sigle e delle maggioranze”. Una politica “più radicale negli esiti di quel che è avvenuto in altri paesi, perfino quelli che come la Gran Bretagna hanno guidato la strada alla privatizzazione dello stato sociale”.  “La filosofia del nostro sistema – ha affermato il Procuratore di Genova, Francesco Cozzi, in un’intervista al Corriere della Sera – vede oggi uno Stato espropriato dei suoi poteri, una sorta di proprietario assenteista che ha abdicato al ruolo di garante della sicurezza. Come se avesse detto al privato, veditela tu”.

Anche nella sanità si è assistito a un processo analogo, di indebolimento progressivo del sistema pubblico per favorire l’espansione del settore privato. Anche qui abbiamo avuto uno Stato latitante quando per anni nessuno si è mosso di fronte al prevedibilissimo crollo del numero dei medici del SSN. Anche qui abbiamo avuto un occhio di riguardo nei confronti dei concessionari privati, come nel caso toscano del Project financing applicato alla costruzione e gestione di 4 ospedali (vedi post Se la sinistra si fa destra. Il caso Toscana).

Post scriptum

Oggi, qualcuno legittimamente si potrebbe chiedere che fine abbiano fatto il movimento No global e le centinaia di associazioni multicolore che lo componevano, dove siano finite le centinaia di migliaia di persone che sfilarono a Genova (buscandole) e a Firenze (in santa pace). Avevano visto giusto. Rispetto a quello che è successo dopo, dalla guerra del Golfo in poi, potrebbero orgogliosamente affermare: “l’avevamo detto”, ma tutto ciò non conta. Di quel movimento a livello internazionale, e ancor più nazionale, è rimasto ben poco. Perché è venuta meno la politica. Perché la sinistra a livello internazionale, e ancor più nazionale, ha sposato il neo-liberismo e la linea delle privatizzazioni, mettendosi più o meno apertamente dalla parte dei grossi gruppi imprenditoriali e bancari. La sinistra ha tradito la sua ragione sociale, ha perso le sue radici e di conseguenza il suo elettorato.  Ma di qualcuno che, da sinistra, si batte contro il neo-liberismo – in difesa della dignità delle persone, della loro uguaglianza e libertà – c’è assoluto bisogno.  Forse dentro quei movimenti, che oggi sono muti e invisibili, si nasconde l’energia per risalire la china.

Risorse

Dichiarazione di Erice sull’equità e il diritto alla salute [PDF: 57 Kb], Marzo 2001

Bibliografia

  • Coburn D. Income Inequality, Social Cohesion and Health Status of Populations, Social Science & Medicine 2000, 51(1), Pages 135-146.
  • Nel 1999 il Congresso, a maggioranza repubblicana, approvò una nuova legge bancaria promossa dal Rappresentante Jim Leach e dal Senatore Phil Gramm, promulgata il 12 novembre 1999 dal Presidente Bill Clinton, nota con il nome di Gramm-Leach-Bliley Act. La nuova legge ha abrogato le disposizioni del Glass-Steagall Act del 1933 che prevedevano la separazione tra attività bancaria tradizionale e investment banking.

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