La Cina in Africa. Fra cooperazione e neocolonialismo

Maurizio Murru

La Belt and Road Initiative (BRI), la cosiddetta “Nuova via della seta”, lanciata nel 2013, è un pilastro della politica estera ed economica del Presidente Xi Jinping. Si tratta di una iniziativa ciclopica che mira a connettere una settantina di paesi in Asia, Africa ed Europa, con il 65% della popolazione mondiale, produttori di più del 30% del PIL globale e detentori del 75% delle riserve energetiche conosciute. Nel giugno 2017 è stata inaugurata la “Madaraka Express”, ferrovia che, per ora, unisce Nairobi a Mombasa. Una volta completata dovrebbe legare, con un percorso di quasi 3.000 chilometri, Kenya, Uganda, Tanzania, Rwanda, Burundi, Etiopia e Sud Sudan. Nei prossimi anni il peso della Cina in Africa è destinato a crescere. Le ambizioni cinesi sono impressionanti per la loro portata economica, geografica e cronologica.

Gli interventi cinesi in Africa vanno indietro nel tempo. Negli anni immediatamente successivi alle indipendenze erano improntati alle rivalità con Occidente e Unione Sovietica (in Zimbabwe la Cina sostenne Mugabe, l’URSS Nkomo). Il progetto più significativo fu la costruzione, fra 1970 e 1975, della “Uhuru Railway”, la “Ferrovia della libertà” o TAZARA (Tanzania-Zambia Railway), lunga 1860 Km, che collega le miniere di rame dello Zambia con il porto di Dar es Salaam. La Cina finanziò il progetto con un prestito senza interessi di 400 milioni di dollari, equivalente, oggi, a circa 2,5 miliardi $: l’impegno finanziario cinese all’estero più ingente di quegli anni. L’importanza della ferrovia era non solo economica ma anche, e soprattutto, politica: liberava lo Zambia dalla dipendenza dai porti di Sudafrica e Rodesia allora sotto regimi segregazionisti[1].

Negli ultimi due decenni la Cina è diventata il più importante partner economico dell’Africa: gli scambi commerciali sono aumentati da 10 a 174 miliardi di dollari fra il 2000 e il 2017 e gli investimenti da 10 a 60 miliardi di dollari dal 2010 al 2017[2]. Includendo i flussi finanziari informali si arriva a cifre superiori di almeno il 15%[3]. Secondo il Presidente della African Development Bank, i Cinesi in Africa sono circa  1.300.000[2]. Secondo uno studio pubblicato da McKinsey, operano in Africa più di 10.000 imprese Cinesi.  Il 90% di esse è posseduto da privati[3]. L’intervento Cinese in Africa è una strategia a lungo termine del Governo di Pechino ma, anche, una scelta di mercato di imprese e cittadini. Secondo quanto dichiarato da cinesi che lavorano in Africa, “In Cina l’economia è fiorente ma la competizione è feroce. L’Africa è ancora una terra ricca di promesse”[4].

Il 2 settembre l’Unione Africana ha inaugurato la sua prima rappresentanza diplomatica in Cina[5]. Il 3 e il 4 settembre si è tenuto a Pechino il settimo “Forum on China Africa Co-operation” (FOCAC) che, dal 2000, si svolge ogni tre anni (alternativamente in Africa e Cina) con la partecipazione del Presidente Cinese e dei Capi di Stato e di Governo degli Stati Africani[6].  Quest’anno hanno partecipato 48 Capi di Stato. Cinque hanno partecipato hanno inviato rappresentanti di alto livello. Non ha partecipato lo eSwatini (già Swaziland)  che, unico in Africa, ancora mantiene rapporti diplomatici con Taiwan.

A coronamento dell’incontro, Pechino ha promesso agli stati Africani 60 miliardi di dollari nei prossimi tre anni: 50 miliardi verranno dal governo e 10 da compagnie private. Negli ultimi quattro incontri l’aumento degli impegni finanziari cinesi era stato esponenziale (5 miliardi nel 2006, 10 nel 2009, 20 nel 2012 e 60 nel 2015)[6]. Per i prossimi tre anni, cinque miliardi all’anno saranno elargiti sotto forma di doni, prestiti senza interessi e prestiti agevolati. Questo farà della Cina il terzo donatore in Africa dopo gli USA (quasi 12 miliardi nel 2016) e l’UE (11 miliardi nel 2016)[7]. Gli aiuti governativi Cinesi saranno gestiti dalla neonata agenzia cinese per la cooperazione internazionale: “State International Development Co-operation Agency” (SIDCA).

Attualmente, il 90% delle esportazioni cinesi in Africa è costituito da prodotti con alto valore aggiunto come macchinari ed equipaggiamenti mentre il 75% delle esportazioni Africane verso la Cina è costituito da materie prime[2]. Questo squilibrio potrebbe cambiare anche grazie allo stesso intervento Cinese. Nel FOCAC del 2015 la Cina ha aperto il “China-Africa Industrial Capacity Cooperation Fund” finanziandolo con 10 miliardi di dollari. Tre anni dopo sono stati realizzati solamente sei progetti, per un totale di 542 milioni di dollari, ma il fondo rimane in piedi[8]. Con il contributo Cinese è stato realizzato il Parco Industriale di Hawassa, in Etiopia, che ha attratto 15 industrie per la produzione di abbigliamento, sei delle quali stanno già esportando i loro prodotti. Simili parchi industriali sono in corso di realizzazione, con prestiti Cinesi, in Kenya e Rwanda. A causa dell’aumentato costo del lavoro in patria, molte imprese cinesi stanno delocalizzando[9] e l’Africa, come riportato più sopra, “… è ancora una terra ricca di promesse”.

Nel 2015 Cina e Sudafrica hanno stipulato un accordo triennale per uno scambio di valute pari a 4,8 miliardi di dollari[10]. L’anno dopo un accordo simile, per un valore di 2,6 miliardi di dollari, è stato stipulato con l’Egitto[11]. Nel maggio scorso un terzo accordo è stato stipulato con la Nigeria per un valore di 2,5 miliardi di dollari[12]. Questi scambi di valuta (stipulati dalla Cina con una ventina di paesi fuori dall’Africa) permettono scambi commerciali bilaterali usando valute nazionali, aggirando le “valute internazionali di riferimento”, soprattutto dollari americani. Pechino intende internazionalizzare la sua valuta, il  renminbi. È significativo che fra i primi paesi coinvolti figurino anche le tre più forti economie Africane.

Fra il 2000 e il 2016 il governo cinese ha elargito prestiti a paesi Africani pari a circa 125 miliardi di dollari[13]. Secondo molti osservatori, il debito pubblico di molti paesi Africani con governo e società private Cinesi costituisce un grave problema[14,15,16,17]. I pagamenti sono spesso effettuati con forniture di materie prime e gli accordi prevedono riaggiustamenti in base alle variazioni del loro prezzo sul mercato. Negli ultimi 14 anni l’Angola ha contratto con la Cina debiti per oltre 19 miliardi di dollari da ripagarsi, per lo più, con forniture di petrolio[7]. Nel 2017 il porto di Hambantota, nello Sri-Lanka, è stato dato in leasing per 99 anni a compagnie di stato Cinesi dal momento che Colombo non era in grado di ripagare i debiti contratti con Pechino per la sua costruzione[8]. E’ plausibile che qualche cosa di simile accada con le numerose infrastrutture costruite ed in costruzione in Africa con tecnologie e prestiti cinesi.

Gibuti ha contratto debiti con la Cina per 1,4 miliardi di dollari, pari al 75% del suo Prodotto Interno Lordo[18]. La Cina ha partecipato alla costruzione del grande terminal portuale di Doraleh, nel porto di Gibuti. Ha anche finanziato la costruzione dell’acquedotto e della ferrovia di 750 Km che fra Gibuti ed Etiopia. Per la costruzione della seconda, l’Etiopia ha contratto un debito di 4 miliardi di dollari con Pechino. Questo debito è stato ristrutturato e dovrà essere ripagato in 30 anni, non più di 10 come inizialmente concordato[19].

Gibuti è importante anche nell’ambito della Belt and Road Initiative (BRI), la cosiddetta “Nuova via della seta” che, lanciata nel 2013, è un pilastro della politica estera ed economica del Presidente Xi Jinping. Si tratta di una iniziativa ciclopica che mira a connettere una settantina di paesi in Asia, Africa ed Europa, con il 65% della popolazione mondiale, produttori di più del 30% del PIL globale e detentori del 75% delle riserve energetiche conosciute[20,21,22].  Vista la sua complessità non si può nemmeno dire che sia un “piano” (che, in effetti, non esiste) ma un insieme di piani, iniziative, progetti, spesso slegati fra loro ma tenuti insieme da una visione di portata globale senza limiti cronologici definiti[23]. È una sorta di marchio che, teoricamente, potrebbe inglobare tutti gli interventi Cinesi all’estero. Gli investimenti ipotizzati, per la costruzione di strade, ponti, ferrovie, porti, linee telefoniche, ammonterebbero a 4.800 miliardi di dollari, in parte erogati dalla Cina e in parte dai paesi interessati, spesso tramite prestiti. La Banca Mondiale è già impegnata in molti paesi interessati dalla BRI con vari progetti per un valore di circa 80 miliardi di dollari[23]. La BRI, in Africa, si integra, almeno sulla carta, con la ambiziosissima “Agenda 2063”, elaborata dall’Unione Africana.  Nell’arco dei prossimi 50 essa anni preconizza una completa integrazione dei 54 paesi del continente. Auspica, fra l’altro, una rete ferroviaria continentale ad alta velocità, un’area continentale di libero scambio commerciale che, unitamente alla creazione di un passaporto continentale, permetta la libera circolazione di merci e persone, la creazione di una unica compagnia aerea Africana, la creazione di una università virtuale Africana e, a coronare il sogno, il “silenzio delle armi” sull’intero continente[24]. La generosa ambizione di questa visione sconfina nella velleità di una pia illusione. Il “matrimonio” fra BRI e Agenda 2063 potrebbe essere un mezzo, forse l’unico, per far dare concretezza all’utopia. Per il momento, la BRI interessa soprattutto l’Africa orientale coi sui porti sull’Oceano Indiano, da Bagamoyo in Tanzania a Mombasa in Kenya oltre a quello di Gibuti. Ci sono però già accordi con Egitto e Marocco, dove è stata creata un’area di libero scambio e con il Senegal. Come con molte “grandi opere”, in Africa e altrove, assieme a risultati positivi, non mancano gravi episodi di corruzione, danni ambientali, ingiuste espropriazioni a danno dei più deboli[25].

Nel giugno 2017 è stata inaugurata la “Madaraka Express”, ferrovia che, per ora, unisce Nairobi a Mombasa. Una volta completata dovrebbe legare, con un percorso di quasi 3.000 chilometri, Kenya, Uganda, Tanzania, Rwanda, Burundi, Etiopia e Sud Sudan. E’ stata costruita dalla compagnia statale “China Road and Bridge Corporation” e finanziata con un prestito Cinese di 3,8 miliardi di dollari. La cifra, equivalente al 6% del PIL Keniota, dovrebbe essere restituita entro la fine del 2020[26]. La Cina detiene il 70% del debito pubblico Keniota[27]. Un altro paese intrappolato nella “diplomazia del debito” cinese? Nel breve termine sembra così. Non manca l’inevitabile componente opaca: nell’agosto scorso due alti funzionari Kenioti sono stati arrestati per operazioni illecite legate alla costruzione della ferrovia[28]. Nel suo primo anno di attività la ferrovia ha operato in perdita ma il traffico di merci e passeggeri è in crescita[23]. La tendenza positiva dovrebbe accentuarsi nei prossimi anni (o decenni), specialmente quando altre tratte verranno completate. Sono già iniziati i lavori per raggiungere il confine con l’Uganda. La realizzazione di questa ferrovia accentua il passaggio da progetti infrastrutturali bilaterali alla creazione di corridoi commerciali su base regionale per mettere in comunicazione diversi paesi favorendo la loro integrazione. Mentre il governo Americano, non unico, esprime ostilità e sospetti nei confronti delle iniziative Cinesi in Africa (e altrove)[17], varie compagnie private Americane, come General Electrics, Caterpillar, Honeywell e persino Erik Prince (una agenzia di sicurezza) si sono proficuamente inserite nel mare di opportunità della BRI[29].

Fra il 26 giugno e il 10 luglio scorsi si è tenuto a Pechino il primo “China-Africa Defense and Security Forum”. La Cina ha assicurato ai 49 paesi presenti (più una delegazione dell’Unione Africana) la propria assistenza per contrastare pirateria e terrorismo[30]. La Cina è il secondo fornitore di armi all’Africa dopo la Russia e prima degli USA[31]. Militari Cinesi sono presenti sul continente nell’ambito di varie Missioni delle Nazioni Unite. Fra i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, la Cina è quello col maggior numero di militari impiegati in missioni ONU in Africa (2.519, di cui oltre 1000 in Sud Sudan) e secondo agli USA per il finanziamento di tali missioni[13]. Nel 2017, la Cina ha aperto la sua prima base militare all’estero a Gibuti, strategicamente situata sullo Stretto di Bab el- Mandeb, che controlla il passaggio fra il Mar Rosso e il Golfo di Aden. Gibuti ospita già una base Americana una Francese, una Giapponese ed una Italiana.

In Africa, come nel resto del mondo, la Cina persegue i propri interessi attraverso interventi governativi e privati. È nella natura delle cose. Lo hanno fatto e continuano a farlo tutti paesi del mondo. Inclusi quelli che criticano la Cina perché lo fa. Contrariamente a quanto suggerito da una consolidata mitologia mediatica, nel lungo termine, gli interessi cinesi si fondono più spesso di quanto si pensi, con quelli di molti paesi Africani[32]. Nei prossimi anni il peso della Cina in Africa crescerà. Le ambizioni Cinesi sono impressionanti per la loro portata economica, geografica e cronologica. I dirigenti Cinesi, più di quelli Americani o  Europei, pensano nel lungo termine e agiscono di conseguenza. Ne hanno i mezzi, il tempo, la volontà e, a quanto pare, le capacità.

Bibliografia

  1.  Tanzania-Zambia Railway: a bridge to China? The New York Times, 29.01.1971
  2. African Development Bank Group, September 5th 2018, “Africa is the place to be” African Development Bank tells Chinese business leaders at the China Africa Forum
  3. McKinsey&Company, 2017, Dance of the lions and dragons, How are Africa and China engaging and how will the partnership evolve?
  4.  Chinese workers and traders in Africa, a long way from home. The Economist,  17.05.2018
  5. African Union launches China-funded office in Beijing, 5.09.2018
  6. The China Africa Research Initiative, September 3rd 2018, China’s FOCAC Financial Package for Africa 2018: four Facts
  7. FOCAC 2018: top takeaways from the China-Africa summit. Overseas Development Institute,  06.09.2018.
  8. Foresight Africa Viewpoint:- China’s engagement in Africa: what can we learn in 2018 for the $ 60 billion commitment? Brookings, 30.01.2018
  9. China Africa Research Initiative, August 2018, What kind of “Chinese Geese” are flying to Africa? Evidence from Chinese manufacturing firms, Working Paper N° 18
  10. Bloomberg Institution, Nigeria, China sign $ 2,4 billion currency swap to lift trade.
  11.  China signs 3-yr18 bln yuan bilateral currency swap with Egypt. Reuters, December 6th 2016,
  12. Nigeria-China currency swap. Daily Trust, 16.05.2018
  13. Despite debt woes, Africa still sees China as best bet for financing. The East African, 31.08.2018
  14.  China “debt-book diplomacy”: how China is turning bad loans into strategic investments. The Diplomat, 13.05.2018
  15.  Increasing debt in most African countries is a cause for worry. The Economist, 08.03.2018
  16. China using “debt-book diplomacy” to spread its strategic aims in Asia Pacific. CNN, 18.05.2018
  17. “Weaponizing capital”: US worries over China’s expanding role in Africa. CNN, 14.05.2018
  18. Examining the debt implications of the Belt and Road Initiative from a policy perspective, Policy Paper 121 Center for Global Development, May 2018
  19. African countries seek relief from Chinese loans. The East African, 17.09.2018
  20. Belt and Road Initiative, Brief, The World Bank, 29.03.2018
  21. Your guide to understanding OBOR, China’s new silk road plan, Huang Zheping, 15.05.2017
  22.  What is China’s belt and road initiative? The Guardian, 30.06.2018
  23.  Here are 3 lessons Europe can learn from China’s flourishing start-ups. World Economic Forum, 15.09.2018
  24. African Union, 2015, Agenda 2063, The Africa we want, Popular Version, Final Edition
  25. A Chinese company reshaping the world leaves a troubled trail. Bloomberg Businessweek, 19.09.2018
  26. Kenya’s Mombasa-Nairobi rail service to break even by 2020. The New Tinmes, 03.08.2018
  27.  Kenyan railway hit by losses in first year. Public Finance International, 19.07. 2018
  28. Kenya arrests two top officials on corruption charges over $3 billion Railway. The New York Times, 11.08.2018
  29. American companies and Chinese belt and road in Africa. Brookings Institute, 11.07.2018
  30.  China-Africa security Forum concludes in Beijing. Africa Times, 11.07.2018
  31. Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), March 2018. Trends in International Arms Transfers 2017
  32. Is China a friend of Africa? World Economic Forum, 07.11.2013

Un commento

  1. Secondo quanto riportato in questo rapporto, sembra ovvio che i cinesi in Africa stiano facendo solo del “bene”. Come mai l’U.E., più in particolare il Presidente Taiani cosi’ comemolti altri politici europei, non fanno altro che denigrare il loro operato clmassificando come nuovo colonialismo la cooperazione cinese in Africa?

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