Reddito di salute! Una proposta “indecente”?
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- 19 Settembre 2018
Rapporto Rbm – Censis ci spiega che: “…sulla base delle simulazioni condotte, la scelta di sottoscrivere una Polizza Sanitaria o di aderire ad un Fondo Integrativo risulta decisamente più conveniente per il cittadino rispetto al pagamento di tasca propria delle cure private”. Questo confronto fra spesa out of pocket e la sua benefica sostituzione con Polizze e Fondi sanitari si basa su tre presupposti, ovvero su tre affermazioni, completamente false.
dire, fare, commettere un’i., delle indecenze.
Frequente in frasi esclamative, come espressione di sdegno
davanti a fatti o situazioni sconvenienti, o
che per qualche motivo suscitino risentimento e riprovazione:
è un’i., una vera i.!; che i.!; che cos’è questa indecenza? (Treccani)
Ho letto in questa estate l’aggiornamento del VIII Rapporto Rbm – Censis, pensando che contenesse una eliminazione o quantomeno rettifica alla proposta di Reddito di salute[1]. Al contrario, tale esilarante ipotesi è stata nuovamente avanzata sul supplemento economico del Corriere della sera. “Si potrebbe introdurre un reddito di salute – spiega il CEO di Rbm – magari come componente strutturale di quello di cittadinanza, oppure assegnare un voucher con cui finanziare un’assicurazione sociale integrativa [cioè, intende, quella che io presiedo…] per tutti coloro che ancora non dispongono di una polizza o di un fondo integrativo. Pagare le cure private di tasca propria, infatti, non solo non è equo, ma soprattutto non è mai conveniente per i cittadino. Al netto dei benefici fiscali, cioè la detrazione per le spese mediche, il costo aggiunto sostenuto da ogni cittadino per le cure private è pari in media a 530 euro. Una polizza o un fondo sanitario integrativo garantiscono un risparmio medio di quasi 245 euro, considerando il differenziale medio fra il costo, gli importi rimborsati e la deduzione media.”[2]
Tale ipotesi, o meglio proposta al nuovo Governo, nasce da un presupposto ampiamente illustrato nel Rapporto, sia a parole che con gli opportuni grafici e figure, che sono assai suggestivi e convincenti. L’illustrazione contenuta nel Rapporto mette infatti a confronto i benefici della sanità integrativa, ove venissero a sostituire la spesa privata out of pocket (OoP)[3] (vedi Figura 1).
La bilancia sulla destra evidenzia il costo medio della spesa out of pocket, che risulta di 654,89 €, entità che viene tuttavia ridotta, grazie ai benefici fiscali di cui si giova (124,43€), a 530, 46€.
Tale spesa, se invece fosse intermediata da Polizze sanitarie o dai Fondi integrativi, come proposto dal Rapporto e poi sviluppato in una serie di ipotesi finanziaria per il totale della popolazione, assommerebbe a 339,81 € pro capite effettivamente pagati dall’assicurato e 113,27 € finanziati “indirettamente” dallo Stato in ragione della loro natura di oneri deducibili. Il rimborso medio che si ottiene è di 425,96 € a cui poi, il Rapporto afferma, è necessario tener conto di un’ulteriore decurtazione di 96,52 € derivante dal contenimento del costo delle cure private per effetto della negoziazione delle tariffe delle Strutture Sanitarie e/o dei medici convenzionati attuata dalla Compagnia Assicurativa o dal Third Party Administrator del Fondo Integrativo! Il vantaggio medio sarebbe quindi 243,13 €, come indicato anche nella recente dichiarazione al Corriere della sera?
Il Rapporto ci spiega, a commento di tale suggestiva immagine, che: “… sulla base delle simulazioni condotte, la scelta di sottoscrivere una Polizza Sanitaria o di aderire ad un Fondo Integrativo risulta decisamente più conveniente per il cittadino rispetto al pagamento di tasca propria delle cure private”.
Questo confronto fra spesa out of pocket e sua benefica sostituzione con Polizze e Fondi sanitari si basa su tre presupposti, ovvero su tre affermazioni, completamente false.
- La prima affermazione è che nelle attuali Polizze assicurative e Fondi sanitari siano mediamente comprese le prestazioni che il cittadino si paga out of pocket. Ma scherziamo?
La spesa privata, valutabile a 39.680 milioni di euro (escludendo 3.362 milioni che vengono “restituiti” dallo Stato sotto forma di detrazioni fiscale), ha questa composizione[4]:
- 1.310 milioni sono relativi all’acquisto di farmaci di fascia A, virtualmente a carico del Ssn, ma che i cittadini acquistano in autonomia per loro volontà (3,3%)
- 1.500 milioni sono destinati alla compartecipazione della spesa per i farmaci, ma di questi un miliardo viene sborsato per acquistare farmaci brand al posto degli equivalenti (3,8%)
- 5.900 milioni sono destinati a prodotti omeopatici, erboristici, integratori, nutrizionali, parafarmaci, etc. (14,9%)
- 5.215 milioni vengono spesi per farmaci di fascia C e di automedicazione, buona parte dei quali sono di efficacia non dimostrata (13,1%)
- 11.000 milioni (che includono € 1.300 milioni di ticket) sono destinati a visite specialistiche ed esami diagnostici di laboratorio e strumentali, di cui una variabile percentuale del 30-50%, secondo stime internazionali, è inappropriata (27,7%)
- 8.500 milioni vanno per le cure odontoiatriche (21,4%)
- 2.255 milioni per l’assistenza ospedaliera (5,7%)
- 3.000 milioni per la long-term-care ( 7,6%)
- 1.000 milioni per protesi e ausili (2,5%).Ora voi leggete le offerte assicurative, le polizze, gli accordi che consentono a ormai molteplici categorie di dipendenti di usufruire di Fondi sanitari e spiegatemi da dove ci si può togliere dalla testa che questi “prodotti” sopra elencati, che compongono appunto la spesa out of pocket mostrata nella bilancia, siano offerti, mediamente, ai potenziali “neo mutuati”? I farmaci acquistati per loro volontà, compresi in fascia C? Integratori nutrizionali e omeopatici? La long-term care? Le cure odontoiatriche di qualsiasi tipo, anche la pulizia dei denti (compresa, ovviamente, nella spesa out of pocket)?
- Il secondo presupposto del confronto, suggerito dalle due bilance, consiste nel fatto che la popolazione generale, che consuma farmaci, presidi e prestazioni in out of pocket, sia identica a quella che attualmente è coperta da Polizze e Fondi, e quindi i consumi dell’una siano rappresentativi di quelli dell’altra. Anche questa è ovviamente una, enorme, falsità. Basta scorrere l’elenco dei clienti di Rbm che sono, solo esemplificativamente: Gruppo Unicredit, Eni, Ikea, Fc Juventus, Ac Milan etc. o di chi ha sottoscritto accordi sindacali con acceso ai Fondi: Luxottica, Metalmeccanici… Queste persone, e in alcuni casi il loro nucleo familiare, sarebbero quindi rappresentativi della popolazione in genere? Ma la spesa out of pocket più elevata, come si apprende dallo stesso Rapporto, è effettuata dagli anziani; in riferimento a un valore medio 100 i valori per fascia di età sono: 65 anni e più = 131,4; 35 – 64 anni = 85,7; 18 – 34 anni = 72,4[4]. Cioè, anche al di là del contenuto dei pacchetti di prestazioni oggetto del confronto, gli attuali assicurati con Fondi e Polizze sono una (approssimata) rappresentazione di quelli che spendono di meno in out of pocket e non certo della popolazione generale a cui la proposta si riferisce
- Infine si presume che la copertura assicurativa non modificherà e non incrementerà i consumi precedentemente sostenuti in out of pocket, vale a dire che ogni persona, una volta assicurata – e trattasi della popolazione generale – non incrementi le molte prestazioni improprie o di non provata efficacia, siano essi integratori, erboristeria, farmaci brand al posto degli equivalenti, annullando così anche l’unico ticket che non si configura, a mio parere, come tassa sulla salute.
Un’ultima considerazione, un po’ a spanne: dal confronto esposto nel Rapporto i Fondi incasserebbero 339,81 € pro capite effettivamente pagati dall’assicurato e 113,27 € finanziati “indirettamente” dallo Stato, per un totale di 453,08 €. Da tale somma sottraiamo 20 – 25% di spese amministrative e 20 – 25% di accantonamento o riassicurazione, oltre al 2- 5% di profitti per gli azionisti o proprietari diretti delle assicurazioni. Si oscilla fra il 42% e il 55% che riduciamo, prudenzialmente e ottimisticamente, al 40% di non “trasformazione” del premio in prestazioni sanitarie. Restano disponibili 271,84 €! Semplifichiamo il calcolo e arrotondiamo, in eccesso, a 280 €. Per le cure odontoiatriche (il 21,4% della spesa out of pocket con cui ci si confronta per proporne la sostituzione con i Fondi) sono quindi disponibili circa 60 € annui; tale disponibilità, offerta all’insieme della popolazione, copre la pulizia dei denti, la quale, essendo appunto gratuita e generalizzata (dal sistema proposto come deriva dal confronto ipotizzato fra i due pacchetti di spesa) sarà effettuata praticamente da tutti i cittadini…
Non so se ho portato sufficienti elementi per confutare il confronto fra le due bilance, ma la sostanza della proposta è smentita, anche se con modalità narrative (sublimi), dal testo di Carlo Lorenzini.
Egli ci convince infatti, appunto narrativamente, nel suo capolavoro, che seppellire gli zecchini d’oro nel Campo dei miracoli, come suggerito dal Gatto e la Volpe, non fa certo crescere un albero di zecchini d’oro.
- Vecchietti M. Vecchietti (Rbm) lancia l’idea del Reddito di Salute. Quotidiano sanità, 29.06.2018.
- Bagnoli RE. Reddito di salute contro le diseguaglianze. Corriere della sera – L’Economia, 10.09.2018.
- VIII Rapporto RBM – Censis sulla Sanità Pubblica, Privata ed Intermediata. La salute è un Diritto. Di tutti, Giugno 2018, Grafico 74, pag. 65,.
- I dati sono derivati da Del Vecchio M, Fenech L, Rappini V. I consumi privati in sanità. In: Cergas-SDA Bocconi. Rapporto OASI 2017. EGEA, dicembre 2017 e ripresi, nella seguente configurazione, in Nino Cartabellotta: Spesa sanitaria delle famiglie a 40 mld, Fondazione Gimbe: «Il dato è reale ma l’allarme non c’è», Sole 24 Ore Sanità, 11 giugno 2018.
- VIII Rapporto RBM – Censis sulla Sanità Pubblica, Privata ed Intermediata. La salute è un Diritto. Di tutti, Giugno 2018. Indice della spesa sanitaria privata sul reddito (età del capofamiglia), pag. 81.
Astuta manovra di chi cerca di spillare soldi agli ingenui facendo leva su presupposti manipolati e su timori e insicurezze spesso generate ad hoc. Chi ci guadagna davvero e chi verserà invece un’ennesimo contributo al sistema dei furbi informati e attrezzati?
Rimango del parere che la sanità debba restare pubblica, finanziata dalle imposte versate dai contribuenti in maniera proporzionale al reddito (e qui un bel richiamo alla lotta all’evasione non può non scapparci). Resta
discutibile la scelta di non finanziare alcune spese piuttosto che altre (vedi cure dentarie vs farmaci ad alto costo). Quello che manca di fondo è un’educazione al cittadino sulla capacità di spendere: non sopporto di vedere gente con i denti guasti fare sfoggio di tatuaggi e unghie artificiali e lamentarsi che la sanità non funziona… sono molto favorevole alla prevenzione, ma capisco anche quanto sia difficile farla passare in certi contesti.
Mantenere un equilibrio è essenziale per la sostenibilità del sistema, e come sempre ci sarà chi non è mai contento: ma la risposta non sta nel privatizzare l’accesso alla salute.
Le bugie in Sanità hanno le gambe corte…
Egregio dottor Geddes,
mi rammarico di dover registrare un certo pressappochismo nell’approccio con il quale nel suo articolo, che pure ha avuto modo di sviluppare – a quanto apprendiamo – durante tutto il periodo estivo, viene analizzata la mia proposta del “Reddito di Salute”.
Sia chiaro, non pretendo certamente che la proposta di un Reddito di Salute incontri l’apprezzamento di tutti ma nel contempo credo che, soprattutto quando si affrontano temi fondamentali come quello della salute, non siano professionalmente accettabili valutazioni “spannometriche” o mistificazioni dei dati. A questo riguardo ritengo anzitutto necessario sottolineare come le nostre analisi poggino sull’applicazione rigorosa di metodologie econometriche ed attuariali che sono la base, peraltro, della nostra attività d’impresa.
Parimenti, per quanto attiene alla rilevazione demografica ci affidiamo da sempre alla Fondazione Censis che, sebbene a qualcuno faccia comodo dimenticarlo, rimane uno degli istituti più autorevoli nella rilevazione dei fenomeni sociali nel nostro Paese.
Passando al merito delle sue argomentazioni mi permetta di ripercorrere brevemente i razionali sottostanti della mia proposta e di illustrarle la piena fondatezza dei tre presupposti dell’importanza di un Secondo Pilastro Sanitario che lei ritiene “falsi” e/o inconsistenti.
Il Sistema Sanitario italiano da quasi un decennio è evoluto in una forma “mista” che affianca al finanziamento pubblico una quota crescente (oramai oltre ¼) di pagamento diretto, nel momento
del bisogno, da parte dei cittadini per poter finanziare privatamente le proprie cure. Tale ibridazione delle fonti di finanziamento, peraltro, si è aggiunta a quella risalente relativa alla “struttura di
produzione” della sanità nel nostro Paese che vede un contributo del 60% del pubblico e del 40% del privato.
Attualmente l’Italia, nonostante l’impianto universalistico del proprio Servizio Sanitario Nazionale, è uno dei Paesi OCSE con i più elevati livelli di spesa di tasca propria a carico delle famiglie, con
un’incidenza percentuale (oltre il 22% della spesa sanitaria totale) che supera di gran lunga persino quella degli Stati Uniti (dove si attesta al 11,3% della spesa sanitaria totale), da sempre associati
nell’immaginario collettivo ad un modello di Sanità a pagamento.
Sono profondamente convinto che il vero problema, troppo a lungo ignorato anche per ragioni di convenienza politica, del nostro Sistema Sanitario sia proprio questo. La Spesa Sanitaria di tasca
propria, infatti, è la più grande forma di disuguaglianza in Sanità dal momento che lascia solo il cittadino di fronte alla scelta tra pagare e curarsi minando le fondamenta stesse del patto sul quale
si basa l’intero Sistema di Sicurezza Sociale del nostro Paese.
E’ proprio in questa prospettiva che il passaggio ad una gestione delle cure private delle famiglie attraverso un Secondo Pilastro Sanitario organicamente sinergico al Servizio Sanitario Nazionale ed
affidato ad operatori specializzati (come le Compagnie Assicurative ed i Fondi Sanitari) consentirebbe di esercitare una governance collettiva sulla spesa sanitaria privata finalizzandola ad obiettivi di salute diffusa, garantendo una maggiore equità tra tutti i cittadini e rendendola in generale più sostenibile ed efficiente.
E’ da queste considerazioni, abbondantemente supportate da evidenze numeriche nel Rapporto RBM-CENSIS (e sulle quali sono disponibile ad un confronto), che nasce la considerazione che supportare una maggiore diffusione della Sanità Integrativa a fette sempre più ampie della popolazione italiana – sulla scorta, peraltro, delle esperienze di successo adottate dai principali Paesi dell’Europa Occidentale – potrebbe garantire un importante contributo alla tenuta non solo
finanziaria ma anche sociale del nostro Sistema Sanitario.
Nel suo articolo, la prima contestazione che viene mossa è che nelle Polizze Sanitarie e nei Fondi Sanitari attualmente non sarebbero ricomprese la maggior parte delle spese sanitarie pagate di
tasca propria dai cittadini. Alle sue argomentazioni che, evidentemente, risentono di una conoscenza della materia scarsa e/o assolutamente datata delle Polizze Sanitarie e dei Fondi Sanitari
rispondo semplicemente invitandola a leggere, ad esempio (solo per citare le esperienze più recenti), i Piani Sanitari del fondo mètasalute (settore metalmeccanico, (http://www.fondometasalute.it/cms/resource/357/scheda-sintetica-metasalute-piano-baseallegati.pdf). Con sua grande sorpresa avrà modo di rilevare che, con poco meno di 150 Euro/annui, il lavoratore ha diritto di beneficiare del rimborso integrale delle cure sostenute privatamente all’interno della rete di strutture sanitarie convenzionate con la nostra Compagnia su tutto il territorio nazionale.
Nel campo di copertura del Fondo rientrano, in particolare, le principali voci oggetto della spesa sanitaria di tasca propria dall’odontoiatria (implantologia incusa), alla diagnostica, alle visite specialistiche ai farmaci. E poi le prestazioni ospedaliere, la fisioterapia, le protesi ed un articolato programma di protocolli per la diagnosi precoce. Come vede non si tratta di un fondo “riservato ai
ricchi”, quanto di un sistema lungimirante con il quale le Parti Sociali del settore metalmeccanico hanno deciso di gestire con modalità solidaristiche e strumenti di mercato un bisogno sempre più presente nella vita quotidiana dei lavoratori e delle loro famiglie.
Ma, senza dilungarmi sul punto, mi preme informarla che Piani Sanitari simili possono essere attivati anche dai singoli cittadini direttamente sul sito web della nostra Compagnia (http://www.rbmsalute.it/pagina_prodotti.html), costruendo un proprio Piano Sanitario Integrativo su misura, senza bisogno di compilare alcun questionario medico e/o sottoporsi ad alcuna visita preventiva (così per sfatare altri due luoghi comuni che, da anni, sono utilizzati strumentalmente per inquinare un sereno dibattito su questa materia…) .
Rispetto alla sua seconda argomentazione in base alla quale nella mia proposta si ipotizzerebbe che il consumo della popolazione italiana sia analogo a quella dei cittadini già assicurati da RBM Assicurazione Salute, mi limito a rilevare che nell’illustrazione del Reddito di Salute non c’è traccia di alcun elemento che giustifichi la sua considerazione. Le nostre analisi si basano sulle medesime
componenti della spesa privata che emergono dalle indagini multiscopo dell’ISTAT rispetto ai quali, come indicato nel punto precedente, il perimetro di copertura delle attuali Polizze Sanitarie e dei
Fondi Sanitari è in larghissima parte perfettamente allineato.
Con riferimento, invece, alla terza contestazione che ha mosso alla proposta di un Reddito di Salute in quanto possibile volano di “consumismo” sanitario, colgo l’occasione per sfatare un ulteriore falso mito che i detrattori dell’Assicurazione Sanitaria e della Sanità Integrativa stanno diffondendo a gran voce negli ultimi mesi.
Anche in questo caso, infatti, si preferisce – in assenza di adeguati elementi conoscitivi sul funzionamenti del mercato assicurativo del nostro Paese – la strada della disinformazione sistematica rifacendosi ad esperienze internazionali peraltro spesso richiamate con larghissimi margini di approssimazione e talvolta persino con traduzioni dall’inglese piuttosto discutibili.
In breve, mi spiace deluderla, ma secondo la struttura tipica delle Polizze Sanitarie applicate ai Fondi Sanitari nel nostro Paese la risarcibilità della prestazione è sempre subordinata alla prescrizione
delle cure da parte del medico di base, ovvero di quello stesso professionista al quale il Servizio Sanitario Nazionale affida il controllo di appropriatezza delle prestazioni sanitarie. Diversamente da quanto afferma, in buona compagnia della lobby dei detrattori, proprio questo elemento dovrebbe far riflettere sulla “naturale” convergenza che potrebbe essere trovata tra il Servizio Sanitario Nazionale ed un Secondo Pilastro Sanitario diffuso a tutti i cittadini.
Infine, mi permetta di fare informazione anche su un ultimo punto.
Senza voler ripercorrere in questa sede i conteggi proposti nel suo articolo anche perché, stando alla sua stessa definizione, effettuati solo “a spanne” non posso non sottolineare due errori di fondo
nell’impostazione della sua analisi.
Il primo attiene ai costi che a suo dire graverebbero sulle gestioni assicurative e che lei indica in un range compreso tra il 20% ed il 25% dei premi. Credo che anche in questo caso ci sia, di base, una
cattiva informazione. Il dato che lei richiama infatti non è riferibile alle Polizze Sanitarie che rimborsano le spese mediche né tanto meno a quelle che riguardano i Fondi Sanitari. Se analizza i bilanci delle Compagnie coinvolte in questo settore potrà agevolmente rilevare che i costi sono compresi in media tra un 5% ed un 10% (nel caso specifico di RBM, il costo complessivo si attesta al 4,7%) e quindi assolutamente lontani dai valori da lei indicati. Inoltre, ritengo non si possa trascurare che uno dei punti qualificanti del sistema delle Polizze Sanitarie e dei Fondi Integrativi stia nella capacità di “acquisto in monte” delle prestazioni sanitarie per conto dei propri assicurati con un risparmio medio di circa il 25% rispetto alla tariffa solventi delle strutture sanitarie.
Il secondo è assolutamente metodologico e denuncia, mi scusi per la franchezza, la poca dimestichezza con le tecniche di base dell’assicurazione. Obiettivo di una qualsiasi Polizza infatti è quello di garantire ad una platea omogenea di soggetti che sono esposti ad un medesimo rischio/una spesa di ammontare incerto e potenzialmente superiore alle proprie disponibilità di potervi fare fronte (attraverso un risarcimento) mediante il pagamento di una somma di entità decisamente inferiore (il premio). Decurtare da un premio assicurativo le spese amministrative con l’aspettativa di verificare sull’ammontare residuo la capienza delle spese sanitarie che si vuole risarcire, come fa nel suo articolo, vuol dire utilizzare un approccio meramente contabile. Per dirla ancora più chiaramente è come se si limitasse il risarcimento del danno provocato ad un altro automobilista mentre si era alla guida della propria auto all’entità del premio assicurativo pagato all’inizio di ciascuna annualità. Mi permetta, a questo punto una battuta, forse più che di “seminare gli zecchini d’oro nel Campo dei Miracoli”, nel nostro caso si tratterebbe solamente di applicare la tecnica attuariale…
Continuare a demonizzare le assicurazioni nascondendo la verità o, ancor peggio, disinformando i cittadini non credo possa garantire maggiori risorse al Servizio Sanitario Nazionale ma, per certo,
finirà per alimentare un’ulteriore crescita della spesa sanitaria di tasca propria lasciando il cittadino impreparato ad affrontare una situazione della quale nessuno lo aveva opportunamente informato.
A questo proposito vorrei concludere pregandola di accordare anche a me una breve digressione narrativa. Penso sia importante ricordare, infatti, che nel capolavoro di Collodi al di là delle insidie
recate dal gatto e dalla volpe il protagonista fosse Pinocchio e, più in particolare, la sua maturazione da burattino bugiardo a bambino responsabile. A questo proposito, bisogna riconoscere che di bugie
ai cittadini italiani sulla Sanità ne sono state e ne sono dette tante.
Si continua a perpetrare, ad esempio, il falso mito di un Servizio Sanitario in grado di dare tutto a tutti, di una Sanità che è la migliore del mondo, di una spesa privata sempre inutile, inappropriata
ed appannaggio dei ricchi, di Assicurazioni brutte e cattive che vogliono un modello assistenziale a stelle e strisce e così via. Nel contempo si ignorano scientemente le potenzialità di una collaborazione strutturale tra pubblico e privato, come quella insita nella mia proposta del Reddito di Salute, che potrebbe garantire, non solo a parole, quel diritto alla salute che la nostra Costituzione
tutela tra i beni fondamentali del cittadino.
In questo modo si continua ad alimentare una visione distorta e confusa sull’argomento, si nasconde la realtà e si accetta – in nome di un’impostazione meramente ideologica – che sempre più spesso
i cittadini siano tenuti pagare le cure (alcune) di tasca propria mettendo i più deboli ed i più fragili in difficoltà. In questo contesto, pertanto, a me sembra che il tema fondamentale non sia come
resistere alla lusinghe del mercato quanto capire quando Pinocchio crescerà assumendosi la responsabilità di informare adeguatamente i cittadini.
Per maggiori informazioni non esiti a contattarmi.
Marco Vecchietti, Amministratore Delegato e Direttore Generale di RBM Assicurazione Salute
Il “dialogo” tra Geddes e il rappresentante delle assicurazioni commerciali è significativo: contrasto tra da una parte una visione sistemica, macro e sociale, critica infine e dall’altra parte una visione da attore (da lobby), micro ed aziendale, conservatrice ed “innovativa” allo stesso tempo.
Sulle pensioni (di base ed integrativa) già all’inizio degli anni 2000 e oggi sulla sanità (di base ed integrativa), abbiamo conosciuto in Francia la stessa opposizione tra chi, prendendo come “naturale” i tagli finanziari al sistema pubblico, prende atto dell'”inevitabilità” di altre fonti di finanziamento della spesa (cf. la legge 2014 di “generalizzazione” della copertura sanitaria integrativa, che copre -in modo disuguale a secondo dell’azienda- dipendenti privati e disoccupati per un anno, ma lascia da parte pensionati, studenti, disoccupati di lunga durata e dipendenti pubblici) e chi vede l’introduzione del “secondo pilastro” privato come “vampirizzante” dell’assicurazione (pubblica) di base attraverso le deduzioni fiscali che lo prosciugano, col rischio non di complementarietà ma di privatizzazione subdola del finanziamento del Welfare.
Insomma l’opposizione tra osservatori di un sistema sociale nel suo complesso ed attori sociali portatori di interessi parziali in un determinato settore. Significativo di visioni leggitimamente opposte.