I limiti dello screening per il tumore al seno

Andrea Maurizzi

Sottoponendo 2000 donne a screening mammografico regolare è possibile prevenire una morte, ma allo stesso tempo 10 donne verranno sottoposte ad accertamenti, interventi e terapie inutili, con effetti collaterali e aumento relativo della mortalità per cause cardiovascolari e per altri tumori. La mammografia permette quindi di trattare tempestivamente e con interventi meno estesi i tumori a stadi precoci, ma circa un terzo di questi non avrebbero necessitato di quel tipo di trattamento. I falsi allarmi e lo stress. La necessità di rivedere le strategie.


Ogni anno, ad ottobre, assistiamo alla fioritura di innumerevoli eventi, camminate, corse legate al Breast Cancer Awareness Month, il mese della prevenzione del tumore al seno. Le iniziative, promosse da grandi associazioni transnazionali come la Susan G. Komen foundation e supportate da numerose istituzioni e grandi marchi, sono sempre più diffuse in tutto il mondo e raccolgono sempre più partecipazione e copertura mediatica. Ora, non intendo addentrarmi nelle controversie riguardanti l’utilizzo dei fondi raccolti durante le campagne[1], il pinkwashing[2],[3], il conflitto di interessi con le grandi case dell’industria medica-farmaceutica[4], poiché è un terreno spinoso ed è già stato estesamente trattato sui media, ma preferisco focalizzarmi su uno dei principali messaggi che queste iniziative lanciano: la diagnosi precoce  salva vite.

Nella sezione[5] dedicata alla promozione e alla prevenzione del tumore al seno presente sul sito di Komen Italia (“Come prevenire il tumore al seno”) sono presenti alcuni messaggi chiari rivolti in questa direzione:

“Effettua con regolarità semplici esami di prevenzione secondaria che possano evidenziare un eventuale tumore del seno in fase iniziale. Con una diagnosi precoce si ha oltre il 90% di possibilità di guarigione, con cure meno invasive.

LA DIAGNOSI PRECOCE È LA TUA PRIMA DIFESA

  • Fai una mammografia ogni anno dai 40 anni in poi.
  • Fai una visita clinica ed una ecografia almeno una volta ogni 2 anni, dai 20 ai 40 anni, ed ogni anno dopo i 40”.

L’idea che le pratiche di screening mammografico abbiano un impatto rilevante è estremamente diffusa. Da uno studio[6], che ha visto coinvolte 4140 donne statunitensi, svizzere, italiane e inglesi, alle quali sono state sottoposte telefonicamente tre domande chiuse, si può osservare come le misconcezioni sull’efficacia dei test di screening siano molto diffuse: il 68% ha risposto che la mammografia previene o riduce il rischio di ammalarsi di tumore al seno, il 62% che la mammografia dimezza la mortalità per tumore al seno e il 75% che uno screening mammografico di 10 anni può prevenire 10 o più morti per tumore al seno ogni 1000 donne.

Nonostante in Italia lo screening mammografico sia una pratica consolidata e offerta gratuitamente alle donne di una determinata fascia d’età[7], il dibattito internazionale e le evidenze prodotte nelle ultime decadi hanno ridimensionato la sua efficacia nella riduzione della mortalità per cancro al seno. Alcune review sistematiche di trial randomizzati[8, 9] hanno mostrato come lo screening mammografico riduca la mortalità per tumore al seno del 15-20%. In un più recente studio canadese, che ha analizzato i dati relativi al follow up di 89.835 donne canadesi sottoposte o meno a screening mammografico[10] e seguite per 25 anni, è invece emerso come lo screening mammografico non abbia ridotto significativamente la mortalità rispetto alla breast clinical examination (esame clinico della mammella).

La più importante revisione indipendente degli studi relativi all’efficacia dello screening mammografico è stata pubblicata da Cochrane nel 2009[11] e successivamente aggiornata negli anni successivi. La revisione analizza diversi trial includendo un numero complessivo di circa 600.000 donne sottoposte a screening mammografico regolare per un periodo di 10 anni. Ciò che emerge è una riduzione della mortalità per cancro al seno del 15%[12], in linea con i risultati di un’altra approfondita revisione indipendente condotta dalla Preventive Services Task Force – USA (che stima una riduzione del 16%[12]). Da queste analisi si evidenzia che per prevenire la morte di una donna per tumore al seno è necessario sottoporne 2000 ad uno screening mammografico regolare per 10 anni, con quindi una riduzione della mortalità assoluta dello 0.05%. Come già detto, diversi studi sostengono che – dato l’avanzamento in termini di efficacia dei protocolli diagnostico-terapeutici – questo dato sia sovrastimato e, in ultima istanza, che lo screening mammografico non sia più lo strumento di prevenzione più efficace[13, 14]

L’idea che il miglioramento dei protocolli terapeutici sia il fattore decisivo nella riduzione della mortalità è sostenuta da diversi studi; in un’analisi retrospettiva del database WHO sulla mortalità è emerso che, dal 1989 al 2005, vi è stato un calo più importante (37% contro 21%) della mortalità nelle donne sotto i 50 anni (alle quali non viene generalmente offerto lo screening mammografico) rispetto alle over-50, sottoposte a screening[15]; un’altra analisi simile condotta dallo stesso gruppo ha mostrato come la riduzione della mortalità in 6 paesi europei che hanno introdotto lo screening a 10-15 anni di distanza non abbia nessuna relazione con la data di introduzione dello screening stesso[16]; infine, uno studio australiano ha dimostrato che la riduzione della mortalità per tumore in Australia può essere attribuita pressoché unicamente all’evoluzione delle terapie ormonali e chemioterapiche[17].

Nelle review sopracitate oltre all’analisi dei benefici vengono analizzati anche i danni dello screening, con risultati che impongono una riflessione. Dalla revisione Cochrane[11] emerge che circa il 30% dei tumori diagnosticati con mammografia venga sovradiagnosticato e che queste pazienti vengano trattate per lesioni che non sarebbero progredite, che non avrebbero condotto alla morte della paziente o che sarebbero regredite spontaneamente (es. DCIS)[18, 19]. Unendo questo dato a quelli citati in precedenza si evidenzia che, sottoponendo 2000 donne a screening mammografico regolare, è possibile prevenire una morte, ma allo stesso tempo 10 donne verranno sottoposte ad accertamenti, interventi e terapie inutili, con effetti collaterali e aumento relativo della mortalità per cause cardiovascolari e per altri tumori[11]. La mammografia permette quindi di trattare tempestivamente e con interventi meno estesi i tumori a stadi precoci, ma circa un terzo di questi non avrebbero necessitato di quel tipo di trattamento.

Un altro aspetto analizzato riguarda i “falsi allarmi”: quando la mammografia non esclude la presenza di un tumore, la donna viene ricontattata per ulteriori accertamenti; in caso la lesione venga poi esclusa, il risultato è catalogabile come falso positivo, o falso allarme. La media europea stimata è di circa il 10% di falsi positivi[11]. Lo stress psicologico nel periodo che intercorre fra la mammografia positiva e l’esclusione della lesione conduce a problemi correlati ad ansia in una percentuale vicina al 50%[20] delle pazienti, che possono perdurare per diversi mesi manifestandosi con preoccupazione, insonnia, problemi relazionali con famiglia e conoscenti e calo del desiderio sessuale[21]. Un falso positivo può provocare una sensazione di vulnerabilità che porterà la donna a rivolgersi più spesso ai servizi sanitari[22].

Quindi, se 2000 donne vengono sottoposte per 10 anni ad un regolare screening mammografico:

  • 1 morte per tumore al seno verrà prevenuta;
  • 10 donne subiranno un trattamento non necessario;
  • 200 donne incorreranno in un falso positivo.

In conclusione, quanto sopracitato va inteso come uno spunto di riflessione e rimando ai documenti internazionali per ulteriori approfondimenti.

Mi associo all’invito del gruppo canadese[10] riguardo la necessità di rivedere le politiche sanitarie sullo screening mammografico.

Per chiudere, lascio una lista delle piccole azioni da compiere da domani:

  • come professionisti sanitari, fare corretta informazione sui benefici ma soprattutto sui rischi dello screening mammografico;
  • promuovere, nella pratica, la prevenzione quaternaria, cercando di identificare i possibili rischi di overdiagnosi e overtrattamento;
  • richiedere alle grandi associazioni che promuovono gli eventi benefici una maggiore chiarezza nelle informazioni riportate nelle loro campagne;
  • chiedersi, quando si partecipa agli eventi di beneficenza o si comprano prodotti che finanziano la ricerca per il tumore al seno, “dove vanno i nostri soldi”[23]: è necessario investire in trattamenti e in prevenzione primaria, identificando le cause e i fattori di rischio del tumore al seno per avere un reale impatto sulla mortalità.

Andrea Maurizzi, Corsista di Medicina generale, Bologna

Bibliografia

  1. Begley S, Robert J. Insight: Komen charity under microscope for funding, science. Reuters.com, 08.02.2012
  2. Pinkwasher: “Una compagnia o organizzazione che sostiene di interessarsi alla battaglia contro il cancro al seno commercializzando prodotti con il nastro rosa e/o con quote destinate alla ricerca ma che allo stesso tempo produce e/o commercializza prodotti che contengono cancerogeni al loro interno”.
  3. Komen is supposed to be curing breast cancer. So why is its pink ribbon on so many carcinogenic products? Washington Post, 21.10.2014
  4. Exposed: The mammogram myth and the Pinkwashing in America in Environmental and Nature Writing: A Writer’s Guide and Anthology. Sean Prentiss, Joe Wilkins. Bloomsbury Publishing (2016).
  5. Tumore al seno. Come prevenirlo. Komen.it
  6. Domenighetti G, DAvanzo B, Egger M. Womens perception of the benefits of mammography screening: population-based survey in four countries. Int J Epidemiol 2003; 32: 816–821. doi: 10.1093/ije/dyg257
  7. Per esempio, in Regione Emilia Romagna la mammografia è offerta gratuitamente ogni anno dai 45 ai 49 e ogni 2 anni dai 50 ai 74.
  8. Nelson HD, Tyne K, Naik A, et al. Screening for breast cancer: an update for the U.S. Preventive Services Task Force. Ann Intern Med 2009; 151:727.
  9. Nyström L, Andersson I, Bjurstam N, et al. Long-term effects of mammography screening: updated overview of the Swedish randomised trials. Lancet 2002; 359:909.
  10. Miller AB, Wall C, Baines CJ, et al. Twenty five year follow-up for breast cancer incidence and mortality of the Canadian National Breast Screening Study: randomised screening trial. BMJ 2014
  11. Gøtzsche PC, Nielsen M. Screening for breast cancer with mammography. Cochrane Database Syst Rev 2009
  12. Humphrey LL, Helfand M, Chan BK, et al. Breast cancer screening: a summary of the evidence for the U.S. Preventive Services Task Force. Ann Intern Med 2002
  13. Gøtzsche PC. Mammography screening: truth, lies and controversy. London: Radcliffe Publishing; 2012.
  14. Jørgensen KJ, Keen JD, Gøtzsche PC. Is mammographic screening justifiable considering its substantial overdiagnosis rate and minor effect on mortality? Radiology 2011
  15. Autier P, Boniol M, La Vecchia C, et al. Disparities in breast cancer mortality trends between 30 European countries: retrospective trend analysis of WHO mortality database. BMJ 2010
  16. Autier P, Boniol M, Gavin A, et al. Breast cancer mortality in neighbouring European countries with different levels of screening but similar access to treatment: trend analysis of WHO mortality database. BMJ 2011
  17. Burton RC, Bell RJ, Thiagarajah G, et al. Adjuvant therapy, not mammographic screening, accounts for most of the observed breast cancer specific mortality reductions in Australian women since the national screening program began in 1991. Breast Cancer Res Treat. Epub 2011 Sep 29
  18. Jørgensen KJ, Gøtzsche PC. Overdiagnosis in publicly organised mammography screening programmes: systematic review of incidence trends. BMJ 2009
  19. Coldman A, Phillips N. Incidence of breast cancer and estimates of overdiagnosis after the initiation of a population-based mammography screening program. CMAJ 2013
  20. Schou Bredal I, Kåresen R, Skaane P, et al. Recall mammography and psychological distress. Eur J Cancer 2013
  21. Brewer NT, Salz T, Lillie SE. Systematic review: the long-term effects of false-positive mammograms. Ann Intern Med 2007
  22. Barton MB, Moore S, Polk S, et al. Increased patient concern after false-positive mammograms: clinician documentation and subsequent ambulatory visits. J Gen Intern Med 2001
  23. 4 Questions Before You Buy Pink. Thinkbeforeyoupink.org

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.