Demografia, demagogia e democrazia

Pier Luigi Lopalco

La situazione demografica italiana è preoccupante e complessa e non può essere gestita a botta di slogan demagogici. Saremo capaci di invertire il processo di contrazione della popolazione? Se ciò non avvenisse, volenti o nolenti, una seria politica immigratoria sarà necessaria. Altro che invasione. Perché un Paese in decrescita demografica è un Paese che si avvita in una spirale di crisi economica inevitabile.


Se c’è una cosa che davvero mi preoccupa è che i problemi demografici siano fondamentalmente scomparsi dal dibattito politico. O meglio, quando si parla di popolazioni, ci si riferisce solo al fatto che piccoli gruppi di disperati rischiano la pelle attraversando il Mediterraneo in un fantomatico tentativo di invasione dell’Europa. Se – e sottolineo “se” – a dipingere la situazione fossero le campane della demagogia, il quadro sarebbe quello di una Italia sempre più affollata e, ahimè, inesorabilmente multietnica.

Ma cosa ci dicono i numeri? Non essendo un demografo, farò riferimento ad uno strumento estremamente semplice per poter ragionare sulla situazione demografica del nostro Paese: la piramide dell’età. Si tratta di un grafico che disegna la distribuzione della popolazione residente per fasce di età e sesso. Uno strumento che, per quanto semplice, ci offre degli spunti tanto interessanti quanto inquietanti.

Figura 1. Italia. La distribuzione della popolazione residente per fasce di età e sesso.

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Innanzi tutto ci permette di spazzare via alcuni banali pregiudizi sulla presunta invasione degli immigrati. Gli stranieri residenti in Italia sono davvero pochi: poco più di 5 milioni su una popolazione di 60 milioni, meno dunque del 10%. Considerando che la maggior parte di questi sono cittadini dell’Unione Europea (solo i romeni sono 1,2 milioni) o comunque dell’Europa dell’Est (circa 800.000 fra albanesi, moldavi e ucraini) anche l’argomento della palesata invasione da continenti lontani viene meno.

Inoltre, la popolazione di origine straniera è mediamente più giovane. Rappresenta forza lavoro attiva e contribuisce significativamente a mantenere il bilancio pensionistico in attivo.

Eppure, il dibattito politico tutto focalizzato sulla paura dell’immigrato, ha distolto l’attenzione da un problema drammatico che l’Italia si troverà ad affrontare nei prossimi decenni. Il quadro che si profila, se non si dovesse intervenire con politiche demografiche serie, è infatti quello di un Paese in costante contrazione e, soprattutto, sempre più vecchio.

Questa situazione, oltre all’impatto prevedibile sul sistema produttivo e pensionistico, avrà conseguenze importanti anche sul piano della sostenibilità del nostro sistema sanitario.

Se osservate bene, le generazioni oggi maggiormente rappresentate nella popolazione sono quelle dei quarantenni e cinquantenni. Nulla di inatteso, essendo questi il frutto del famoso baby boom che ha avuto il suo picco intorno agli anni ’60, gli anni del miracolo economico italiano. Ma questo picco di popolazione, che impatto avrà sulla sanità pubblica? Cosa succederà quando i baby boomer faranno ricorso massiccio alle risorse sanitarie? I cinquantenni di oggi sono diversi dai cinquantenni di trenta o quaranta anni fa, cioè coloro che oggi affollano, per età, le strutture del sistema sanitario. I nati negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso hanno vissuto un’infanzia decisamente più dura, spesso con forti restrizioni alimentari; da bambini non hanno potuto beneficiare di vaccini e antibiotici e, pertanto, sono stati soggetti ad una selezione naturale di una certa importanza da parte degli agenti infettivi. In sostanza, i vecchietti di oggi sono certamente persone dalla tempra certamente forte.

Quale sarà la domanda di assistenza sanitaria di intere generazioni cresciute nel benessere con tutte le conseguenze anche negative che il benessere ha comportato, partendo da una alimentazione eccessiva e sempre più distante dal modello della dieta mediterranea?

Ecco, è di questo che mi piacerebbe i nostri politici discutessero. Mi piacerebbe, da baby boomer DOC nato nel 1964, vedere una classe dirigente che inizi a preparare un modello di società capace di adattarsi a questi cambiamenti epocali. La situazione che ci attende è preoccupante e complessa e non può essere gestita a botta di slogan demagogici. Saremo capaci di invertire il processo di contrazione della popolazione? Se ciò non avvenisse, volenti o nolenti, una seria politica immigratoria sarà necessaria. Altro che invasione. Perché un Paese in decrescita demografica è un Paese che si avvita in una spirale di crisi economica inevitabile. E in un Paese in crisi la sanità pubblica, come la conosciamo oggi, non sarà più sostenibile. Soprattutto a fronte di una domanda di assistenza che nei prossimi anni sarà sempre più pressante.

La demografia deve guidare le scelte politiche, e non la demagogia. In caso contrario sarà la stessa democrazia ad essere in pericolo.

Pier Luigi Lopalco, Università di Pisa

3 commenti

  1. Molte delle considerazioni di Lopalco sono di buon senso e condivisibili; altre molto meno.
    Mi riferisco in particolare alla affermazione (peraltro centrale e fondamentale, in quanto responsabile di conseguenze a valle discriminanti) secondo la quale “un paese in decrescita demografica è un paese che si avvita in una spirale di crisi economica inevitabile”.
    Non ritengo fondata questa affermazione, dal momento che la riduzione (o almeno la stabilità) della popolazione ridurrebbe certamente la capacità produttiva complessiva, compensata però dagli aumenti di produttività; e l’invecchiamento della popolazione, accompagnandosi per fortuna ad un miglioramento delle condizioni generali di salute, permetterebbe ad una parte di questi “anziani” di rimanere al lavoro più a lungo (come peraltro si sta verificando in tutto il “primo mondo” a livello mondiale. Infine, la riduzione/stabilizzazione della popolazione avrebbe dei vantaggi straordinari a livello di inquinamento (riduzione di rifiuti, di consumo di suolo, di traffico, di emissioni di CO2, ecc.), con ricadute anche economiche positive, nonchè di evidente qualità di vita.

    1. Ringrazio per il commento, in quanto mi fa rendere conto di essere stato poco chiaro. Sono d’accordo che la stabilizzazione di una popolazione porta con sé aspetti positivi. Ma parliamo appunto di stabilizzazione, cioè di una situazione in cui una popolazione ben bilanciata fra classi di età produttive e pensionati. Il futuro che si prospetta, con i baby-boomers che invecchiano e i bambini che non arrivano, porta invece ad un quadro di contrazione che vedrebbe una popolazione ridotta in numero assoluto (e questo potrebbe non essere un dramma) ma fortemente sbilanciata verso le classi di età più avanzate.

  2. Condivido la sua analisi e le sue preoccupazioni, dottor Lopalco.
    La decrescita demografica e soprattutto gli squilibri demografici rappresentano una bomba atomica puntata sul futuro dell’ Italia, dell’ Europa e anche di altre aree dell’ emisfero nord, il Giappone ad esempio si confronta con problemi molto simili a quelli del nostro paese, calo demografico e invecchiamento della popolazione. Rimasi basito quando mesi fa ascoltai l’ attuale ministro degli interni sciorinare dati sul calo degli arrivi dei migranti rivendicandone il grande successo. La realtà è l’ esatto contrario, l’ Italia ha bisogno di immigrati, sono per noi una risorsa, non un problema da contrastare. Le stime parlano di una contrazione della popolazione nello stivale fino a 49 milioni di abitanti alla fine del secolo, 12 milioni meno degli attuali. È vero anche che un’ immigrazione come quella che avviene a Lampedusa non risolve il problema e anzi crea paura e sconcerto nell’ opinione pubblica con conseguente strumentalizzazione politica. Inoltre il viaggio in clandestinità attraverso la Libia è talmente difficile e pericoloso che viene affrontato quasi esclusivamente da individui di sesso maschile e questo rischia di creare ulteriori squilibri demografici. Abbiamo bisogno di famiglie giovani con figli che rientrino in un percorso di integrazione, che imparino la lingua, la storia, la Costituzione, l’ arte, che vengano messe in condizione di amare e conoscere la nostra terra e ingine di diventare italiani per contribuire al nostro e al loro benessere. È la sfida più importante del secolo, insieme al contenimento degli effetti del surriscaldamento globale. Una sfida impopolare che nessuna classe dirigente ha la forza di accettare in questo momento ma che non possiamo permetterci di perdere.

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