Sanità lombarda: domande in cerca di risposta

Maria Elisa Sartor

Diventa fondamentale continuare un percorso di ricerca per approfondire le cause dello sbilanciamento del Servizio sanitario lombardo a favore del privato, completare e precisare il quadro riferito agli erogatori privati, indagare le prospettive del Servizio sanitario nazionale in Lombardia e i rischi per i cittadini.  

Nei tre contributi pubblicati di recente su Salute Internazionale (leggi qui ,  qui e qui) ho presentato alcune evidenze che confermano l’avanzamento del processo di privatizzazione del  Servizio Sanitario Lombardo (SSL), con riferimento soprattutto alla spartizione pubblico/privato delle prestazioni riguardanti i ricoveri. La componente privata degli erogatori del SSL si è molto rafforzata, tanto da poter condizionare l’equilibrio del sistema.  I principali erogatori privati sono stati identificati ed è stato messo in evidenza il loro posizionamento nel quasi-mercato dei ricoveri nel 2017 (ben sapendo che il resto del sistema, nelle altre sue componenti di servizio, è altrettanto sbilanciato). Un gruppo della sanità privata, in particolare, ha raggiunto dimensioni imponenti: il Gruppo San Donato (GSD).

Questi risultati innanzitutto ribaltano l’idea consolidata che il settore pubblico del SSL, qualsiasi cosa accada, non possa che continuare ad essere sovraordinato al privato. Non è così. I risultati “danno in un certo senso la sveglia” a chi finora si è cullato in questa idea ed ha girato lo sguardo altrove. I risultati stimolano domande che servono ad orientare le prossime – urgenti – analisi sul SSL. Diventa infatti fondamentale continuare un percorso di ricerca per approfondire le cause dello sbilanciamento del SSL a favore del privato, completare e precisare il quadro riferito agli erogatori privati, indagare le prospettive del SSN in Lombardia e i rischi per l’utente cittadino.  

Le domande sono essenzialmente di tre ordini e riguardano direttamente tre ambiti collegati di analisi/studio per chi intenda realizzare un’attività di ricerca indipendente e non main stream:

  • Come si è arrivati a questo considerevole peso degli erogatori privati sul SSL?
    Per rispondere a questo quesito fondamentale serve effettuare una analisi diacronica che abbia per oggetto l’agire politico delle coalizioni al governo della Lombardia, delle istituzioni regionali e nazionali, incluse le università, dei portatori di interesse in senso lato e delle loro complesse dinamiche relazionali.
  • Come va approfondita l’analisi dell’attuale configurazione della componente privata del SSL, in tutte le sue articolazioni, in modo da avere una piena nozione delle forze in campo e del loro posizionamento strategico?
    Il quesito richiama, in questo caso, un’analisi competitiva del quasi-mercato e del mercato della sanità in Lombardia, tenendo conto del contesto nazionale ed internazionale che spinge la sanità, e tutto ciò che riguarda il welfare, verso modelli di mercato.
  • Per finire, quale sia oggi la natura del modello di sistema sanitario esistente in Lombardia e quali siano i rischi di trasformazione per il SSN italiano nel suo complesso, prefigurando soprattutto gli effetti sul cittadino utente?Qui si richiede un approfondimento delle finalità e del funzionamento effettivo del modello per comprendere chi siano i suoi veri beneficiari. In altre parole, a chi giova tutto questo. Lo studio da avviare, in questo caso, si potrebbe definire una macroanalisi del sistema sociosanitario lombardo e dei sistemi di interessi da esso tutelati.

È il caso ora di considerare, per ogni ordine di questioni, l’articolazione delle principali domande di ricerca.

Primo ordine di domande riferito al primo ambito di ricerca

Se nel SSL si è davvero realizzato un processo che ha prodotto uno sbilanciamento a favore del privato del sistema, come è stato dimostrato da alcune indiscutibili evidenze contenute nei precedenti post, allora è importante analizzare le cause e le concause di questo sbilanciamento.

Il primo motore di questa privatizzazione qual è stato? E qual è ancora oggi? C’entrano di più le politiche dei governi della Regione Lombardia o lo sbilanciamento è dovuto principalmente ad una dinamica che si auto-genera e che è tutta interna al quasi-mercato?

E con riferimento alle politiche, quali politiche sono state messe in atto? La regolazione istituzionale del quasi-mercato in Lombardia, che è un complesso sistema di decisioni politiche e di regole gestionali, come è avvenuta?  Ha davvero garantito pari condizioni e quindi pari trattamento fra gli erogatori pubblici e privati all’interno del quasi-mercato del SSL, tanto che possa essere affermato che lo spostamento che si è verificato a favore degli erogatori privati si è avuto solo perché si è espressa una domanda da parte dei cittadini utenti sempre più orientata a trovare soddisfazione presso di loro? E questo perché gli erogatori privati hanno dato migliori prove di sé e sono stati quindi consapevolmente scelti dai cittadini-utenti lombardi proprio per questo? O lo sbilanciamento è dovuto ad altre ragioni?

Che ruolo hanno avuto i partiti, le associazioni di rappresentanza degli interessi e i pensatoi più o meno occulti, le organizzazioni dei medici e dei professionisti della sanità, le università statali e private, le organizzazioni religiose, il terzo settore nel processo di privatizzazione? L’alternativa suggerita dalla letteratura internazionale – forse troppo schematica – è fra due ipotesi: a) la privatizzazione è stata dovuta alle politiche; b) la privatizzazione è stata dovuta all’esprimersi naturale, da parte degli utenti, di una domanda maggiormente orientata verso il privato. La teoria cui viene dato maggiormente credito da parte dell’ente Regione, sceglie la seconda ipotesi, quella che vede nella scelta dei cittadini il motore dello sbilanciamento a favore degli erogatori privati. Ma è una teoria che deve essere invece verificata. La dicotomia proposta dalla letteratura sembra non rispecchiare la complessità della realtà, ma può essere il punto di partenza per formulare altre più articolate domande di ricerca.

Secondo ordine di domande riferito al secondo ambito di ricerca  

Fondamentale è anche conoscere più approfonditamente il SSL nella attuale configurazione. È opportuno procedere con l’analisi di cui si è dato conto nei  precedenti post.

Quali caratteri ha la componente privata del SSL oggi e in che rapporto sta con il mercato diretto sanitario e sociosanitario?

In altre parole, occuparsi della presenza e del peso dei soggetti erogatori privati nel quasi-mercato del SSL non è sufficiente. Il ruolo degli erogatori privati della sanità lombarda non si colloca solo nell’ambito descritto. Gli stessi erogatori sono anche attivi nel mercato diretto e dispongono di strutture e/o di posti letto non a contratto con il SSL che utilizzano per vendere servizi ad utenti paganti. Servizi che vengono attivati e pagati direttamente dall’utente o attivati dall’utente ma finanziati dalle più diverse organizzazioni di intermediazione (mutue, compagnie di assicurazione, fondi sanitari privati). Qual è la struttura di questo mercato diretto?  Andranno recuperate informazioni sui comportamenti degli operatori del sistema, sui tipi di società, sulla composizione del capitale societario, sulle compartecipazioni di multinazionali, fondi di investimento, compagnie di assicurazioni internazionali. E sulle loro strategie di posizionamento.

Terzo ordine di domande riferito al terzo ambito di ricerca

Queste domande interrogano sulla necessità di una difesa dei fondamenti costitutivi del modello scelto nel 1978 a tutela degli utenti.

In questo senso, è importante chiedersi di quanto possa spostarsi l’asse del rapporto pubblico privato, internamente al Servizio sanitario della Lombardia, rimanendo all’interno di un modello che si chiama Servizio Sanitario Nazionale.

Quanto il modello attuale è in grado di focalizzarsi sulle necessità del cittadino-utente e risponde alle sue necessità?

O piuttosto, se non sia invece fra le ipotesi da considerare, che il SSL risponda in misura maggiore agli interessi di portatori di interessi che non sono il beneficiario e finanziatore ultimo dei servizi: il cittadino-utente. Il che rimanda a chiedersi se il modello non stia trasformandosi via via per raggiungere sempre più efficacemente altri scopi, di tutt’altro tipo, non dichiarati, più o meno nobilitati nel discorso politico dal lessico del passato.

E l’autonomia differenziata richiesta dalla Regione Lombardia, che significa maggiore libertà nel governare anche e soprattutto la sanità (come pure l’istruzione, la ricerca, l’ambiente e tanto altro che si relaziona direttamente o indirettamente con la sanità) in che rapporto sta con lo sbilanciamento sempre più avanzato del settore a favore del privato in Lombardia?

Maria Elisa Sartor – Professore a contratto,  Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano

Ringrazio Augusta Foni, Aldo Gazzetti, Lara Loreggian, Prof.ssa Laura Strohmenger, Anna Tempia per i loro importanti contributi.  

 

Questo è l’ultimo di quattro articoli,  fra loro collegati, riguardanti il tema: “La privatizzazione del SSR della Lombardia e il soverchiante peso del settore privato”.

6 commenti

  1. Ho letto con interesse tutti gli articoli pubblicati, specie il terzo; le considerazioni che si potrebbero fare sono davvero tante, però mi pare utile, in tale contesto, aggiungere qualcosa dal punto di vista del cittadino/utente che, ahimè, non sembra davvero essere più il principale beneficiario di tutta ‘sta partita.

    Nella mia famiglia sono presenti 3 “anziani fragili pluripatologici” (mia mamma, mio papà e mia zia) che non hanno (ancora) aderito al nuovo sistema dei gestori. Questa scelta però sta comportando alcune conseguenze organizzative non indifferenti; ad esempio mia mamma e mia zia, che tra le varie patologie soffrono entrambe di diabete mellito tipo 2, devono preoccuparsi di prenotare personalmente tutta una serie di esami propedeutici da portare al periodico controllo diabetologico (in struttura pubblica) cosa che, fino a un paio d’anni fa, era svolta dal centro diabetologico stesso c/o il polispecialistico “Felice Villa” della ASST Lariana. In precedenza, tale centro diabetelogico si preoccupava di prenotare gli esami in modo che fossero il più possibile accorpati nello spazio (sede sanitaria) e nel tempo (in genere una settimana prima della visita). Ora non è più così: se non si vuole andare di persona a vari CUP delle strutture sanitarie della lombardia, bisogna aver la pazienza di chiamare il call center o andare sul sito della regione lombardia e sperare di trovare gli appuntamenti prima della data della vista medica. Diversamente lo stesso call center suggerisce di rivolgersi alle strutture private per accelerare i tempi. Se, invece, ci si lamenta con il centro diabetologico, si sente rispondere che purtroppo non possono fare più come in passato anche se le cose funzionavano meglio e che, per ovviare il problema, si può aderire a uno dei gestori accreditati dalle ATS che penseranno a prenotare tutto per tempo.
    Ciò che voglio dire è che non è facile resistere alla tentazione di affidarsi al gestore poichè è necessario avere tempo e competenze da dedicare, cosa non sempre possibile. Sulla competenza: i miei non sono in grado di fare una prenotazione telefonica, non capiscono dove trovare i dati che chiede l’operatore, tantomeno non è pensabile che si metteano al pc, quindi deve sempre esserci qualcuno che faccia questo lavoro per loro.
    Sul tempo: mi è capitato recentemente di stare ore al telefono per cercare di trovare un appuntamento per mio papà in data consona perchè il call center è suddiviso per territori e se non c’è posto, per ipotesi, in provincia di Como bisogna ripetere quasi tutta la trafila per la provincia di Monza, di Lecco, e così via… fino a poi a ritornare all’operatore della provincia di Como e accettare il primo posto disponibile (a fine luglio) in uno sperduto ospedaletto della Val d’Intelvi, lontano più di 60 km da casa mia. E come farà poi mi papà che ha 81 anni e non se la sente di guidare fin là anche se ha ancora la patente? Pensavo di prendere una giornata di ferie e accompagnarlo, ma poi mi sono ricordata che a Cantù, a pochi km da casa mia, hanno aperto una Smart Clinic (gruppo sandonato, appunto!).. ho telefonato e mi hanno dato l’appuntamento per il giorno successivo, alle 19,20 per la cifra di €69,00 più €3,00 di tesseramento. A conti fatti, francamente, ci conviene fare così anche se mio padre non avrebbe pagato nulla col SSN: abbiamo un responso immediato, mio padre ci può andare da solo e io non perdo la giornata…
    Mi pare che ormai esita una costrizione dell’utenza verso il privato, altro che libera scelta! E’ sempre più una scelta obbligata.

  2. La complessa, documentata e accurata analisi dei dati relativi alla storia recente del SSL condotta da Maria Elisa Sartor nei suoi quattro post pubblicati tra il 17 giugno e il 17 luglio, getta una luce preoccupante su un processo che sta avanzando in Lombardia in modo strisciante dalla metà degli anni ‘90 al 2018, quindi antecedente alla riforma sanitaria regionale e se mai da questa accelerato e consolidato. Si tratta della progressiva privatizzazione del SSL, dello spostamento di peso – all’interno del sistema complessivo –dalle strutture e attività di erogazione pubbliche alle strutture e attività di erogazione private.
    La denuncia della ricercatrice – che si è trovata di fronte alla necessità di una ricostruzione dei fatti rispetto a un’informazione istituzionale che poneva ostacoli alla possibilità di una conoscenza corretta, completa ed esplicativa – è molto precisa: la difficoltà di accedere a fonti che descrivano un quadro chiaro e complessivo rappresenta a suo avviso una deliberata disinformazione, dissimulazione e minimizzazione del fenomeno, una mancanza di trasparenza sistematica nei confronti del cittadino utente che lascia veramente attoniti. Il primo post è intitolato infatti significativamente “La nebbia sulla sanità privata lombarda”. E tutto ciò si traduce poi in un discorso politico che maschera la realtà dei fatti.

    Mentre si dà per scontata una continuità negli orientamenti valoriali e negli interessi tra soggetti privati e soggetti pubblici e si continua a usare il lessico riferito al modello del SSN alla sua nascita nel 1978, il modello attuale è di fatto divenuto un altro, più orientato al mercato (v. l’ intreccio tra scelte politiche delle istituzioni portate avanti nel tempo e interessi dei portatori di interessi). L’assunto – da parte dei governi della Regione Lombardia nell’ultimo ventennio – è che il privato può erogare servizi di pubblica utilità perché si suppone abbia gli stessi orientamenti valoriali e gli stessi interessi di quelli presupposti nel soggetto pubblico, ma è più che legittimo il dubbio che gli interessi che muovono il privato- in campo sanitario come nel campo di altri servizi – non corrispondano in primo luogo all’obiettivo dichiarato ma piuttosto a interessi legati al profitto ( si veda il dato per cui nella sanità lombarda si ha la presenza di aziende e gruppi provenienti da altri settori, che nei Consigli di amministrazione dei maggiori ospedali privati sono presenti banche e compagnie assicurative italiane e straniere, che finanziamenti pubblici statali e regionali per la ricerca sono stati destinati alle sedi IRCCS di gruppi privati, che esistono esempi di conflitto di interessi nei centri di ricerca e nelle facoltà di economia e management con sede in Lombardia…
    Dalle tabelle che corredano e supportano l’analisi emergono in particolare – a titolo di esempio – alcune evidenze che riguardano le remunerazioni degli erogatori privati, proporzionalmente più elevate, il sorpasso del privato sul pubblico nella diagnostica strumentale e per immagini (2015), il dimezzamento dei posti letto pubblici a fronte di un considerevole aumento dei posti letto privati (dalla metà degli anni ’90 al 2018), il sorpasso delle strutture private su quelle pubbliche in alcune province lombarde.
    L’analisi dei più importanti erogatori privati mette in luce inoltre un loro posizionamento strategico molto solido e in via di ulteriore consolidamento: di fronte a ciò è lecito chiedersi se questi non siano già in grado di condizionare le scelte strategiche della Direzione generale sanità e del Welfare spostando sempre più verso il privato l’equilibrio dell’intero sistema. Non è da escludere peraltro l’ipotesi che tali erogatori privati possano in futuro proporsi come gestori delle strutture di erogazione pubblica ( si sono già avuti un paio di casi di questo genere).
    L’intervento di Sartor si aggiunge e rafforza altre letture su questo tema, anche se non riferite in specifico alla Lombardia: penso in particolare al testo di Marco Geddes da Filicaia, “La salute sostenibile. Perchè possiamo permetterci un Servizio sanitario equo ed efficace”– un’analisi approfondita, ampiamente supportata da dati e da informazioni, e il piccolo saggio pamphlet di Giuseppe Remuzzi, “La salute( non) è in vendita”.
    Di fronte a questo quadro sorgono spontanee alcune domande:
    – Esiste oggi un ambito indipendente di ricerca in grado di effettuare analisi corrette e un preciso accertamento dei fatti?
    – A quali esiti ci porterà questa linea di tendenza che sembra ormai stabilizzata?
    – Il modello lombardo ( quello che sembra oggi il più in linea con lo spirito del tempo, un contesto nazionale e internazionale decisamente caratterizzato da una spinta verso modelli di mercato) diventerà il modello?
    Penso alla pratica dei benefit aziendali che incentiva le assicurazioni sanitarie private; penso alle proposte emerse da un Centro di ricerca privato (Istituto Bruno Leoni) che – nel ridiscutere tutta l’impalcatura del sistema fiscale – prevedono uno scenario in cui ai cittadini più abbienti sarebbe data la facoltà di opting out rispetto al SSN.
    Sembra evidente che il modello di un SSN basato sul principio dell’universalismo e del solidarismo – fondamenti costitutivi del modello di SSN scelto nel ‘78 a tutela degli utenti e nel rispetto del diritto alla salute per tutti – è oggi gravemente in crisi. E’ soprattutto il principio di uguaglianza che viene messo in discussione da questa nuova impostazione. L’art. 32 Cost sul diritto alla salute per tutti gli individui e l’art. 3 Cost sulla rimozione degli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini sembrano allontanarsi dall’orizzonte.
    Non posso non pensare, in particolare, ai rischi sul piano del diritto alla salute connessi alla questione dell’autonomia regionale differenziata di cui si dibatte e al suo intreccio con la questione meridionale.
    E possiamo bene immaginare quali saranno le ricadute di tutto ciò sulla salute dei migranti e dei cittadini comunitari. Pensiamo solo all’accordo Stato – Regioni del 2012 che la Regione Lombardia ha lasciato in gran parte inattuato.
    Possiamo giusto aspettarci una tendenza all’accentuazione di quella delega al privato sociale di una parte della problematica della salute dei migranti – quelli irregolarmente presenti – già avviata con la circolare della Regione Lombardia, Direzione Generale Sanità, del 3 febbraio 2009.
    Si aprirebbe qui tutto il discorso del settore non profit su cui ad esempio il sociologo Giovanni Moro ha ampiamente e lucidamente scritto.
    Di fronte a tutto questo, che spazio di movimento resta al cittadino utente? come può difendersi, e non in nome di interessi particolaristici, ma in nome dell’universalità dei diritti, del diritto alla salute di ciascun individuo, come recita l’art. 32 Cost? come si può bloccare / invertire questo processo?
    Quali alleanze instaurare e rafforzare? Penso ad un’alleanza tra organizzazioni diverse della società civile aventi tutte come obiettivo di aver cura di salvaguardare per quanto è possibile lo spirito originario del SSN come bene comune, che costituiscano movimenti di “cittadinanza attiva” volte a implementare diritti, ad azioni di advocacy – che si facciano portavoce dei gruppi di popolazione più vulnerabili e marginali perché i loro diritti siano tutelati- volte a influenzare istituzioni, decisori politici, processi. E a una forma di partecipazione che implichi informazione, consapevolezza, responsabilità, empowerment.
    E infine, come sostenere la ricerca indipendente, garanzia di trasparenza nell’informazione, necessariamente alla base di qualsiasi iniziativa di cittadinanza attiva?
    Come garantire il necessario controllo istituzionale sul sistema?
    Tutte questioni cui dovremmo cercare di trovare una risposta.

  3. Mi permetto di inviare una piccola invettiva contro quelli che considero i collaborazionisti dall’interno del sistema, i vari direttori sanitari, di dipartimento di unità complesse o semplici che non si sono mai opposti a nulla:

    Dove eravate ?
    Quando Formigoni spalancava le porte al privato
    Quando si aziendalizzava in modo spregiudicato
    Quando chiudevano i posti letto solo nel pubblico
    Quando si esternalizzavano i servizi
    Quando si bloccavano i contratti
    Quando si riduceva il personale
    Quando si precarizzava il lavoro
    Quando si fondevano di continuo aziende sanitarie ma sempre impoverendole
    Quando si svendevano unità complesse per trasformarle in semplici
    Quando non vi opponevate a turni massacranti
    Quando accettavate qualsiasi ulteriore attività isorisorse con l’unico particolare che poi eravamo noi a doverle fare a costo zero

    Ora dove siete mentre smantellano la Medicina di Base
    I servizi socio-sanitari
    Spalancando le porte ai gestori e agli erogatori privati
    Siete sempre lì ai vostri posti
    A compilare PAI o farli compilare
    Senza nessuna consapevolezza del ruolo che dovreste avere
    di rappresentanza dei vostri colleghi e di difesa del SSN
    Arruolati alla guerra dello smantellamento del sistema sanitario nazionale, ospedaliero o territoriale , impegnati a segare l’albero sul quale sedete, tanto per primi saranno altri a cadere e voi farete in tempo a defilarvi

    Complici
    Idioti inconsapevoli
    Biechi opportunisti per miseri vantaggi personali
    Come preferite essere considerati?

  4. Commento di un cittadino agli articoli della prof.ssa Maria Elisa Sartor

    Una prima lettura degli articoli della prof.ssa Sartor porta senzaltro a considerare il lavoro certosino e l’analisi puntuale da Lei condotta.

    Peraltro e come traspare dalle righe – per quanto complesso e articolato – è da considerare l’inizio di un discorso che va portato ‘fuori’ fra la gente, le persone, affinchè sappiano …

    Per quanto riguarda le domande in cerca di risposta, queste vanno girate a singole persone o meglio a gruppi di queste che operano nel settore e in particolare nella gestione dei servizi sanitari e che abbiano una certa sensibilità e affinità di pensiero.

    In merito ai gruppi della sanità privata in Lombardia, direi che c’è poco da aggiungere, i dati parlano molto chiaramente e in modo drammatico.

    Mi soffermo, quindi, su alcuni altri punti.

    “Non sempre i fatti generati dall’azione politica del governo vengono descritti per quello che sono dal discorso politico … Per non correre il rischio di essere indotti a distogliere l’attenzione dagli elementi della realtà è importante/conveniente in generale discostarsi dal mero discorso politico”

    Questa affermazione mi lascia un po’ perplesso non tanto per ciò che pensa e scrive la Sartor, ma mi domando che cosa intendiamo per politica. Siamo anche noi d’accordo che questa sia un elemento sovrastrutturale, come pensano tanti membri di tutti i ‘partitoidi’ del cosiddetto arco costituzionale ? I nostri uomini di partito – forse con poche eccezioni – vogliono proprio questo per allontanarci dalla capacità di pensare e di potere agire e incidere sulla realtà quotidiana.

    Chi è cresciuto con la convinzione che la Politica (con la P maiuscola) riguardi sia la ‘Polis sia la ‘Res Pubblica’, un sistema di governo dell’economia, uno strumento per garantire il bene pubblico, fa un discorso politico e un’azione politica seppure oggi sempre più isolato.

    Quindi e piuttosto, dovremmo pensare a un recupero della politica come elemento ella realtà quotidiana, la politica fa parte della realtà e anche chi la nega o non la considera per affondare di fatto il sistema democratico e sottomettere il cosiddetto popolo fa un’azione politica.

    Aggiungo qualche altra considerazione.

    Nessuno si domanda più come funzione il sistema sanitario lombardo, scuola per le altre regioni italiane. Chi vende i servizi (ASST ex ospedali), chi li acquista (ATS ex ASL) e chi controlla la transazione (la Regione), fanno tutti parte dello stesso sistema e della stessa parrocchia, nel privato questa sarebbe considerata una aberrazione, un mercato adulterato, falso …

    E quella chiamavamo strumento per la Prevenzione nei luoghi di lavoro – la Medicina del Lavoro – è ormai, forse, residuale in un paese in cui – soltanto ad es. – il sindacato sembra sparito dalla lotta per la tutela della salute dei lavoratori (gli infortuni aumentano), gli organismi di vigilanza delle ASL sono anch’essi in crisi, residuali, i cosiddetti ‘capi storici’ dei servizi hanno lasciato dietro di sé il vuoto, perduti nella loro autoreferenzialità e con le ‘spalle coperte’ da bravi rivoluzionari borghesi, e non hanno lasciato nulla a ch è venuto dopo, il crollo della storia, la riproposizione (come qualcuno ha già scritto) del mito di Crono che divorava i figli per non essere spodestato …

    Una volta si pensava che la sanità fosse ospedale e territorio con tanti servizi sanitari vicini alle persone e ai loro variegati bisogni, oggi la realtà si è capovolta, in Lombardia il territorio (le ASL ovvero allora USSL – Unità Socio Sanitarie Locali) è stato svuotato, oggi ci sono le Agenzie di Tutela della Salute (ATS) e gli Ospedali sono diventati Aziende Socio Sanitarie Territoriali (ASST) … terminologie rubate al ‘privato’ con il quale il ‘pubblico’ non può più essere competitivo per una premeditata carenza di personale e di fondi, non è un confronto ad armi pari !!!

    Ma vorrei uscire da considerazioni che possono essere fatte tra ‘addetti ai lavori’ o tra ‘intellettuali’. Non ritengo che quello italiano sia un popolo bue, ma non dimentichiamo che viviamo in un periodo di grossa crisi di valori; come diceva Indro Montanelli, siamo un popolo di ‘contemporanei’ che non vuole conoscere al né studiare al propria storia e che preferisce il silenzio della memoria. L’incapacità e la demagogia degli uomini politici sono funzionali l’un l’altro. Da tanti anni non c’è più una politica del lavoro, del reddito, c’è lo smantellamento e la

    distruzione anche dei sistemi che funzionavano (scuola e sanità per l’appunto) che degrado !
    Martin Luther King diceva: “Non ho paura delle parole dei violenti ma del silenzio degli onesti” (o dei sedicenti tali – NdA). E ancora “La salvezza dell’uomo è nelle mani dei disadattati creativi”.

    E Antonio Gramsci scriveva: “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”.

    Penso che le persone cerchino ‘sicurezza’ e chi sembra sappia giocare la partita può infondere paura, istigare all’odio razziale e a quantaltro, anche lontano dalla cultura del popolo, e poi condurlo per mano ‘a occhi bendati’ verso un terreno ignoto (vedi operai iscritti alla CGIL, sindacato forte, e suoi iscritti che votano Lega, partito forte e rassicurante).

    C’è anche un’altra parte che rimane nell’ombra ma gestisce, si ha l’impressione che l’ala di potere formigoniana mai messa in crisi – e con maggiori capacità gestionali e manageriali dei leghisti – continua indisturbata il suo cammino come un sommergibile e mantenendo le redini dei pluriennali accordi con le imprese private della sanità lombarda per affondare definitivamente il pubblico.

    Quindi qualcuno fa il piazzista sbandierando i diritti per cui dice di battersi e qualcunaltro occulta quello che avviene nella cosiddetta realtà, in un paese in cui non ci sono forze politiche credibili e al servizio delle persone per il benessere di tutti o in grado non di contestare ma di proporre strade diverse e pochi cercano di reagire.

    E il cosiddetto popolo ? Non può conoscere fino in fondo la realtà degli ospedali pubblici con organici sempre più ridotti e che non assumono personale, con operatori inquadrati a livelli bassi se non fanno parte della parrocchia giusta (altro che meritocrazia, burnout nella migliore delle ipotesi !), con servizi più costosi da gestire (vedi pronto soccorso e altre emergenze) che il privato non gestisce perchè non lucrosi. Il popolo percepisce che ancora oggi con la ricetta del medico curante può andare dovunque, alcune volte pagando addirittura tickets più bassi nel privato rispetto al pubblico e se va nel privato le liste d’attesa sono più ridotte che nel pubblico, senza rendersi conto di quanto costa alla comunità e ai cittadini stessi questa scelta (il problema maggiore sono i ticket da adeguare al reddito dei cittadini oppure le liste d’attesa nel pubblico molto lunghe ? e perché non si interviene in modo strutturale impedendo ai medici di svolgere attività libero professionale fuori dalla struttura pubblica, con un incentivo economico e aumentando le ore di permanenza a sevizio dei cittadini, piuttosto che portarli a un doppio lavoro ibrido tra pubblico e privato ?).

    E’ scontato il “diritto di essere informati in quanto finanziatori e diretti beneficiari del Servizio Sanitario Regionale della Lombardia”. “Ma anche quando è stata resa disponibile l’informazione circa la natura pubblica o privata degli erogatori e delle attività da loro erogate – e questo è successo sempre più raramente nelle fasi più avanzate del processo di privatizzazione – questa informazione non è stata comunicata in forme che consentissero di avere una nozione completa del fenomeno”.

    Ma nessuna forza politica in Lombardia e in Italia, per mistificazione o copertura dei grandi interessi privati oppure per mancanza di progettualità e impreparazione o per comodo, ha interesse a farlo o quanto meno lo fa’…

    Come agire a tal punto – utilizzando un linguaggio comprensibile alle Persone / al Popolo (recuperando un modo di comunicare e un dialogo con la gente che forse una volta aveva quella che chiamavamo Sinistra), sintetico, non di tante parole e che vada a toccare quelli che sono gli interessi / i bisogni primari del cittadino, specie di quello che ha pochi soldi per diagnosi-cura-riabilitazione – è tutto da pensare e da agire. Parliamone (non soltanto tra coloro che siamo sulla stessa linea e che rischiamo di rimanere dei settari chiusi in trincea) e agiamo, contiamoci e cerchiamo di capire come incidere sulla realtà, stando dalla parte delle Persone e con le Persone.

    Mi si consentano due ultime citazioni.

    Ken Loach, nel suo film “I, Daniel Blake”, ci trasmette sia una riflessione spietata su un mondo sempre più cinico, distratto e inutile, sia una fiducia assoluta negli esseri umani: “Dov’è la speranza? Penso che sia nella rabbia, in una rabbia costruttiva che potrebbe trasformarsi in un movimento …” “Un altro mondo è possibile e necessario”.
    “C’è solo la strada da cui ricominciare” – Giorgio Gaber 1974.

    Un cittadino italiano fiducioso

  5. Ringrazio immensamente la Prof.ssa Maria Elisa Sartor per il grande impegno e la dedizione nel portare alla luce un grave problema di salute pubblica, nonché politico.
    In veste di sue ex-studentessa ho avuto modo di seguire questa sua imponente ricostruzione dei fatti e capire le dinamiche del processo di privatizzazione così sapientemente occultato dalle varie forze in gioco.
    In risposta ai suoi preziosi articoli mi sento di aggiungere che ciò che viene da lei messo in luce è solo una parte del problema. Mi preme, infatti, in qualità di operatrice sanitaria direttamente coinvolta, puntualizzare che il problema della gestione dei cronici è pressante come la questione della prevenzione, a cui storicamente si è sempre data poca importanza, anche quando il SSN esisteva ancora e, a suo modo, funzionava.

    Il Dipartimento di Prevenzione è l’asse portante e il nodo strategico di una più forte e valida collaborazione tra le Strutture, i Servizi e le Unità Operative (interni ed esterni all’Azienda Sanitaria), impegnati nella promozione e nella tutela della salute dei cittadini e, conseguentemente, nello sviluppo sociale ed economico del Paese. Nonostante le evidenze scientifiche dimostrino con chiarezza l’importanza strategica del settore della prevenzione, purtroppo, in Italia, tale settore è uno tra i più negletti della sanità pubblica. Nella maggior parte delle Regioni italiane si continua, con grave miopia, a risparmiare proprio sul Primo Livello Essenziale di Assistenza, quello della Prevenzione appunto, a cui spesso non viene garantito neppure il 5% (mediamente il 3,5%) previsto dalla normativa nazionale per la prevenzione, valore peraltro decisamente inferiore rispetto alla media dei Paesi dell’Unione Europea.
    Le attività svolte in passato dai Servizi di Prevenzione delle ASL, secondo l’OMS, sono state di entità tali da aver contribuito in modo efficace e significativo a collocare il nostro Paese ai primi posti nel Mondo per qualità dei servizi sanitari erogati alla popolazione, in relazione anche alle risorse economico-finanziarie impegnate. Tale quadro, vero prima della grande crisi globale, attualmente, in verità, è caratterizzato da un progressivo e generale depauperamento degli organici. La carenza di idonei ricambi generazionali e organizzativi rende sempre più difficile il delicato compito svolto dai Dipartimenti di Prevenzione, dalle ASL e dagli Ospedali, che si trovano, il più delle volte, nell’impossibilità di garantire le attività essenziali a tutela della salute collettiva (con consistenti rischi e danni per la salute pubblica) e, in molte Regioni, di assicurare gli adempimenti previsti dai LEA, in particolare modo la Sorveglianza e la Prevenzione Nutrizionale, ledendo così il diritto fondamentale alla tutela della salute dei cittadini.
    La Società Italiana d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica, con il documento “ Il futuro dell’Igiene in Italia”, sin dal 2006 ha denunciato tale problema e lo ha riproposto in tutte le mozioni finali dei congressi e delle Conferenze Nazionali che sono seguiti, compreso al 44° Congresso Nazionale e più “recentemente” a Castelbrando-cinque (26 e 27 maggio 2011), dove ha lanciato un pressante appello alle istituzioni, affinché prendano in ben più seria considerazione la salute futura dei cittadini.
    Mi sembra chiaro, ma lo sottolineerò di nuovo, faccio riferimento a “gridi di aiuto” lanciati nel lontano 2011…se attualmente ci troviamo in una situazione drammatica, forse, queste voci avremmo dovuto ascoltarle prima.
    A tutti i colleghi (e non) auguro a tutti voi una buona riflessione e concludo con un’accorata richiesta: divulgate, divulgate, divulgate!

    Lara Loreggian (Dietista)

  6. Visto che sono una donna di 75 anni che interagisce con una certa regolarità con i servizi sanitari in Lombardia e che pensa anche a un possibile futuro ho letto con molto interesse i quattro articoli sulla sanità lombarda. Già il primo articolo mi ha incuriosito con il titolo, perché quella “nebbia” è inquietante, mentre tante volte ho sentito magnificare le eccellenze lombarde e il criterio della libera scelta. Più avanti a proposito dei cittadini si parla di un “diritto a essere informati in quanto finanziatori e diretti beneficiari del Servizio sanitario regionale”. Quel “finanziatori” mi ha colpito. Mi ha portato improvvisamente su un livello ben diverso da quello quotidiano, un punto di osservazione panoramico su cose che conoscevo ben poco.

    In realtà, mi sono resa conto che la nebbia ce l’avevo in testa io, insieme, credo, a qualche altro milione di cittadini. Non avevo nessuna chiarezza sui costi dei servizi sanitari, né sul collegamento tra il pagamento delle prestazioni da parte del singolo paziente, il regime “gratuito” del Sistema sanitario nazionale, l’intervento delle assicurazioni e le variazioni regionali dei ticket. Il termine “fiscalità generale” l’ho già sentito, e “tasse” un numero infinito di volte, ovviamente, ma senza collegamenti significativi alla situazione dei servizi sanitari.

    Come finanziatori dovremmo sentirci incardinati in un sistema di diritti e doveri, di competenze conoscitive e circuiti comunicativi. E invece ce ne andiamo come tanti singoli, uno per uno, ad affrontare la fatica cronica di incontri impari con servizi sanitari che non conosciamo. Rimaniamo per lo più in una condizione di sudditanza, bloccati dalla difficoltà di orientarci non solo nei confronti della malattia, ma anche di un funzionamento istituzionale che spesso sentiamo ostile. Ne risulta un profondo malessere generalizzato in cui sembra possibile solo l’ambito del tutto privato della lamentela e dei consigli delle persone amiche (che non tutti hanno).

    Anche la lettura degli altri articoli mi è sembrata un forte stimolo a guardare in modo diverso la realtà dei servizi sanitari che frequento: la sola citazione del volume di attività/business macinato dalla macchina sanitaria fa capire il peso economico della posta in gioco, l’interesse dei gruppi finanziari (eufemismo che può coprire ogni cosa) per il settore, la criticità del rapporto tra potere centrale e Regioni. Ma il problema si allarga ulteriormente: su che cosa ci esprimiamo quando ci sono le votazioni regionali? Abbiamo sufficiente informazione sulle scelte di politica sanitaria e sociosanitaria che sono in ballo? Mi pare che persino agli stessi operatori risulti difficile avere una documentazione chiara.

    Il secondo e il terzo articolo incuriosiscono, sorprendono e fanno preoccupare. L’attenzione al rapporto tra pubblico e privato e al suo incrocio con il rapporto tra offerta e domanda in un momento di forte cambiamento rivela caratteristiche sconosciute del nostro mondo quotidiano: siamo abituati a chiamare un ospedale per nome, non sappiamo nulla della sua storia recente, della sua collocazione nel sistema sanitario regionale o del suo assetto proprietario. I dati segnalati disegnano un panorama molto diverso da quello che uno si immagina, per forza d’inerzia, sulla scorta di certe rassicuranti commemorazioni dei quarant’anni del Sistema sanitario nazionale.
    Come cittadina utente sono molto sensibile ai riferimenti alla domanda di servizi, più o meno spontanea o viceversa indotta da tante situazioni che hanno ben poco a che fare con la mitica “libera scelta”, vedi ad esempio le ormai famose liste d’attesa. Visti dal di fuori dell’ambito privato di urgenza quotidiana, le decisioni dei singoli costituiscono evidentemente comportamenti sociali e linee di tendenza. Varrebbe la pena di analizzare meglio i criteri in base ai quali i cittadini si orientano: conoscenze proprie o provenienti dal capitale sociale, aspettative generiche o convinzioni maturate nei contatti con i servizi sanitari.
    Ritorna, anche a questo proposito, il bisogno di analisi, informazione e comunicazione perché i cittadini diventino finanziatori e attori più consapevoli.

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