La giungla dei ticket  

Marco Geddes

 La stortura di fondo sta nella graduale e continua trasformazione del ticket da un mezzo per disincentivare gli sprechi a una tassa, peggio della flat tax.

 

Il ticket sui farmaci e accertamenti diagnostici è ormai un terreno di confronto anche all’interno dell’attuale governo. Si tratta di un groviglio, di una selva di provvedimenti nazionali e regionali, da cui è difficile uscire anche perché il suo gettito, che si avvicina ai tre miliardi, non è facilmente rimodulabile; dall’altro canto tale balzello (“mettono le mani nelle tasche degli italiani”, direbbe qualcuno), che si attua in modo capillare e nel corso dell’anno, è difficilmente prevedibile e quantificabile da parte del singolo soggetto, suscitando un diffuso risentimento e orienta una parte degli utenti a rivolgersi ai privati, spesso meno costosi o con tariffe analoghe al ticket. A tutt’oggi non emerge un’ipotesi organica di riforma complessiva del sistema, che proponga una discontinuità nella politica delle compartecipazioni, con un’azione da attuare in modo progressivo nel corso della legislatura.

L’unico modo di venirne fuori, da questa selva, è disboscarla, evitando annunci generici e ipotesi non adeguatamente studiate. Il nuovo ministro ha dichiarato alcuni giorni fa di voler mettere mano ai ticket, facendo pagare di più a chi è più ricco mentre attualmente – ha affermato – non conta quanti soldi hai e se sei un miliardario o una persona in difficoltà economica. Infatti, al di là delle soglie di esenzione, si paga sempre la stessa cosa. Questa ipotesi non pare tuttavia, allo stato attuale, essere recepita dalla Presidenza del Consiglio. Introdurre un ticket che si afferma debba essere in base al reddito (o all’ISE dove funziona?), come già attuato dalla Regione Toscana, è un’ipotesi che potrebbe sembrare equa e intende prospettare un’analogia con un principio fondativo della fiscalità generale: la progressività.

Ma in realtà il sistema dei ticket non funziona così! Si paga, nella proposta avanzata dal Ministro e nella esperienza attuata da alcune Regioni – è bene specificarlo – non in relazione alla propria ricchezza (definiamo così il reddito e l’ISE), ma tutti uguali all’interno di una determinata fascia.

Chiariamolo attraverso un esempio: Silvio Berlusconi ha un reddito di 48 milioni di Euro,  Giulia Bongiorno di 2.833.488 €, l’ingegner Fabio Fantechi di 162.324 € e il dottor Ademaro Vannucchi (medico in pensione)  di 108.217 € (i redditi di Fantechi e Vannucchi sono inventati come i personaggi, quelli di Berlusconi e Bongiorno derivano invece dalle dichiarazioni pubbliche dei parlamentari). Appartengono tutti alla fascia di reddito che viene tassata per l’aliquota massima, che è il 43%. Quando però pagano il ticket non pagano in proporzione al reddito, ma tutti uguali, il Vannucchi e il Fantechi, come Berlusconi e la Bongiorno!

Vi è poi una seconda distorsione; in realtà l’esborso che effettuano  sarà solo in relazione a quanto necessitano ricorrere a farmaci e prestazioni e poiché l’ingegner Fantechi è pieno di acciacchi, come il suo vicino Vannucchi e la Bongiorno sana come un pesce, mi auguro, (e peraltro con un’assicurazione privata come tutti i parlamentari), il Fantechi e il Vannucchi sono, come si suol dire, becchi e bastonati. Distorsioni analoghe, seppure più limitate, sono all’interno delle altre fasce. Chi guadagna 36.000 Euro e deve effettuare molteplici analisi paga assai più, ovviamente, di chi guadagna 70.000 e, per sua fortuna, ricorre raramente al servizio sanitario nazionale.

E poi chi paga, di fatto il ticket? Chi è quel 46% dei ricorrenti a prestazioni che sono sottoposti a tale prelievo?  Coloro che pagano le tasse e quindi, in misura assolutamente prevalente, pensionati e dipendenti pubblici e privati. Mentre altre categorie ne sono, in linea di massima, esenti. Si tratta fra gli altri di gestori di bar, taxisti, gioiellieri, proprietari di imprese individuali che denunciano mediamente meno di 18.000 euro annui, cioè una cifra inferiore a quella che dichiarano i loro dipendenti. Si è poi, negli ultimi anni, introdotto un’ulteriore elemento di distorsione dovuto al fatto che alcune categorie di lavoratori dipendenti, attraverso il welfare contrattuale, vengono rimborsati della spesa sostenuta per il ticket, eliminando altresì ogni funzione residuale di disincentivazione di comportamenti opportunistici e rilevandone, nel contempo, le caratteristiche di tassa sulla malattia. Tale sistema è, grazie alle agevolazioni fiscali, a carico della comunità e conseguentemente anche di quelli che già pagano tasse e ticket!  Ora capisco che noi non viviamo in un mondo ideale e le ragioni di adottare un criterio a fasce, come già realizzato in Toscana, sono quelle di non ridurre il gettito da ticket facendo presa sui, teoricamente, più abbienti (e sui più bisognosi di ricorso alla sanità!) e di allargare conseguentemente la fascia degli esenti. Tuttavia questa profonda distorsione deve essere ben presente e valutata; non si può trattare il ticket applicando ad esso i criteri – e gli slogan o le condivisibili parole d’ordine – della progressività della tassazione.

La stortura di fondo sta infatti nella graduale e continua trasformazione della compartecipazione da una modalità di disincentivare comportamenti opportunistici a una tassa, peggio di una flat tax, poiché all’interno di ogni fascia di reddito tale prelievo è – necessariamente – uguale e non proporzionale, mentre la flat tax consiste in una percentuale, seppure identica, sul reddito. Un incremento del ticket per fasce di reddito sarebbe piuttosto analogo a un aumento dell’IVA riservato agli acquirenti con redditi medio alti e riferito a un prodotto che si è costretti ad acquistare sulla base di indicazioni – prescrizioni del servizio pubblico! Dall’esperienza toscana è emerso un altro rilevante effetto collaterale: il ticket così elevato ha orientato molte persone non esenti verso il privato e, in particolare, il privato cosiddetto sociale, che offre tariffe basse (e qui si aprirebbe un capitolo sulla retribuzione del personale utilizzato) e per lo più in tempi più rapidi. Un primo passo, una spintarella, verso l’abbandono del Ssn?

Che fare? Lasciamo tutto così?

Il problema è complesso e deriva proprio dalla trasformazione del ticket da modalità volta a ridurre comportamenti opportunistici (spreco di farmaci, utilizzo improprio del pronto soccorso), che attualmente possono essere adeguatamente controllati e contrastati tramite l’informatizzazione delle prescrizioni, gli accordi con i medici di medicina generale, il monitoraggio della attività,  etc., in una vera e propria tassa sulla malattia.

L’obiettivo, anche per collocare le iniziative che sta avviando il Ministero su tale tematica, dovrebbe essere quello di ricondurre progressivamente il ticket alla sua primigenia funzione.

L’attuale gettito (2018) è pari a 2.964 milioni €, che corrisponde a una quota pro capite di 49,1 €. La percentuale maggiore è deriva dalla compartecipazione alla spesa farmaceutica (1.609 milioni, di cui tuttavia la massima parte, 1.126 milioni, per il differenziale fra prezzo di riferimento e scelta, da parte del cittadino, del farmaco di marca). Le prestazioni specialistiche incidono per 1.359 milioni, di cui 44,2 per ricorso inappropriato al pronto soccorso.

Una riforma complessiva dovrebbe orientarsi a mantenere il ticket sulla differenza fra prezzo di riferimento e farmaco brand e quello sull’uso improprio del pronto soccorso, introducendo inoltre una partecipazione minimale (pochi euro) sulle ricette (da cui escludere una fascia ristretta di redditi bassi) finalizzata a responsabilizzare nell’uso del farmaco, nella sua conservazione e nella adesione alle terapie ed eliminando la compartecipazione per accertamenti e visite specialistiche. Risorse aggiuntive dovrebbero pervenire da una crescita nella appropriatezza prescrittiva e nell’uso dei farmaci (e loro confezionamento) e, nelle realtà in cui non si raggiungessero tali obiettivi, in una – peraltro assai contenuta – tassa di scopo. Questa si proporzionale al reddito, cosa che la tassa sulla salute (ticket), con ogni evidenza, non lo è!

3 commenti

  1. La giungla dei ticket è piuttosto una giungla d’interessi.

    Osservazioni e alcuni numeri:

    1) Il superticket è stato istituito da una legge nazionale del 2011 finalizzata a raccogliere circa 800 milioni. Le Regioni che non l’hanno applicata o applicata in parte dovevano pro quota subentrare con poste di bilancio proprie. In base alla tabella contenuta nel provvedimento di riduzione di 60 milioni (DECRETO MdS12 febbraio 2019) il gettito nazionale effettivo 2016 era di 413 milioni, così ridotti per il corrente anno a 353.
    2) L’entità del ticket vero e proprio è sottostimata dalla Corte dei Conti in quanto la compartecipazione registrata è solo quella rilevata nel bilancio delle strutture pubbliche. Questa omissione sembra avvenire in certe Regioni (Lombardia, Lazio ecc. dove l’offerta privata ambulatoriale è quasi equivalente a quella pubblica ) che non denunciano o non contabilizzano i ticket versati ai privati . In questa maniera Veneto ed Emilia Romagna risultano raccogliere il doppio del ticket pro-capite.
    3) Nel caso della visita si tenga presente che i 36 euro di ticket rappresentano la tariffa regionale per cui il ticket è il costo che la Regione non paga. L’onerosità del ticket è moltiplicata in quanto non esiste un tetto per prestazione assistenziale o pacchetti di prestazioni ma il tetto di 36 è per ricetta per cui visita più esami diagnostici o di laboratorio con tre ricette si raggiungono 100 euro.
    4) Le defiscalizzazioni garantiscono la restituzione del 19% del ticket versato da fasce di popolazione non con bassi redditi. Lo stesso beneficio per farmaci auto prescritti compresi gli omeopatici. L’impatto negativo sulla raccolta totale dei benefici fiscali è di circa 4 miliardi (senza comprendere le varie detassazioni per il welfare aziendale o per quote iscrizioni ai Fondi)
    5) Il rimborso del ticket da parte dei Fondi sanitari può essere stimato in un quarto dei rimborsi riscossi dai beneficiari iscritti.
    6) La trasformazione spesso solo nominale di prestazioni di Day Hospital o Day Surgery in prestazioni ambulatoriali (es. Cataratta o Tunnel Carpale) ha aumentato il carico della compartecipazione sul bilancio individuale.
    7) Il ticket sull’accesso per codice bianco o verde in PS non riduce di certo il numero dei ricorrenti alle cure urgenti. L’entità risibile (44 milioni) potrebbe essere azzerata da subito. Si sa che le cause sono diverse (liste di attesa, carenza continuità assistenziale, carenza medicina di base ecc.).
    8) è una tassa in rapporto ai consumi e colpisce la popolazione che ricorre alle cure non per consumismo ma magari a causa del non integrazione tra i vari curanti. E’ in atto un razionamento implicito e una riduzione dei servizi sanitari e socio-sanitari.

  2. Condivido parte delle proposte di Geddes:

    1) alcune che non modificano lo status quo, come mantenere il ticket sull’uso improprio del pronto soccorso e quello sulla differenza fra il prezzo di riferimento e il prezzo di un farmaco di marca/con nome di fantasia. Nel secondo caso si potrebbe essere anche più decisi, destinando una parte del ricavato a campagne di educazione della popolazione (e di informazione/incentivazione dei prescrittori) a scegliere SOLO farmaci con prezzo di riferimento. Si tratterebbe di chiarire in modo MOLTO più incisivo che – dopo la scadenza del brevetto e la disponibilità di equivalenti – ogni pagamento extra dei farmaci di marca non ha alcuna giustificazione scientifica né di etica commerciale. Si parla tanto di riduzione delle tasse: ecco oltre 1 miliardo di “tasse” che si potrebbero evitare senza alcun pregiudizio per la salute!

    2) personalmente condividerei anche altre delle sue proposte, come l’introduzione di una partecipazione minimale sulle ricette (da cui escludere una fascia di redditi bassi) finalizzata a responsabilizzare sull’uso consapevole e a dare un segnale contro il diffuso consumismo sanitario, rivolto sia agli assistiti-consumatori, sia ai prescrittori, ricordando che una visita può ben concludersi “solo” con un counselling competente e con esaurienti rassicurazioni, SENZA la prescrizione di farmaci o di accertamenti. Tuttavia, con l’attuale clima politico, non si possono nascondere le difficoltà a introdurre ogni aumento della pressione fiscale (anche mirato e modulato con intelligenza, come ha dimostrato la marcia indietro di un Ministro sul tema, assai meno controvertibile, di una minima tassa aggiuntiva su bibite zuccherate e voli aerei).

    3) invece, per accertamenti e visite specialistiche, condivido solo l’abolizione del superticket, che spinge all’abbandono del SSN, ma non condivido certo l’abolizione di ogni compartecipazione, che sarebbe incoerente con gli stessi buoni motivi esposti al punto 2).
    A meno di non ritenere per errore che il consumismo sanitario si concentri essenzialmente sulle prescrizioni di farmaci, e non anche in misura rilevantissima su visite specialistiche, specie quando l’accesso scavalchi il medico di famiglia, anziché derivare da una sua motivata richiesta (contribuendo così ad affossare il modello delle cure primarie, con buona pace di Alma-Ata…). O non considerando che il consumismo si è esteso massicciamente all’abuso di screening e accertamenti diagnostici (l’“epidemia di diagnosi” denunciata da Welch – Overdiagnosis. Making People Sick… Beacon Press, 2011):
    • vogliamo parlare delle RMN per lombalgia? Le LG NICE le considerano evidence-based solo quando, esclusi semafori rossi e dopo l’attesa con sintomatici della probabile risoluzione spontanea, tre tentativi strutturati di gestione sanitaria siano falliti e si considera di “guidare” un’opzione chirurgica
    • o vogliamo parlare dell’abuso di TC, con i correlati rischi di incidentalomi a breve e oncogeni a lungo termine?
    • o dell’abuso di MOC a partire dai 50 anni o ripetute ogni anno o in terapie con bisfosfonati?
    • o delle spirometrie di screening della BPCO in soggetti asintomatici?
    • o della spinta del marketing e delle organizzazioni di advocacy, non contrastata da alcuna incisiva comunicazione pubblica, a far richiedere mammografie di screening senza attendere l’appropriata cadenza biennale?

    Dato che le valutazioni di efficacia, costo-efficacia, sicurezza e appropriatezza prescrittiva ed erogativa sono il mio lavoro, potrei proseguire molto a lungo in questo elenco, ma forse per convincere chi legge Salute Internazionale ci si può fermare qui

    Alberto Donzelli – Comitato scientifico Fondazione Allineare Sanità e Salute http://www.fondazioneallinearesanitaesalue.org

  3. Ringrazio per i commenti che sia Gazzetti che Donzelli hanno fatto sul mio post.

    Solo qualche precisazione:

    1. Il ticket sul P.S. vuole essere solo la esemplificazione di una compartecipazione là dove non vi è un Gatekeeper, ma la appropriatezza di presentazione è affidata al soggetto. Può essere discussa, ovviamente, e le mie indicazioni non sono una “proposta” ma un esempio di modalità per riportare il ticket alla sua funzione e non a quella di semplice tassazione.

    2. L’abolizione della compartecipazione su gli esami diagnostici e attività ambulatoriali ha la sua logica potendo controllarne l’appropriatezza con accordi e monitoraggio dell’attività dei MMG, nonché con percorsi definiti e da concordare con lo specialista – ovviamente per alcune prestazioni – che potrebbe indicare un altra tipologia di accertamento (ad esempio Rx e non Rnm). La qual cosa sarebbe adeguata anche per stabilire un percorso e una presa in carico.

    3. I ticket sono sempre più una tassa proporzionale alò bisogno di salute – prestazioni, proprio nello sviluppo delle possibilità ambulatoriali e del trasferimento di interventi fino a poco tempo fa in degenza o day surgery. Non possiamo pensare che una prestazione ambulatoriale di cataratta o di tunnel carpale sia soggetta a ticket, poiché ora ambulatoriale. E’ prescritta da un oculista o da un ortopedico e poi porta alcuni vantaggi collettivi (minori assenze lavorative? più sicurezza nella guida etc.)

    4. La mia riflessione vuole indicare non una ipotesi di mettere in atto nella prossima manovra finanziaria, ma un percorso di legislatura, su cui lavorare per definirlo correttamente che poi potrebbe essere, in parte, affidato alle regioni. Chi raggiunge certo obiettivi di appropriatezza, monitoraggio e risparmio può ridurre i ticket e ricondurli al loro scopo.

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