Covid-19. Per non dimenticare

Luca Bartolucci 

Non sopporto foto, applausi e discorsi. Non c’è stata vittoria ma una tragedia. Questo periodo ha lasciato grosse cicatrici. Resterà un tragico incubo, che in qualche modo bisogna ricordare.

Sotto i bombardamenti. L’incubo

Ultima domenica di maggio, turno di guardia di 12 ore, entro per l’ultima volta nel reparto Covid. Di cosa parlare con gli infermieri, gli OSS se non dell’esperienza che abbiamo vissuto? Guardando indietro ad inizio marzo la sensazione è di un incubo che si è protratto per due mesi. Tutti condividiamo la strana sensazione di rivivere questo periodo della nostra vita come spettatori e non riconoscersi: è impossibile che sia io il protagonista di quel film! Quei ricordi non mi appartengono, impossibile avere realmente vissuto le paure, la fatica, i drammi. Non riusciamo a renderci conto appieno di quello che è successo. L’incubo si è acceso improvvisamente, ci ha travolto e con altrettanta velocità, come l’acqua che defluisce da un imbuto, se n’è andato, come un palloncino che rapidamente si gonfia e poi esplode, scompare, lasciandoci, spaventati, increduli.

È stato un fulmine: “E cielo e terra si mostrò qual era: la terra ansante, livida, in sussulto; il cielo ingombro, tragico, disfatto: bianca bianca nel tacito tumulto una casa apparì sparì d’un tratto, come un occhio, che, largo, esterrefatto, s’aprì si chiuse, nella notte nera”.
Un collega anestesista, sempre quella domenica mi ha detto: è come essere stati sotto un bombardamento. È vero, ci hanno bombardato. Come dopo ogni bombardamento rimangono le macerie. Sono le macerie dei corpi delle vittime e del dolore dei familiari, le macerie dei nostri ricordi, condivisi con le nostre famiglie, quelle di chi ha avuto la paura di non poter dare da mangiare ai suoi cari.
Senza ricordi e macerie penso che anch’io stenterei a credere a quello che è successo in questi due tragici, folli mesi. Un pizzicotto e vorrei svegliarmi da questo incubo, sudato, spaventato e poter tirare un sospiro di sollievo. Non è successo niente, dormivi. Che biscaro a credere in un sogno.

Istantanee

Ho raccolto alcune riflessioni che avevo fatto su Facebook, scritte come sfogo nelle notti insonni del periodo di Covid-19. Non sopporto foto, festeggiamenti, gli applausi, i discorsi. Non c’è stata vittoria ma una tragedia. Questo periodo ha lasciato grosse cicatrici. Resterà un tragico incubo, che in qualche modo bisogna ricordare.

25 Febbraio: #AbbiamoPersoUmanita.  Il nuovo mantra di politicanti, funzionari pubblici, giornalisti, leoni da tastiera è: muoiono gli ultrasessantacinquenni ammalati: contenetevi, cavolo! Qualcuno di loro legge e ascolta! Sono i vostri genitori! Ora vado al lavoro, spero che ieri in reparto non abbiano funzionato le TV o Facebook. Spero che questa vicenda insegni che i nostri anziani devono stare nelle nostre case, come un tempo, con l’affetto di figli e nipoti, non andranno più parcheggiati nelle case di riposo o lasciati per giorni e giorni in ospedale, ben oltre il necessario. Lo stato aiuti le famiglie, le famiglie facciano dei sacrifici. Una delle cose che dovranno cambiare nel nostro modo di vivere. Spero.

16 Marzo: lasciateci fare il nostro lavoro. C’è stanchezza, ma anche rabbia perché ci sentiamo abbandonati. Per comprendere questa malattia bisogna averla vista. E ti fa rabbia che le ordinanze, le scelte, le faccia chi è dietro una scrivania, senza ascoltarti. S’impongono indicazioni come quelle delle mascherine chirurgiche, protocolli per i tamponi che non tengono conto della nuova epidemiologia: forse questo ha portato a 30.000 operatori sanitari infetti e una tal diffusione dell’epidemia? Inopinatamente una questione di sanità pubblica è divenuta, inoltre, un dibattito politico/ideologico.

Nel Servizio Sanitario Nazionale, sono anni che facciamo miracoli. Se vengono trovati i ventilatori e i DPI, tutto il possibile sarà fatto, vecchi e nuovi infermieri, specialisti e specializzandi. Tireremo fuori il nostro paese da questa situazione. Basta una promessa, però, che nessuno a emergenza finita si dimentichi più della sanità pubblica. Le mascherine di stoffa, i panni cattura-polvere che ci hanno fornito, non servono a niente in ospedale. Hanno già iniziato a far credere nelle conferenze stampa che gli operatori si sono infettati chissà dove forse… baciando i pipistrelli. Le mascherine ci dovevano essere perché quello che è successo era preventivabile, si è preferito dire che tutto andava bene. Ho sperato che si dicesse e intanto nel segreto si agisse. Invece no! Erano proprio convinti

27 Marzo: la telefonata. Il primo duro vero contatto con questa malattia c’è stato al terzo turno in area Covid, con una telefonata. La morte di un padre, di una madre è sempre una lacerazione dell’anima, perdita irrimediabile di una parte della propria vita. Tenere una mano, accarezzare il volto, salutare quei corpi che ti hanno dato la vita è l’unica consolazione che ci può far comprendere e accettare la fragilità del nostro essere umani.  Non c’è niente di umano a morire in questo momento. Non c’è niente che possa consolare i familiari. Non c’è niente di più distruttivo che dover comunicare per telefono la morte di una persona cara, sapendo la tremenda disperazione che crei. Ho così scoperto che questo, insieme alla paura di infettare i propri cari, è la parte più straziante del nostro lavoro in questo periodo tremendo. Non è fare la visita scafandrati come palombari, essere distrutti dopo 7 o 8 ore in area Covid, non è la paura del contagio personale, perché quello è il nostro lavoro, siamo pronti e lo facciamo con passione, ma quelle telefonate, no! Non sono umanamente sopportabili per nessuno dei due. Che maledetta sia questa malattia!

4 Aprile: essere stanchi. Tutte le volte che apri la porta dell’area Covid e ti chiudi in quel luogo di sofferenza e solitudine con i pazienti, i colleghi, gli infermieri, gli OSS, il personale delle pulizie e ore e ore scafandrato senza mangiare, bere, andare in bagno capisci che le energie fisiche ma soprattutto quelle psichiche iniziano a mancarti.
Sono stanco. Profondamente stanco. Fisicamente, ma è anche una stanchezza diversa: è quella per una condizione di vita, reclusa, separata, sola, che prosciuga le energie. Non ce la faccio più neanche a immaginarmi un futuro che vada oltre il prossimo turno di guardia, vorrei tanto credere che miracolosamente tutti i pazienti dell’area Covid stessero meglio, non trovare alcuna faccia nuova. Ho voglia di normalità. Non sopporto più discussioni inutili, scontate. Perché nessuno capisce. Tantomeno parlare con chi dovrebbe difenderti, sostenerti e invece ti rende ancora più complicato sopravvivere. Usciti da questa “bolla”, ritorneremo forse in un mondo anche peggiore in cui, sembra, ci sarà chiesto di pagare per colpe che nessuno ha mai commesso se non trovarsi travolti da un vortice inimmaginabile e non ho ancora capito quale forza ci abbia fatto andare avanti. Basta che tutto finisca, ho voglia di sorrisi, dei miei affetti, dei canti, del mare, della mia vita. La prossima settimana è Pasqua chi c’è, se c’è, ci ridoni la vita a tutti.

27 Aprile: qualcosa non va. In due mesi nei reparti Covid ci siamo trovati invasi di pazienti con una malattia stranissima, che nessuno aveva mai visto, ci siamo distrutti abbiamo cercato di capire, fatto e ripensato protocolli. Siamo riusciti anche a tirare fuori qualcuno da quest’abisso assumendoci grosse responsabilità, rischiando terapie con farmaci che la maggior parte di noi neanche aveva mai sentito nominare. Poi ti rendi conto che i personaggi, che ci amministrano non hanno preparato niente. È un po’ come se noi avessimo detto ai pazienti: guardate io vi metto solo l’ossigeno, non voglio rischi. Sono capaci di proporre strumenti che andavano bene nell’ottocento, due secoli fa o all’inizio dell’emergenza. Ora ci vuole un altro passo. Da com’era partita questa vicenda c’era d’aspettarsi poco di diverso. Che si sveglino!  Un giorno quando la storia si occuperà di questa epidemia verranno alla luce le responsabilità dell’OMS: negli allarmi, nelle raccomandazioni aberranti sui DPI e poi con l’incommentabile “balletto” sulle terapie che ha portato nel giro di una settimana a bandire e riammettere un farmaco usato da decenni. Un sistema di potere che include le più accreditate riviste scientifiche internazionali e molti scienziati da talk show che ha fatto danni pari al coronavirus.

18 e 23 Maggio: e ti accorgi che niente cambierà

Non siamo eroi, ma solo lavoratori che fanno il loro dovere. Lo abbiamo fatto oggi come ieri. Vedo che su Facebook la terapia per Covid è già stata trovata. Anzi due. Fino a ieri l’altro eparina, da ieri il plasma. Come si fa a proporre Facebook all’accademia delle scienze svedese per il Nobel per la medicina? Leggo che nei reparti Covid non è stato fatto tutto il possibile, non si sono fatte le varie terapie “miracolose” apparse via via su Facebook mi chiedo: in quale parte del mondo un medico o un infermiere entra in un reparto Covid mettendo a rischio la sua vita e quella dei suoi familiari se non per fare tutto il possibile per curare i pazienti. Che c’entra a fare? Per cambiare aria? Quello che si dice in questi momenti deve avere senso e rispetto, evitiamo di fare la stessa figuraccia dei parlamentari con la vergognosa rissa in parlamento.

Ebbene è ormai qualche giorno che credo che il Coronavirus sia stato un avvertimento che non abbiamo saputo cogliere. E soprattutto abbia fatto morire troppe innocenti persone anziane spesso abbandonate nelle case di Riposo da 40-50enni dei quali, a giudicare dalla cattiveria che trasuda dalle loro parole, il nostro pianeta non sente il bisogno… gente che al posto del cervello ha il pancotto. Ormai il cosiddetto genere umano di ‘umano” non ha più niente: solo egoismo, disinteresse e qualunquismo. Non si può generalizzare ma si parla purtroppo di grandi numeri… Meritiamo probabilmente l’estinzione.

Luca Bertolucci, medico internista e area Covid Versilia (Regione Toscana)

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