Etnia, reddito e Covid-19

Michele Innocenzio

Covid-19 ha dimostrato silenziosamente e indubitabilmente quanto la questione sociale, le disuguaglianze e il razzismo sistematico della società rimangano il più importante determinante di salute, quasi l’unico potremmo dire provocatoriamente.

Il New York Times ha pubblicato il 5 Luglio 2020 un’approfondita analisi dei dati sui casi di Covid-19 in varie contee degli Stati Uniti.[1] Un’analisi che, a detta loro, sarebbe rappresentativa di circa metà della popolazione americana. L’interesse del giornale nell’analisi dei case report a cui hanno avuto accesso, non è stato per dati clinici, la terapia, l’età o le malattie pregresse, ma per l’etnia e la razza. Pacificamente e senza troppo clamore, il New York Times dimostra quanto blacks, asians e latinos, i cosiddetti non-whites, sono stati sproporzionatamente colpiti da Covid-19, sia per quanto riguardo il numero di contagi sia per il tasso di letalità.

L’enorme letalità per Covid-19 tra i non-whites è stata imputata alla maggiore prevalenza di patologie pregresse (particolarmente diabete e obesità) in questa specifica porzione della popolazione. Il maggior numero di contagi invece potrebbe essere imputato al fatto che prevalentemente hanno lavori a contatto diretto col pubblico, utilizzano maggiormente trasporti pubblici e vivono in case affollate e multigenerazionali. Questi ultimi fattori riflettono in pratica condizioni socioeconomiche più sfavorevoli rispetto alla controparte di whites.

Su un altro esemplare articolo del NEJM, vediamo i differenti tassi di ospedalizzazione e mortalità per Covid-19 presso la struttura Ochsner Health in Louisiana.[2] Dai dati emerge che il 76,9% dei pazienti ospedalizzati e il 70% dei decessi erano neri. E questo nonostante la comunità nera rappresenti solo il 31% della popolazione di riferimento di Ochsner Health. Ma il dato forse ancora più sorprendente è che l’etnia nera non era un fattore associato indipendentemente ad un maggiore tasso di letalità. Vale a dire che se l’etnia fosse stato l’unico fattore da prendere in considerazione, bianchi e neri avrebbero avuto la stessa probabilità di morire per le conseguenze di Covid-19. L’etnia nera rimaneva invece un fattore associato indipendentemente ad un più alto tasso di ospedalizzazione (insieme ad età avanzata, comorbosità, avere un’assicurazione pubblica tipo Medicaid e Medicare ed abitare in aree low-income).

Ancora, se osserviamo i dati del Public Health England, come ha fatto Krithi Ravi su The Lancet,[3] possiamo evidenziare che il tasso di mortalità tra bianchi e neri è uguale a 30 giorni dalla data di ospedalizzazione. Questo dato diventa molto preoccupante se consideriamo però che i bianchi  hanno una età di presentazione estremamente più elevata (va da sé che l’età rappresenta il principale fattore di rischio per Covid-19) e che il loro background di comorbosità  sia particolarmente associato ad una pessima prognosi (patologia cronica cardiaca, renale, polmonare, neoplasie) rispetto a quello dei neri (tra i quali sono sì più diffusi diabete e obesità, ma queste hanno un hazard ratio rispetto a Covid-19 sensibilmente più basso).  

Anche in Brasile, uno dei paesi che sta indubbiamente soffrendo maggiormente l’impatto della pandemia, i dati ci mostrano come le comunità non-white abbiano tassi di mortalità molto più alti. Addirittura, hanno stimato che appartenere all’etnia pardo (etnia mista) è il secondo più importante fattore di rischio dopo l’età.[4] Inoltre, in Brasile è diventato ancora più evidente come non sia solo l’etnia ma anche la posizione socioeconomica, e indirettamente quella geografica, a determinare la suscettibilità all’infezione. Hanno infatti osservato tassi di incidenza e mortalità molto più alti nella regione settentrionale rispetto a quella meridionale, quest’ultima tipicamente caratterizzata da maggiori risorse economiche e strutturali per far fronte all’emergenza sanitaria e non trascurabilmente – e questo dato non dovrebbe sorprenderci – risulta essere una regione popolata da una minore percentuale di pardos e neri.[5]

Insomma, etnia e low-income sembrano essere indissolubilmente legati ad una maggiore suscettibilità non solo all’esposizione al virus ma anche alle conseguenze della malattia. Le comunità non-white, o meglio la posizione socioeconomica in cui esse si trovano, sono caratterizzate da una innegabilmente non egualitaria possibilità di lockdown rispetto alla controparte di whites.[6] Ancora una volta sembra essere l’income inequality a dettare e determinare la salute degli individui.

Si è parlato tanto dell’influenza di una maggiore prevalenza di comorbosità in alcune popolazioni che determinerebbero la maggiore vulnerabilità nei confronti di Covid-19. Sicuramente queste sono in grado di spiegare alcune delle enormi differenze tra i tassi di mortalità osservati per etnie e reddito. Rimane però la dura realtà dei raw data inglesi del Public Health England (PHE)[7] su un tasso di mortalità per Covid-19 che risulta essere sproporzionatamente aumentato in aree economicamente svantaggiate. Ancora più indicativo il dato, sempre PHE, sull’inversione della tendenza della mortalità tra BAMEs (blacks, asians and minority ethnic) e bianchi: nel 2020 il tasso di mortalità tra i BAMEs è più alto di quello dei bianchi, diversamente da quanto era sempre successo negli anni precedenti. Ennesima dimostrazione dello sproporzionato danno causato dalla pandemia verso alcune porzioni della popolazione.

Un eccessivo focus sulle comorbosità, inoltre, distoglie l’attenzione dal fatto che queste categorie di soggetti sono profondamente più esposte al rischio di contagio: spesso non possono permettersi il lusso di rimanere a casa dal lavoro, sono costretti ad andare in luoghi di lavoro sovraffollati, su mezzi di trasporto sovraffollati e tornare la sera in case a loro volta sovraffollate. Per di più, è stato pacificamente dimostrato che anche le patologie pregresse imputate come fattori determinanti l’alto tasso di mortalità tra i non-whites, diabete ed obesità, sono direttamente correlabili a disuguaglianze e income inequality.[8] E sarebbe riduttivo considerare la maggiore vulnerabilità verso Covid-19 come solo una conseguenza molecolare, una predisposizione genetica riconducibile unicamente all’etnia di appartenenza. Meriterebbero forse maggiore attenzione gli studi di vari epidemiologi ambientali sulla correlazione tra alcune modificazioni epigenetiche del genoma e la posizione socioeconomica[9-11] che potrebbero aiutarci a capire come molte malattie ad alta prevalenza in determinate etnie potrebbero avere una causa profondamente legata a fattori economici e sociali più che ad una predeterminazione unicamente e squisitamente genetica.

Covid-19 è diventata l’ennesima dimostrazione di cui non sapevamo di aver bisogno di quanto l’ingiustizia e le disuguaglianze siano forse l’unico vero determinante della nostra salute.

Potremmo voltare lo sguardo e pensare che sia un problema solo americano, un problema di una società notoriamente caratterizzata da un amore per libertà che poco spesso si traduce in egualitarismo. Un problema che oggi speriamo farà ancora più eco tramite la sempre più efficace cassa di risonanza del movimento Black Lives Matter. Ma invece questo è un fenomeno che avviene in Europa (come già accennato attraverso i dati del Public Health England), ma anche in Italia. Sta succedendo addirittura anche in Toscana. È successo nel mattatoio tedesco di Gütersloh, dove la maggior parte dei lavoratori erano rumeni, bulgari e polacchi (sono dovuti arrivare degli interpreti a spiegare loro come dovevano comportarsi!).[12] È successo nelle palazzine ex Cirio di Mondragone, un nostrano e verace modello di favelas per lavoratori bulgari.[13] È successo anche in Toscana e coinvolge persone di origine non italiana, come il caso dei bengalesi a Viareggio.[14]

Tutti questi casi hanno qualcosa in comune: non avvengono negli appartamenti del centro di Milano e di Roma, non avvengono nelle ville della campagna toscana. Sono tutti casi in cui l’etnia si lega indissolubilmente a condizioni socioeconomiche svantaggiate, a condizioni abitative e lavorative palesemente insalubri a prescindere dalla presenza di un agente pandemico come SARS-CoV-2. Covid-19 ha dimostrato silenziosamente e indubitabilmente quanto la questione sociale, le disuguaglianze e il razzismo sistematico della società rimangano il più importante determinante di salute, quasi l’unico potremmo dire provocatoriamente.

Nell’era della personalized medicine, della genetica molecolare e dell’ingegneria genetica, interventi straordinari potrebbero drasticamente cambiare le prospettive di salute di moltissime persone, eppure ci curiamo ancora troppo poco di quell’unico, apparentemente piccolo, ma così importante e fondamentale determinante della salute, vale a dire la condizione socioeconomica dell’individuo e quindi della società. E mai come in una pandemia è stato così chiaro che la salute del singolo si riflette nella salute della collettività. È nel gretto interesse del singolo, se non dovesse essere sufficiente l’umanitarismo, l’appianamento ed eradicazione delle disuguaglianze sociali. Se sta male uno, stiamo male tutti. Se sta bene uno, stiamo bene tutti. Siamo sempre più vicini all’eliminazione di determinanti della salute ritenuti non modificabili che mai avremmo potuto pensare di eliminare veramente, siamo ad un passo dalla terapia genica, produciamo farmaci di una complessità inaudita, eppure siamo ancora così lontani dal risolvere quell’ingombrante e chiassoso determinante della salute che è la disuguaglianza sociale.

 

Michele Innocenzio
Medicina e Chirurgia
Università degli Studi di Firenze

Bibliografia

  1. Gebeloff RAO Jr R, Lai KR, Wright W, Smith M. The Fullest Look Yet at the Racial Inequity of Coronavirus. New York Times, 05.07.2020.
  2. Price-Haywood EG, Burton J, Fort D, Seoane L. Hospitalization and Mortality among Black Patients and White Patients with Covid-19. N Engl J Med 2020;382(26):2534-2543. doi: 10.1056/NEJMsa2011686. Epub 2020 May 27.
  3. Ravi K. Ethnic disparities in COVID-19 mortality: are comorbidities to blame? The Lancet, 19 Giugno 2020. Lancet 2020; 396(10243): 22. Published online 2020 Jun 19. doi: 10.1016/S0140-6736(20)31423-9
  4. Baqui P, Bica I, Marra V, Ercole A, Schaar Mvd. Ethnic and regional variations in hospital mortality from. The Lancet , Published online July 2, 2020. https://doi.org/10.1016/S2214-109X(20)30285-0
  5. Ribeiro H, Lima VM, Waldman EA. In the COVID-19 pandemic in Brazil, do brown lives matter? The Lancet 2020. https://doi.org/10.1016/2214-109X(20)30314-4
  6. Broadbent A The Lancet, 19.06.2020.
  7. Disparities in the risk and outcomes of Covid-19.  Public Health England, 2020.
  8. Loring B, Robertson A. Obesity and inequities. WHO, 2014.
  9. Ladd-Acosta C, Fallin MD. The role of epigenetics in genetic and environmental epidemiology. Epigenomics 2015; 8 (2). https://doi.org/10.2217/epi.15.102
  10. Schmidt B, Dragano N, Scherag A, et al. Exploring genetic variants predisposing to diabetes mellitus and their association with indicators of socioeconomic status. BMC Public Health 2014; 14, 609. https://doi.org/10.1186/1471-2458-14-609
  11. Shields AE. Epigenetic signals of how social disadvantage “gets under the skin”: a challenge to the public health community. Epigenomics 2017; 9(3), 223–229.
  12. Il coronavirus nei mattatoi tedeschi. Il Post, 22.06.2020.
  13. Sono giorni agitati a Mondragone. Il Post, 26.06.2020.
  14. Coronavirus Toscana, altro cluster: stavolta tocca a Viareggio. La Repubblica Firenze, 07.07.2020.

2 commenti

  1. Non posso che complimentarmi con l’autore per la chiarezza di analisi e descrizione: proprio un bell’articolo. Una sola critica: l’uso, nel titolo e molte volte nel testo, del termine etnia. A parte il fatto che etnia è un costrutto culturale che non trova riscontro nella realtà (ognuno di noi avrebbe grosse difficoltà a rispondere alla domanda “di che etnia sei”?), risulta evidente dalla lettura che non è questa la ragione per cui alcuni individui e gruppi sono più colpiti e muoiono più di altri. La vera ragione è la posizione sociale ed economica di questi individui e gruppi. Indipendentemente dall'”etnia”, chi è più povero e sfruttato sta peggio di chi è più ricco e non sfruttato. A parte questo dettaglio, di nuovo complimenti per l’articolo.

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