La scoperta del Congo
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- 8 Marzo 2021
Maurizio Murru
Repubblica Democratica del Congo. Un paese ricchissimo e affascinante abitato da una popolazione ingegnosa e intraprendente condannata a vivere in condizioni miserevoli dalla stessa enorme ricchezza che calpesta.
Il 22 febbraio scorso l’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo (DRC), Luca Attanasio, il carabiniere che lo scortava, Vittorio Iacovacci e l’autista che li conduceva, Moustapha Milambo, sono stati uccisi in un agguato sul quale si sta ancora indagando e le cui circostanze, probabilmente, non verranno mai completamente chiarite. È successo nella “zona delle tre antenne”, pochi chilometri a nord di Goma capoluogo della Provincia del Nord Kivu. E’ un’area notoriamente pericolosa al confine fra DRC, Rwanda e Uganda.
Nelle Provincie Orientali della RDC (Nord e Sud Kivu, Ituri e Tanganyika), dal 2017 ad oggi, si sono verificati 5.595 rapimenti e 3.757 episodi di violenza che hanno fatto 4.276 vittime[1]. In questa area, i gruppi armati conosciuti sono 121. Erano 130 nel 2019. Sul sito del Kivu Security Tracker si trova lista dei loro nomi con le mappe che indicano le loro aree di influenza nelle quattro province[2]. Queste cifre impressionanti danno una idea non solo della gravità, ma anche della complessità della intricata situazione nell’area in cui è avvenuto l’agguato del 22 febbraio. I numeri sono freddi. Dicono molto, ma non dicono tutto. Gli atti di crudeltà commessi ogni giorno ai danni della popolazione, specialmente delle donne, sono talmente orribili e nauseanti da sfidare gli incubi più tetri e gli stomaci più forti[3].
Bande di tagliagole saccheggiano, rapiscono, violentano, uccidono, poi spariscono nella foresta. Gli stati vicini, soprattutto Rwanda, Uganda e Burundi, sono in simbiosi con molte di queste bande che permettono loro di sfruttare le enormi ricchezze minerarie del sottosuolo congolese. L’esercito “regolare” non è di aiuto. I suoi soldati, poco addestrati e mal pagati, sono più inclini all’abuso che alla protezione, spesso collaborano con i ribelli, vendendo loro armi o partecipando agli utili dei loro misfatti. In base ad accordi di pace, molti capibanda sono entrati a far parte dell’esercito e continuano i loro traffici indossando la divisa. Alcune bande sono capeggiate e costituite da militari disertori. Su questa già enormemente complessa realtà si innestano ostilità interetniche. I Banyamulenge, che abitano le montagne del Sud Kivu da un paio di secoli, sono da molti considerati rwandesi tutsi. Sono stati privati della cittadinanza congolese ai tempi di Mobutu e hanno spesso preso le armi sia per difesa che per offesa. Nell’Ituri è in corso da anni una feroce guerra fra pastori Hema e agricoltori Lendu. Contro gli Hema sono schierati anche i Bira, raggruppati attorno al FPIC (Forces Patriotiques et Integrationistes du Congo)[4].
Non mancano i jihadisti.
Dal 1996, nell’Ituri e nel Nord Kivu, è attivo il movimento ugandese Allied Democratic Forces (ADF). Un tempo alleato al NALU (National Army for the Liberation of Uganda), l’ADF si è in seguito dichiarato affiliato allo Stato Islamico e ha annunciato la nascita della “Provincia dello Stato Islamico nell’Africa Centrale”. L’effettività di tale affiliazione è dubbia ma fornisce una copertura ideologica ad un volgare gruppo di malfattori[5]. Il 27 febbraio scorso banditi dell’ADF hanno assalito un villaggio nell’Ituri, ucciso 10 persone (otto delle quali decapitate) e bruciato alcune case[6]. La macchina del terrore, nell’est del Congo, non conosce soste. La geografia del paese ne rende difficile il controllo da parte del remoto governo centrale a causa della sua vastità, della mancanza di vie di comunicazione, della presenza di più di 250 gruppi etnici diversi. Non aiuta il fatto che otto dei nove paesi ci quali la RDC confina siano essi stessi cronicamente instabili.
Da Leopoldo II a Kabila II
Questo enorme paese (2.344.858 Km2) è nato, come espressione geografica, da una delle più spietate, atroci e sanguinarie vicende coloniali. Negli anni ’70 del XIX secolo il re belga Leopoldo II mise in piedi una sua personale iniziativa coloniale nel bacino del fiume Congo con l’aiuto del giornalista ed esploratore americano Henry Morton Stanley. Al Congresso che si tenne a Berlino fra il 1884 e il 1885 Leopoldo si fece riconoscere il possesso del vasto territorio che lui battezzò “Libero Stato del Congo”. Seguirono più di 20 anni di sfruttamento spietato. Milioni di congolesi furono costretti a lavorare come schiavi per la raccolta della gomma, sottoposti a torture e mutilazioni se non raggiungevano le quote stabilite mentre le loro famiglie erano tenute in ostaggio per scoraggiare tentativi di fuga. Una delle pagine più spaventose e vergognose del colonialismo europeo. Si stima che 10 milioni di congolesi, circa la metà della popolazione totale, furono uccisi per soddisfare l’avidità leopoldina[7]. Lo sdegno internazionale suscitato dai suoi metodi “civilizzatori” costrinse Leopoldo a cedere il controllo del suo “Libero Stato” al governo Belga nel 1908. Il territorio cambiò nome diventando “Congo Belga”. Per la popolazione non cambiò molto.
La storia del colonialismo è fatta di crimini e abusi. A tutte le latitudini.
Occorre una precisazione. Gli eccidi compiuti nel “Libero Stato del Congo” furono numericamente più gravi di altri perché Leopoldo aveva a disposizione un territorio ricco di gomma particolarmente ampio sul quale agire. Nella parte del Congo francese ricca di gomma, la proporzione della popolazione morta per soddisfare l’avidità coloniale fu la stessa (circa 50%). Se, poi, si considera la percentuale della popolazione uccisa (non il numero delle vittime), il genocidio perpetrato dalla Germania nell’Africa del Sud-Ovest, l’odierna Namibia, fu anche peggiore: il 75% degli Herero fu massacrato nel giro di tre anni e il 25% che restava era costituito da sfollati senza terra[8].
Una indipendenza non preparata
Nel 1955 il Professore belga Anton Jozef van Bilsen scrisse un saggio nel quale preconizzava l’indipendenza del Congo nel giro di 30 anni. L’indipendenza arrivò molto prima, il 30 giugno 1960, con la nascita della “Repubblica del Congo”. Il Presidente era Joseph Kasa-Vubu e Patrice Lumumba era Primo Ministro. Dopo decenni di sfruttamento, il Belgio lasciava un paese con meno di 30 laureati. Non c’era un solo congolese medico, ingegnere, agronomo, ufficiale militare[9]. Quattro giorni dopo l’indipendenza, il 4 luglio, l’esercito si ammutinò chiedendo migliori condizioni e maggiore potere per i quadri africani visto che i posti di comando erano ancora occupati da ufficiali belgi. Iniziò così quella che venne definita la “Crisi del Congo”. Patrice Lumumba fu licenziato da Kasa-Vubu, a sua volta licenziato da Lumumba. Quest’ultimo fu poi messo agli arresti, fuggì, fu catturato, torturato e ucciso in Katanga con la complicità belga ed americana. Ci furono altri ammutinamenti, tentativi di secessione, interventi dell’esercito belga, uccisioni, imprese di mercenari. Nel 1965 Joseph Desiré Mobutu prese il potere con un colpo di stato e instaurò un regime tirannico e rapace che durò 32 anni. L’onda lunga del genocidio rwandese del 1994 causò una guerra che in sette mesi portò al potere, nel maggio 1997, Laurent Desiré Kabila, vecchio oppositore di Mobutu sostenuto dagli eserciti di Uganda e Rwanda. Mobutu fuggì e morì in Marocco. Il paese, ribattezzato Zaire da Mobutu, cambiò nuovamente nome diventando “Repubblica Democratica del Congo”. Quando Kabila tentò di liberarsi della pesante tutela rwandese scoppiò una seconda guerra nella quale furono coinvolti gli eserciti di altri sei paesi: da una parte, alleati alla RDC, Angola, Ciad, Namibia e Zimbabwe e dall’altra Uganda e Rwanda. Agli eserciti regolari, da una parte e dall’altra, si unirono varie formazioni di ribelli e milizie armate. Le conseguenze di questa guerra furono devastanti. Laurent Kabila fu ucciso da una delle sue guardie del corpo il 16 gennaio del 2001. Dieci giorni dopo fu nominato Presidente suo figlio, Joseph Kabila. Un trattato di pace, firmato in Sudafrica nel 2002, mise ufficialmente fine alla guerra ma non alla violenza.
La guerra uccide anche dopo la firma della pace
L’organizzazione non governativa americana International Rescue Committee (IRC), ha compiuto una serie di studi sulla mortalità in eccesso verificatasi fra l’agosto 1998 e l’aprile 2007, a causa delle guerre e delle guerriglie combattute nella RDC. Secondo tale studio, nel periodo esaminato, si sono avute 5.400.000 morti in eccesso rispetto a quelle attese secondo i tassi di mortalità precedentemente rilevati nella RDC. Di queste “morti in eccesso”, 2.100.000 si sono verificate dopo la fine ufficiale della guerra. Solo una minima frazione delle “morti in eccesso”, lo 0,4%, è stata direttamente causata da atti di violenza. Il resto è da addebitarsi agli effetti indiretti della guerra che hanno portato ad un aumento vertiginoso delle morti per malnutrizione, infezioni respiratorie, malattie diarroiche, malaria. Il 47% delle morti in eccesso era costituito da bambini al di sotto dei cinque anni che rappresentavano il 19% della popolazione[10].
Le Nazioni Unite
L’ ONUC (Organisation des Nations Unies au Congo) fu la prima missione di pace dell’ONU in Africa e la prima a dispiegare un imponente contingente militare. Istituita nel luglio del 1960 restò in piedi fino al giugno del 1964 e arrivò a contare circa 20.000 effettivi. Il suo mandato iniziale, assicurare il ritiro delle truppe belghe, assistere il governo nel mantenimento di legge e ordine e provvedere assistenza tecnica, fu ampliato in seguito aggiungendo i compiti di assicurare l’integrità territoriale del paese, assicurarne l’indipendenza politica, prevenire l’insorgere di una guerra civile e assicurare l’espulsione dal Congo di tutte le forze militari e paramilitari straniere inclusi i mercenari[11]. Nell’ambito di quella missione persero la vita 245 militari e 5 civili dell’ONU incluso il Segretario Generale Dag Hammarskjold. Le Nazioni Unite inviarono una seconda missione di pace nella RDC nel 1999, la MONUC (Mission de l’Organization des Nations Unies au Congo) che, nel 2010, fu sostituita dalla MONUSCO (Mission de l’Organization des Nations Unies pour la Stabilisation du Congo) che attualmente conta 17.467 effettivi e un bilancio (luglio 2020 – giugno 2021) di 1.154.140.500 dollari[12]. Le critiche a questa come ad altre missioni di pace dell’ONU sono numerose e fondate[13, 14]. I caschi blu non prevengono massacri e atrocità e sono frequentemente accusati di abusi sessuali. Nonostante questo, senza di loro la situazione sarebbe peggiore. Molti disperati si accampano nei pressi delle loro basi per protezione, molte organizzazioni umanitarie usano i loro aerei ed elicotteri per raggiungere aree isolate e troppo pericolose per essere raggiunte in auto e i loro funzionari civili hanno spesso richiamato l’attenzione su reati che sarebbero altrimenti rimasti nell’ombra. Non è molto. È meglio di niente.
Cambiano i saccheggiatori ma il saccheggio continua
Come abbiamo visto, il territorio corrispondente all’odierna RDC fu creato per soddisfare la sete di prestigio, potenza e ricchezza di Leopoldo II del Belgio. Arthur Conan Doyle, in un libello del 1909, definì quello compiuto in Congo da Leopoldo e dai suoi scherani “il più grande crimine mai conosciuto negli annali umani”[15]. Joseph Conrad, in un articolo apparso su National Geographic nel 1924, lo definì “la più ignobile delle corse al saccheggio che abbia mai sfregiato la storia della coscienza umana”[16]. Le due frasi si riferiscono ad un periodo lontano nel tempo ma, nella sostanza, sono rimaste valide per tutti i decenni che le hanno seguite. E sono valide anche oggi. Dalla fondazione del “Libero Stato del Congo” in poi, la popolazione congolese non è mai stata libera da sfruttamento, oppressione e terrore. Da Leopoldo II a Joseph Kabila, il saccheggio delle enormi risorse del paese (legname, oro, diamanti, cobalto, tungsteno, coltan) a beneficio di ristrette élites locali e straniere non ha mai conosciuto soste. Le bande armate che infestano le province orientali schiavizzano le popolazioni locali che, per pochi dollari al giorno, estraggono e trasportano materie prime rivendute poi per migliaia di dollari a mediatori di paesi vicini, specialmente Rwanda, Uganda e Burundi che le esportano verso i paesi industrializzati.
Qualche cosa si muove? Forse
Nel 2017 l’Unione Europea ha approvato un regolamento che, se applicato e non aggirato, dovrebbe assicurare la trasparenza delle filiere dei minerali provenienti da zone di conflitto e promuovere un “approvvigionamento responsabile”. Il regolamento “istituisce un sistema dell’Unione sul dovere di diligenza nella catena di approvvigionamento («sistema dell’Unione»), al fine di ridurre le possibilità per i gruppi armati e le forze di sicurezza di praticare il commercio di stagno, tantalio e tungsteno, dei loro minerali, e di oro. Il presente regolamento è strutturato in modo da garantire la trasparenza e la sicurezza relativamente alle pratiche di approvvigionamento degli importatori dell’Unione, e delle fonderie e delle raffinerie in zone di conflitto o ad alto rischio”[17]. Precedenti esperienze simili non autorizzano grandi speranze. Nel 2003 fu lanciato il “Kimberley Process”, appoggiato dalle Nazioni Unite[18]mirante ad eliminare il commercio dei “diamanti insanguinati”, definiti “diamanti grezzi usati da movimenti ribelli o loro alleati per finanziare conflitti finalizzati a minare governi legittimi”[19]. Ci sono stati miglioramenti nel commercio dei diamanti ma numerosi sono anche stati gli stratagemmi per aggirare efficacemente i regolamenti introdotti[20]. Lo stesso dicasi per il “Dodd-Frank Act”, varato nel 2010 negli Stati Uniti, che obbliga le compagnie a controllare le loro filiere di approvvigionamento per evitare di finanziare gruppi di banditi armati[21]. Questi regolamenti continueranno ad essere aggirati e nell’est della RDC il commercio illegale di preziose materie prime continuerà ad opprimere la popolazione, arricchendo pochi a detrimento di molti e finanziando la continuazione dello stato di guerriglia e banditismo permanente. Ma le cose sono più complesse ancora: il risultato immediato del rispetto di questi regolamenti è quello di far perdere l’unica misera fonte di guadagno a migliaia di persone schiavizzate. L’unica soluzione è che uno stato non predatorio riesca a controllare l’est del Congo che, sommando le quattro province, è grande quanto l’Italia. Una soluzione che non si vede all’orizzonte.
La lotta per il potere non si ferma
Joseph Kabila avrebbe dovuto lasciare la presidenza nel 2016. Ha rifiutato di farlo per due anni. Quando si è rassegnato ad indire elezioni, nel dicembre del 2018, il suo successore designato, Emmanuel Shadari, è stato sconfitto da Martin Fayulu. Ma alla presidenza è arrivato Félix Tshisekedi, figlio di Etienne Tshisekedi, storico oppositore di Mobutu. Questo “scippo elettorale” è stato reso possibile da un tacito accordo fra lo stesso Tshisekedi e Joseph Kabila, riluttante a lasciare sul serio le leve del comando. Da allora, lentamente, Tshisekedi ha tentato di prendere effettivo possesso del potere. Dal dicembre 2020 sono in corso manovre che hanno portato numerosi parlamentari a lasciare il campo dell’ex presidente per unirsi a quello dell’attuale che ha creato una Santa Alleanza (Union Sacrée) per rafforzarsi. Posti chiave come la Presidenza delle due camere del Parlamento sono stati riassegnati al campo presidenziale[22]. Il 15 febbraio è stato insediato un nuovo Primo Ministro, Jean-Michel Sama Lukonde, alleato di Tshisekedi. Ha sostituito Sylvestre Ilunga Ilunkamba, alleato di Kabila, costretto a dimettersi da un voto di sfiducia del Parlamento[23]. Gli Stati Uniti appoggiano Tshisekedi e percepiscono Kabila molto (troppo) vicino alla Cina che ha investito massicciamente nel settore estrattivo, specialmente negli strategici giacimenti di cobalto e coltan. Si sta già parlando di un possibile tentativo di ritorno di Kabila alle elezioni del 2023. La lotta è in corso ed è aperta.
Un sistema sanitario in ginocchio
Negli anni ’70 del secolo scorso, con l’appoggio finanziario e concettuale di Belgio e Stati Uniti, si svilupparono, in varie aree del paese, interessanti esperienze innovative per l’erogazione di cure primarie che furono emulate anche in altri paesi. Il sistema sanitario congolese conobbe la sua “età dell’oro” fra il 1982 e il 1988. Anche in quel periodo, lo Stato era virtualmente assente e il sistema sanitario funzionava grazie agli aiuti stranieri e ai pagamenti diretti da parte dei pazienti. Accanto a isole di eccellenza esistevano vaste zone in cui la popolazione era priva di ogni servizio.
Nel 2017, l’ultimo anno per cui questo dato è disponibile, la spesa pubblica per la sanità era pari al 3,3% della spesa governativa totale (la media nella Regione Africa dell’OMS era del 7,2% nello stesso anno)[24]. La legge di bilancio congolese per il 2021 preconizza una spesa sanitaria pari all’11% di quella totale ipotizzando una crescita economica nell’anno pari al 3,2% dopo un calo dell’1,7% nel 2020[25]. Venti anni fa, ad Abuja, i capi di stato e di governo africani si erano impegnati a destinare almeno il 15% delle spese governative alla sanità[26]. Dieci anni dopo, nel 2011, solamente tre paesi (Eritrea, Mauritius e Seychelles) erano riusciti a mantenere quell’impegno molto retorico e poco realista[27]. Come abbiamo visto, gli ultimi dati disponibili, risalenti al 2017, indicano una spesa media per la sanità nei paesi Africani pari al 7,2% di quella totale.
Non solo Covid-19
Al 2 marzo 2021 la RDC aveva riportato 26.050 casi e 711 decessi da Covid-19, il che equivale a 285 casi e 8 decessi per milione di abitanti[28]. Come in altri paesi, la sottostima, sia dei casi che dei decessi, è più che probabile.
Il 7 febbraio è stato segnalato il primo caso di una nuova epidemia di ebola a Butembo, nel Nord Kivu[29]. Questa è la dodicesima epidemia di ebola a colpire la RDC. L’ultima ha interessato le Province del Nord Kivu, Sud Kivu ed Ituri, è durata due anni ed è stata la seconda nella storia per numero di contagi (3470) e decessi (2280)[30].
Controllare una epidemia di ebola è arduo ovunque. Lo è molto di più nell’est della RDC. Nel corso dell’epidemia precedente si sono verificati almeno 200 attacchi a strutture sanitarie. Molte sono state distrutte. Una buona parte della popolazione crede che ebola sia una invenzione di politici locali e affaristi stranieri. Dopo decenni di abusi e soprusi, la popolazione non si aspetta niente di buono dal governo e dopo essere stati saccheggiati da vari eserciti stranieri, non si fidano nemmeno di chi viene da fuori. Gli operatori sanitari stranieri arrivati in auto a quattro trazioni, bardati in tute protettive, non sono stati visti come “salvatori” ma come profittatori[31]. È insensato. Ma è comprensibile. La risposta alle epidemie di ebola nella RDC è stata criticata e persino tacciata di razzismo per aver creato un sistema parallelo che ha marginalizzato quello governativo invece di rinforzarlo[32]. Al 19 febbraio 2021 i casi confermati erano sei, con due decessi[33].
Nella Provincia dell’Ituri è in corso anche una epidemia di peste che, al 13 dicembre 2020, ha fatto registrare 286 casi e 27 decessi[34].
Uno studio pubblicato il 2 marzo 2021 sottolinea che la prevalenza dell’HIV nella RDC si aggira attorno all’11%, ben al di sopra delle precedenti stime (2,86%) e che una sorprendentemente alta proporzione degli individui infettati (fra 2,7% e 4,3%) controlla l’infezione senza bisogno di farmaci[35]. Si tratta dei cosiddetti “élite controllers” che, solitamente, sono meno dell’1% delle persone infettate dall’HIV. Secondo i ricercatori questo risultato potrebbe aprire la strada ad importanti progressi nella ricerca di nuovi meccanismi genetici per la soppressione del virus.
Il sempre umano
Sulla Repubblica Democratica del Congo sono state scritte decine di libri. Alcuni ottimi, altri mediocri. In questa sede non è possibile dilungarsi oltre. Rimane la profonda amarezza nel vedere un paese ricchissimo e affascinante abitato da una popolazione ingegnosa e intraprendente condannata a vivere in condizioni miserevoli dalla stessa enorme ricchezza che calpesta. Non succede solamente qui. Qui succede in modo estremo da sempre. Il sempre umano. E continuerà a succedere per il sempre umano. Quello prevedibile.
Bibliografia
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- RDC : élu à la tête du Sénat, Modeste Bahati Lukwebo prend sa revanche – Jeune Afrique Jeune Afrique,02.03.2021
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