La versione di Ranieri Guerra

“Il nostro SSN è arrivato impreparato all’appuntamento con la pandemia, stremato da anni di tagli e di privatizzazioni. Per certi versi ancora più grave è l’inerzia con cui governo centrale e regioni hanno affrontato la seconda fase, più catastrofica della prima (ricordiamoci i morti di ieri: 845). Le falle storiche del nostro SSN, associate all’impreparazione e all’incompetenza dimostrate fin dall’inizio della pandemia, hanno certamente contribuito a determinare l’insopportabile carico di morti che il Paese sta piangendo.”  Questo scrivevamo in un post dello scorso 16 dicembre 2020 dal titolo “Rendere conto dei morti”.  La parte conclusiva del post commentava la puntata di Report andata in onda il 30 novembre 2020 che – a proposito dell’impreparazione italiana di fronte alla pandemia – riferiva di un rapporto dell’OMS (An unprecedented challenge Italy’s first response to COVID-19), pubblicato dall’Ufficio Regionale per l’Europa con sede a Venezia, reso noto il 14 maggio 2020, ma immediatamente dopo ritirato dalla circolazione. La puntata parlava di pesanti pressioni esercitate dal Direttore vicario dell’OMS, Ranieri Guerra, su Francesco Zambon, capo del team veneziano dell’OMS, per modificare il rapporto, che – come detto – sarà poi ritirato.

Successivamente nuove rivelazioni emergeranno sui motivi e sulle circostanze della rimozione del rapporto. Circostanze anche di carattere giudiziario dato che il professor Guerra è indagato per false dichiarazioni al PM dalla Procura della Repubblica di Bergamo. Per questo motivo lo studio legale del professor Guerra ha prodotto una memoria difensiva atta a “a smentire qualsiasi diversa ricostruzione, affidandosi alla rigorosa lettura e al deposito di numerosi documenti, con un esame analitico della cronologia degli accadimenti” e richiedendo di consentire il diritto di replica al suo assistito, cosa che facciamo pubblicando la seguente nota di Ranieri Guerra.

“Questa è una storia che non avrei mai immaginato di dover raccontare. Da 40 anni giro per il mondo, lavorando, cercando di capire, di studiare e migliorare costantemente. Faccio il medico, prima clinico e poi di sanità pubblica, e sono stato nei luoghi più disagiati, a contatto con persone, famiglie, comunità invisibili, marginali rispetto alle vetrine del mondo avanzato. Ho imparato molto, anche a fare un taglio cesareo usando metà rocchetto di filo da sutura per risparmiare, e ho anche insegnato qualcosa ai tanti colleghi giovani che con me hanno condiviso un ideale di servizio estremo.

Mi sono trovato in guerre, epidemie, attentati, assedi, catastrofi di ogni genere, spesso create dall’uomo in un mondo difficile e cinico. Ho visto persone ammalarsi e morire, ma anche guarire, dare alla luce nuove vite, e ho contribuito a salvarne quante ho potuto. Ho sfiorato la morte più di una volta, mi sono ammalato anche io, e sono sopravvissuto.

Ora, al termine del mio percorso lavorativo, non posso credere di dovermi difendere da una macchina del fango colossale, montata spietatamente per far convergere su di me (e solo su di me) accuse e insulti come se fossi un terribile criminale, come dico sempre ai miei nipoti impauriti e sconcertati.

Ho subìto invettive estreme, create manipolando la verità, con ragioni che sto ancora cercando di ricostruire, navigando nell’incertezza, dato che mi sono stati occultati documenti, comunicazioni, lettere, nonostante le evidenze che ormai mi sono deciso a rendere pubbliche. Io ho sempre creduto che la missione delle istituzioni fosse di difendere gli indifesi, i vulnerabili, coloro che non avrebbero altrimenti avuto né voce, né volto, e spesso neanche un nome. Non ho mai pensato di dovermi proteggere da possibili invidie, odi, risentimenti che magari stavo stimolando senza accorgermene. Adesso mi trovo a dovermi divincolare da un attacco violento, costruito con grande maestria e utilizzando quelle armi della mistificazione, della bugia, della manipolazione di cui avevo letto solo sui libri della mia giovinezza. Pensavo che questo potesse accadere solo in quelle storie, non nella vita reale e tanto meno a me.

Quando sono rientrato in Italia a fine 2014 dopo molti anni, ho formato un gruppo di colleghi straordinariamente bravi, umili e dedicati, che hanno creduto nella mia interpretazione di lavoro in un ministero della salute stremato. Con loro, fino a ottobre del 2017, ho costruito un sistema che ha protetto il Paese dall’ingresso di patologie devastanti, come Ebola, Zika e altre virosi ormai non più esotiche. Ho salvaguardato le riserve di plasma del Paese con gli eccezionali colleghi del Centro nazionale, dopo le estese contaminazioni del virus della Febbre del Nilo occidentale, che pochi conoscono, per fortuna. Sono riuscito a circoscrivere meningiti e morbillo, galoppanti in un Paese allora diviso, che non credeva più nei vaccini, nella scienza e nella ricerca. Ho lavorato in mare al salvamento dei migranti, e in aria, coi magnifici colleghi della marina e dell’aeronautica, inventori del trasporto in bio-contenimento. Ho scritto, fatto scrivere, promosso assieme ai pazienti e ai colleghi del mondo reale, e poi fatto approvare piani nazionali di ogni genere, discutendo perfino con il settore ambientale perché valorizzasse gli impatti sulla salute delle questioni più spinose del Paese, come la Terra dei Fuochi, Taranto, i siti di interesse nazionale, dove si continua a consumare la tragedia dell’inquinamento che spegne i luoghi più significativi del nostro Paese, il più bello del mondo.

Oggi vengo additato come uno sciatto, una mela marcia, incapace di operare al meglio della mia capacità, o per aver mentito perché coinvolto in un conflitto di interesse personale. E queste cose vengono dette da persone che hanno lavorato con me, che conoscono la realtà dei fatti, ma che la hanno alterata per motivi che non conosco né comprendo.

La documentazione che il mio avv. Roberto De Vita ha depositato presso la Procura di Bergamo è corposa ed articolata ma assolutamente chiara e supporta la narrazione dettagliata di quanto avvenuto, con precisi riferimenti ad una cronologia precisa e non manipolata. I numerosi allegati alla memoria costituiscono l’evidenza fattuale di comunicazioni, accadimenti ed eventi circostanziati e controllabili da chiunque voglia leggere per capire, fuori dalla manipolazione costante a cui ho dovuto assistere mio malgrado, in un silenzio sofferto, ma richiesto – anzi imposto – dalle istituzioni per cui ho lavorato e che ho voluto rispettare fino in fondo.

Non conosco ancora tutto quello che è accaduto a mia insaputa, e sto dipanando con l’aiuto di legali determinati quanto me una matassa complessa, fatta di interessi convergenti e spesso sovrapposti che non hanno nulla a che vedere con la realtà dei fatti. Quando sono arrivato in Italia, l’11 marzo 2020, ho trovato un Paese impaurito, vulnerabile, angosciato e ho offerto subito tutto ciò che potevo, conscio che per prima cosa dovevano essere vinti l’ostilità e lo stigma con cui il resto del mondo stava guardando al Paese. Il mio Paese ferito, fermo, incredulo di fronte a un attacco biologico senza precedenti, entrato, come ora sappiamo, subdolamente da mesi, e non da luoghi esotici, ma da paesi contigui. Ho trovato anche un’amministrazione divisa, ancora in ritardo su azioni di risposta e contenimento che cozzavano contro le partite di calcio con quarantamila tifosi in movimento, i trasporti aperti, le città che non si fermano mai, con un virus inizialmente classificato leggero come un’influenza stagionale, mentre la realtà era talmente diversa. Ma ho trovato anche il fermissimo proposito di salvare il capitale umano senza calcoli politici, di inventare e adottare azioni di mitigazione che il resto del mondo rimaneva a guardare stupito, per capirne l’efficacia, dovendo poi procedere inevitabilmente sullo stesso cammino arduo e angoscioso tre o quattro settimane dopo. E io a tutto questo ho cercato di dare evidenza: ho cercato di spiegare anche ai miei colleghi dell’Organizzazione, lontani spettatori, che un piano esistente prescriveva le azioni di sempre – distanziamento, rallentamento della mobilità umana, isolamento e quarantena, igiene delle mani, uso di barriere respiratorie, messa in sicurezza di pronto soccorso, RSA, ospedali e persone fragili – anche se con un formato sicuramente perfettibile, come ogni cosa. E che quel piano si sarebbe potuto utilizzare in chiave preventiva durante i primi due mesi di euforia pre-catastrofe, ma che si era preferito adottarne uno nuovo, specifico, rilevante per combattere il virus assassino, che sappiamo era già circolante, richiudendo tuttavia la porta in tempo per proteggere i milioni di cittadini ancora esposti che sarebbero potuti cadere altrimenti. Ho cercato anche di realizzare tre azioni fondamentali che ancora mancavano nell’assetto di difesa del Paese: una sorveglianza domiciliare eseguita dalla medicina territoriale, una sorveglianza ambientale, eseguita dai meravigliosi colleghi del mio vecchio Istituto, che avevano messo a punto una tecnologia di individuazione del virus precocissima, una sorveglianza clinica che, per i soliti dissapori interni, i nostri straordinari ospedali non erano riusciti a concertare.

Questo dicono i fatti. Ma questo viene dimenticato dalla macchina del fango. Perché? Soltanto per i commenti ad un documento scritto in maniera soggettiva, incompleta ed atecnica? Ignorando peraltro mille e oltre articoli scientifici che spiegavano i risultati, ciò che funzionava e ciò che non andava in ogni settore del Paese, in maniera trasparente, oggettiva, tecnicamente inappuntabile, come solo medici, infermieri e ricercatori italiani sanno fare? Ancora oggi non conosco le ragioni che hanno portato a ciò.

Con questo spirito di verità e di trasparenza, pertanto, ho deciso di rendere disponibile tutta la documentazione assemblata finora per consentire una valutazione oggettiva e distaccata anche a questa rivista, che ringrazio per avermi concesso il privilegio di rappresentare il mio punto di vista attraverso di essa.”

 

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