La sanità di domani (cioè di ieri)
- 0
- 3.7K
- 7 Min
- |
- 20 Dicembre 2021
Gavino Maciocco
Nella bozza di riforma PNRR dei servizi territoriali si riesumano le principali riforme delle cure primarie e dei servizi territoriali approvate negli ultimi venti anni (ma sarà vero?)
PNRR. Quale idea di sanità territoriale? In un post qui pubblicato lo scorso 26 maggio si osservava che le proposte contenute nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per il rafforzamento della sanità territoriale mancavano di una chiara, definita cornice di politica sanitaria:
- Una cornice pubblica? Con una struttura organizzativa forte, quale ad esempio il Distretto, dotato di autonomia gestionale, baricentro e motore per l’assistenza territoriale, e da cui dipendono strutture e professionisti sanitari, compresi i Medici di Medicina Generale, e i professionisti sociali, al fine di promuovere e incentivare il lavoro in equipe multi professionali.
- O una cornice privata? Dove predomina la logica della produzione di prestazioni, chiunque sia il produttore (sottinteso quasi esclusivamente privato). Con i produttori che si muovono in competizione tra loro e con il settore pubblico che si limita a esercitare una funzione di controllo amministrativo e al massimo di coordinamento.
Il PNRR non fa una scelta tra le due possibili opzioni e rimanda “l’identificazione del modello organizzativo condiviso della rete di assistenza territoriale tramite la definizione di standard strutturali, organizzativi e tecnologici omogenei per l’assistenza territoriale e le strutture a essa deputate” all’approvazione di un decreto ministeriale (da adottarsi entro il 31 ottobre 2021).
Il decreto ancora non è uscito tuttavia è stata resa nota una bozza che dovrebbe essere molto vicina alla versione definitiva, dal titolo Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Sistema Sanitario Nazionale (vedi Risorse). Si tratta di un documento di 46 pagine, suddiviso in 17 capitoli in cui vengono trattate le molteplici articolazioni e problematiche della sanità territoriale (dalle case della comunità all’assistenza domiciliare, dalle cure palliative alla salute mentale; dai sistemi informativi alla telemedicina). Chi cercava la cornice di politica sanitaria si può ritenere soddisfatto (ma solo in parte). Si tratta infatti (a prima vista) di una cornice anche molto robusta perché si rievocano (forse meglio dire, si riesumano) le principali riforme delle cure primarie e dei servizi territoriali approvate negli ultimi venti anni.
Proviamo a vedere come (NB: per ognuno dei 4 seguenti punti vengono riportate parti del testo della bozza ministeriale) .
Il Distretto (riforma Bindi, DL 299/1999)
Distretto Socio-Sanitario di circa 100.000 abitanti, con variabilità secondo criteri di densità di popolazione e caratteristiche orografiche del territorio.
Il Distretto costituisce il luogo privilegiato di gestione e di coordinamento funzionale ed organizzativo della rete dei servizi socio-sanitari e sanitari territoriali e centro di riferimento per l’accesso a tutti i servizi dell’ASL. È inoltre deputato al perseguimento dell’integrazione tra le diverse strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali presenti sul territorio, in modo da assicurare una risposta coordinata e continua ai bisogni della popolazione, nonché di uniformità dei livelli di assistenza e di pluralità dell’offerta. Il Distretto garantisce inoltre una risposta assistenziale integrata sotto il profilo delle risorse, degli strumenti e delle competenze professionali per determinare una efficace presa in carico della popolazione di riferimento. È un’articolazione fondamentale del governo aziendale, è funzionale allo sviluppo delle nuove e più incisive forme di collaborazione fra ASL ed Enti locali.
Pertanto al Distretto possono essere ricondotte le seguenti funzioni:
- Funzione di committenza, ossia la capacità di programmare i servizi da erogare a seguito della valutazione dei bisogni dell’utenza di riferimento anche in relazione alle risorse disponibili. Il Distretto, infatti, con la Direzione Generale dell’ASL, provvede alla programmazione dei livelli di servizio da garantire, alla pianificazione delle innovazioni organizzativo/produttive locali, alle decisioni in materia di logistica, accesso, offerta di servizio.
- Funzione di produzione, ossia di erogazione dei servizi sanitari territoriali, è caratterizzata da erogazione in forma diretta o indiretta dei servizi sanitari e socio-sanitari territoriali.
- Funzione di garanzia, ossia di assicurare l’accesso ai servizi, l’equità all’utenza attraverso il monitoraggio continuo della qualità dei servizi, la verifica delle criticità emergenti nella relazione tra i servizi e tra questi e l’utenza finale.
Al distretto sono attribuite risorse definite in rapporto agli obiettivi di salute della popolazione di riferimento. Nell’ambito delle risorse assegnate, il distretto è dotato di autonomia tecnico-gestionale ed economico-finanziaria, con contabilità separata all’interno del bilancio della ASL.
Al fine di consentire una programmazione condivisa, unitaria e coerente in relazione ai bisogni sociosanitari del territorio, i Distretti Sanitari operano, inoltre, in raccordo con i Comuni per coniugare la loro azione programmatoria in riferimento gli aspetti socio-sanitari attraverso gli strumenti di programmazione del distretto: Piano di Zona (PdZ) e Programma delle Attività Territoriali (PAT).
Case della salute (sperimentazione introdotta dalla Ministra L. Turco nella legge finanziaria del 2007)
La Casa della Comunità (CdC) rappresenta il modello organizzativo che rende concreta l’assistenza di prossimità per la popolazione di riferimento. È infatti, il luogo fisico, di prossimità e di facile individuazione al quale il cittadino può accedere per poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria e socio-sanitaria. Le CdC intendono qualificarsi come strutture facilmente riconoscibili e raggiungibili dalla popolazione di riferimento, per l’accesso, l’accoglienza e l’orientamento del cittadino. Le CdC promuovono un modello di intervento integrato e multidisciplinare, in qualità di sedi privilegiate per la progettazione e l’erogazione di interventi sanitari e di integrazione sociale.
L’attività, infatti, deve essere organizzata in modo tale da permettere un’azione d’équipe tra Medici di Medicina Generale, Pediatri di Libera Scelta, Specialisti Ambulatoriali Interni – anche nelle loro forme organizzative – Infermieri di Comunità, altri professionisti della salute, quali ad esempio Logopedisti, Fisioterapisti, Dietisti, Tecnici della Riabilitazione e Assistenti Sociali, anche al fine di consentire il coordinamento con i servizi sociali del comune di riferimento.
Occorre assicurare coinvolgimento delle AFT dei MMG e PLS e delle UCCP, sulla definizione e l’assegnazione di obiettivi condivisi dall’équipe multi professionale, sulla partecipazione attiva del MMG e PLS e sulla valorizzazione delle competenze delle professioni sanitarie e sociali, insieme alle articolazioni organizzative delle strutture aziendali, aspetti ritenuti fondamentali per la sua effettiva realizzazione.
Riorganizzazione dei servizi territoriali (Decreto Balduzzi del 2012)
Le AFT e le UCCP costituiscono il primo anello della rete di assistenza territoriale e sono parte integrante delle CdC, sia quando operano in esse, sia nella loro individualità, nei territori a minore densità abitativa. In tal modo provvedono a garantire l’assistenza in forma di medicina d’iniziativa e di presa in carico della comunità di riferimento, con i servizi h 12, propri della CdC, e, dove possibile, integrandosi con il servizio di continuità assistenziale h 24.
Piano Nazionale Cronicità (Ministero della salute, 2016).
La Medicina di Popolazione è la branca della medicina che si pone come obiettivo la promozione della salute della popolazione di riferimento, attraverso l’utilizzo di modelli di stratificazione ed identificazione dei bisogni di salute basati sull’utilizzo di dati.
La Medicina di Iniziativa è un modello assistenziale di gestione delle malattie croniche fondato su un’assistenza proattiva all’individuo dalle fasi di prevenzione ed educazione alla salute fino alle fasi precoci e conclamate della condizione morbosa.
La Stratificazione della Popolazione per profili di rischio, attraverso algoritmi predittivi, permette di differenziare le strategie di intervento per la popolazione e per la presa in carico degli assistiti sulla base del livello di rischio, di bisogno di salute e consumo di risorse.
Per essere realmente efficaci i servizi sanitari devono essere in grado di tutelare la salute dell’intera popolazione e non solo di coloro che richiedono attivamente una prestazione sanitaria o sociale. Tale approccio viene definito Medicina di Popolazione ed ha l’obiettivo di mantenere l’utenza di riferimento in condizioni di buona salute, rispondendo ai bisogni del singolo paziente in termini sia di prevenzione sia di cura. In tale ottica, particolare attenzione deve essere posta nei riguardi dei soggetti con patologie croniche, condizione oggi sempre più diffusa in termini di incidenza e prevalenza, e per la quale il Piano Nazionale della Cronicità, ha individuato le diverse fasi principali del percorso assistenziale: valutazione del profilo epidemiologico della popolazione di riferimento (stratificazione del rischio); valutazione delle priorità d’intervento definizione del profilo d’offerta più appropriata di servizi socio-assistenziali; promozione della salute, prevenzione e diagnosi precoce; presa in carico e gestione del paziente attraverso il piano di cura; erogazione di interventi personalizzati; valutazione della qualità delle cure erogate.
Se queste riforme fossero state applicate, con adeguati finanziamenti e su scala nazionale, oggi i nostri servizi territoriali godrebbero di buona salute, i cittadini avrebbero a disposizione servizi di prossimità di elevata qualità, l’intero SSN ne sarebbe stato rafforzato e avrebbe potuto affrontare lo tsunami della pandemia con molta maggiore sicurezza e efficienza.
Invece sono rimaste – pur con qualche significativa eccezione – lettera morta, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti e che hanno spinto il Governo a utilizzare una parte significativa dei fondi del PNRR per rivitalizzare servizi territoriali impoveriti in quantità e qualità già prima della pandemia e ridotti allo stremo con il passaggio di questa.
Ma una domanda sorge spontanea: se in questi venti anni quelle riforme così necessarie per innovare una componente così importante del SSN sono rimaste lettera morta, cosa garantisce che queste si realizzino nei prossimi 3-4 anni? Sarà sufficiente iniettare un po’ di soldi per mettere in moto una macchina dissestata da anni di incuria? E non sarebbe necessario ricercare la cause del dissesto, e porvi in qualche modo rimedio?
Le cause sono molteplici, e spesso interagenti tra loro, sintetizzabili nei seguenti 4 punti:
- Il caotico federalismo sanitario che ha consentito ad ogni Regione di attuare le proprie politiche e di disegnare la propria organizzazione a prescindere da ogni cornice normativa nazionale (vedi i punti sovracitati).
- Il depotenziamento programmato del servizio sanitario e assistenziale pubblico che si è realizzato negli ultimi 10-15 anni, che ha colpito tutti i settori, ma in misura certamente maggiore quello dei servizi sanitari e sociali territoriali. L’esempio lampante è il Piano Nazionale Cronicità, emanato dal Ministro della salute nel 2016 ma privo di qualsiasi finanziamento.
- L’opposizione sistematica dei sindacati della medicina generale a ogni forma di innovazione nel campo delle cure primarie, di cui abbiamo ampiamente discusso in post dello scorso 27 ottobre (Il futuro della medicina di famiglia in Italia)
- La profonda carenza nella formazione dei professionisti operanti nel campo delle cure primarie. Non solo dei medici di famiglia (vedi post Riformare la medicina generale italiana), ma anche infermieri, fisioterapisti, assistenti sociali. Per tutto ciò l’Università deve essere richiamata alle sue responsabilità.
In conclusione, ben vengano i 7 miliardi di euro del PNRR destinati alla sanità territoriale. Con la speranza che questa iniezione di risorse sia accompagnata da una seria presa di coscienza sulle cause che negli anni hanno così profondamente dissestato la sanità territoriale. In caso contrario è elevatissimo il rischio che tutto si risolva nella costruzione di qualche edificio e nel pagamento ai privati di una montagna di prestazioni domiciliari.
Risorse: Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Sistema Sanitario Nazionale