Negoziare la pace

Massimo Amato
Un ex comunista e un prete hanno provato a svolgere ragionamenti in favore della necessità di avviare ORA processi negoziali, esperendo tutte le strade, anche quelle meno immediate e visibili.
Quando si ha l’immenso privilegio di avere la libertà di parlare e di scrivere, proprio allora pesare le parole diviene un incondizionato obbligo morale. Io almeno la penso così, e quindi per evitare di parlare alla leggera, mi ritrovo a stare molto zitto.
Ora però vorrei dire una cosa. Sono preoccupato della guerra, ancora più preoccupato dell’avventurismo cinico e rischioso di chi questa guerra l’ha scatenata, ossia, a scanso di equivoci: Putin. Sono ancora più preoccupato per la sofferenza crescente che guerra e avventurismo generano.
Ma sono anche molto preoccupato del basso livello di accesso alla ragione da parte del nostro dibattito pubblico.
A  differenza di altri luoghi del mondo, da noi è concesso liberamente ragionare. Mi chiedo però se la polarizzazione a cui stiamo assistendo  non sia piuttosto l’indizio del contrario: di una assenza di ragionamento, dovuta a un’assenza di libertà, a sua volta NON causata da costrizioni esterne, ma da quella che assomiglia a una incapacità di assumersela, la propria libertà.
Ieri sera ho ascoltato con molto interesse e approvazione un ex comunista e un prete (per la cronaca, il dottor Bersani Pier Luigi  e il cardinal Zuppi Matteo Maria) provare a svolgere ragionamenti in favore della necessità di avviare ORA processi negoziali, esperendo tutte le strade, anche quelle meno immediate e visibili. E cosa gli rispondono, a più riprese,  i due giornalisti (non ho nemmeno voglia di fare i loro nomi), gli stessi che li hanno invitati?
  • Ma come facciamo a negoziare ORA, che c’è la guerra?
  • Come facciamo a negoziare con Putin, che ha detto che vuole tutta l’Ucraina e forse anche altro?
  • E tu, tu, Bersani, tu Zuppi, che cosa concedereste a Putin? Accettereste per esempio l’idea che l’Ucraina non entri nella UE?
Il tutto condito di servizi sulle sofferenze, reali e indicibili, della povera gente, sulle quali ai due “negoziatori” viene chiesto di prendere posizione: tu, tu, che mi dici di questo? Eh, che mi dici?
A me sono cascate le braccia (va’, diciamo le braccia). Perché è evidente queste domande esemplificano un’insipienza pericolosissima. E pericolosissima perché diffusa. Infatti è evidente che
  • Le negoziazioni veramente efficaci non possono che iniziare a guerra in corso. Altrimenti si chiamano nel migliore dei casi trattati di pace, ma nel peggiore e più probabile caso,  ratifiche dello status quo.
  • In un contesto di guerra non si può prendere per buono tutto ciò che è detto,  proprio perché, se non si è matti, quello che si dice lo si dice in vista di una negoziazione. In questo momento più che in altri l’apparenza può ingannare, e nulla va preso alla lettera
  • Se si negozia, allora non lo si fa in televisione, spettacolarizzando, polarizzando e depotenziando il margine di reale negoziazione. Che cosa si debba concedere alla controparte è proprio l’esito della negoziazione e non l’oggetto di dichiarazioni spettacolari. E, amico mio, se lo dici alla tele non lo puoi più usare in sede di negoziazione.
Mostrare la sofferenza è un dovere giornalistico. Spettacolarizzarla  è vomitevole. E la linea fra il doveroso e il vomitevole qui si fa veramente sottile. E QUINDI pericolosa. Ormai sembra  normale che ci si schieri. Ovviamente nel campo del bene, contro il male. Ça va sans dire, che diamine. Improvvisamente ogni agnosticismo è superato, e SAPPIAMO tutti PERFETTAMENTE che cosa è bene e cosa è male. L’apparenza non inganna più, se non quelli con secondi inconfessabili fini, e tutto è chiaro.
Ma in realtà la sola cosa che ci si dovrebbe stagliare davanti è che “quos perdere vult Iuppiter dementat”, Dio svuota la mente di coloro che vuole rovinare.
Vediamo di non svuotarci troppo…
  • Massimo Amato, docente di storia dell’economia della Università Bocconi.

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