Il talco e l’amianto

Francesco Carnevale

Una storia americana che offre molti punti di riflessione sulle case farmaceutiche, sulla salute pubblica nelle società ad economia di mercato di ieri e di oggi

 L’affaire Johnson Baby Powder, il talco per bambini della Johnson & Johnson (J&J), che da oltre un decennio è al centro di procedimenti giudiziari e di indennizzi miliardari negli Stati Uniti ed in Canada, più di recente ha richiamato l’attenzione di agenzie di stampa a cominciare da Bloomberg [1] ed anche di una prestigiosa rivista scientifica per un fatto giustamente considerato scandaloso. Il 15 marzo 2022 il British Medical Journal ha pubblicato, nella sezione “Notizie”, un testo di Owen Dyer dal titolo “Johnson & Johnson ‘si rammarica’ dello studio del 1971 che ha iniettato amianto nei prigionieri statunitensi” [2]. Quanto è venuto alla luce, proprio nel corso di un processo civile, è che la società farmaceutica J&J ha commissionato e finanziato una sperimentazione sull’uomo, prevalentemente di colore, carcerato, compensato con 10 dollari, che ha previsto l’applicazione di talco sulla pelle e l’iniezione sottocute di fibre di amianto, tremolite e crisotilo, per confrontarne in vivo le reazioni. L’operazione, assieme a tante altre della stessa natura, è stata condotta da un famoso (per la terapia antiacne) e famigerato (per i suoi esperimenti considerati degni dei medici nazisti) dermatologo dell’università della Pennsylvania, Albert Kligman (1916-2010), nella prigione di Holmesburg (Filadelfia). La sperimentazione sui carcerati con il talco commercializzato da J&J doveva avere come finalità principale quella di valutare i possibili effetti prodotti dai vari tipi di contenitori con i quali veniva confezionato, così almeno è stato detto, e sembra aver dato risultati sostanzialmente negativi. La sperimentazione con gli amianti è stata devastante, ma la cosa era ben prevedibile se solo si consultava la abbondante letteratura relativa ai minatori ed ai tessitori della fibra minerale accumulatasi in Europa e in America nella prima metà del Novecento dove oltre che di asbestosi e di tumori del polmone si citano le frequenti manifestazioni verrucose descritte a carico di quei lavoratori.

Le iniezioni di tremolite e specialmente quelle di crisotilo hanno prodotto nei malcapitati granulomi “simili a talpe”, deturpanti, irreversibili che dovevano essere dolorosi. Il razionale di questa atroce sperimentazione non è del tutto dichiarato ma lo si può ipotizzare: molti talchi e specie quelli coltivati in alcune miniere degli Stati Uniti contengono come inquinanti, in quantità più o meno elevate, tremolite ed anche, in alcuni casi, crisotilo; interesse di J&J poteva essere quello di evidenziare, quando applicato, quali manifestazioni si sarebbero potute osservare e semmai con quali quantità e qualità di fibra minerale.

Le malefatte del dottor Kligman sono state ampiamente denunciate; il dermatologo è stato citato in giudizio da 300 ex detenuti, ma un tribunale ha stabilito che non poteva essere condannato perché era scaduto il termine di prescrizione. Una monografia di Allen M. Hornblum ha trattato della sua intensa e prolungata attività di sperimentatore all’interno della prigione di Holmesburg e si scopre che sono stati svolti esperimenti sul virus dell’herpes e sullo stafilococco, su elevate dosi di diossina, il principio attivo dell’Agente Orange, sulla base di un contratto di ricerca con la Dow Chemical [3]. Nel volume sono richiamate altre sperimentazioni che vedono J&J come committente, per una pasta dentaria, per preparati cicatrizzanti, ma non quella con l’amianto che evidentemente era stata ben secretata tanto da non essere stata rintracciata da un attento indagatore come Hornblum. Al British Medical Journal che ha chiesto un commento sulle sperimentazioni di Kligman J&J ha dichiarato: “Al momento di questi studi, quasi 50 anni fa, i test di questa natura in questo gruppo di coorti erano ampiamente accettati, inclusi ricercatori di spicco, importanti società pubbliche e lo stesso governo degli Stati Uniti. Siamo profondamente dispiaciuti per le condizioni in cui sono stati condotti questi studi e non riflettono in alcun modo i valori o le pratiche che impieghiamo oggi”; dello stesso tono è la dichiarazione rilasciata a proposito del lavoro di Kligman dall’università della Pennsylvania presso la quale il dermatologo era affiliato.

L’affaire Johnson Baby Powder è rappresentato da più di 38.000 querelanti che si sono rivolti a vari tribunali degli Stati Uniti per reclamare indennizzi da parte di J&J. In gioco ci sono da una parte dei casi di tumori dell’ovaio e di mesoteliomi, tumori correlati con l’esposizione ad amianto, osservati in soggetti che hanno fatto largo uso di prodotti a base di talco della J&J, dall’altra l’ipotesi, suffragata anche da qualche analisi, che alcuni prodotti della J&J, in certi periodi storici, contenessero amianto ed in particolare tremolite. In questo contesto da parte degli agguerriti avvocati dei querelanti verrà fatta valere la triste storia della sperimentazione dell’amianto con i reclusi. Altrettanto agguerriti sono i gli avvocati difensori della casa farmaceutica i quali nel mentre negano che sia stato mai presente amianto nel talco commercializzato invocano la negatività o per lo meno il non essere conclusivi degli studi epidemiologici e specialmente di quelli di coorte consultabili sullo stesso argomento. Nel frattempo il Baby Powder è stato eliminato dal mercato, a motivo, sostiene l’azienda, della ridotta domanda ed è stato sostituito con un prodotto a base di amido di mais. J&J (che ha un bilancio di oltre 450 miliardi di dollari) si è vista soccombere in alcuni tribunali e quindi è stata già condannata a corrispondere indennizzi per circa 4,3 miliardi di dollari, ed allora per minimizzare il danno economico intende ricorrere, come denunciato dalla stampa, ad uno stratagemma: sta cercando di trasferire la responsabilità legale dalla casa madre ad una sua più piccola filiale (con un bilancio di 2 miliardi di dollari) che potrà dichiarare fallimento e lasciare così insoluti i suoi debiti stabiliti nei procedimenti giudiziari [4].

Quelli riportati sopra sono i punti salienti di una vicenda tipicamente americana nella quale i protagonisti sono dei mastodontici studi di avvocati, contenziosi di tipo civile dove si discute di cifre miliardarie, ma anche cittadini con patologie che suggeriscono cause e responsabilità di aziende primarie, occultazione e ricerca di indizi dove entrano in gioco ricercatori e testimoni che difficilmente operano in maniera indipendente. Si ripetono le vicende vissute nei decenni passati pei i danni subiti dai lavoratori dell’amianto, di quelli esposti a silice, a cloruro di vinile monomero e ad altri cancerogeni. Vicende che procedono parallelamente anzi a valle dello sviluppo industriale ed economico, come una nemesi, un effetto per certi aspetti prevedibile ed accettato nella dinamica di una società capitalistica capace di mostrare anche tratti di “democrazia” intesi come “equo indennizzo” per il torto subito.

In Italia, dove in prima istanza il rito giudiziario è quello penale e sono da individuare responsabilità personali di capitalisti o dirigenti d’azienda, non sono da segnalare per il talco (per il “borotalco” nostrano della Manetti e Roberts) vicende paragonabili a quelle degli Stati Uniti, nonostante le iniziative assunte da un noto studio di avvocato (Ezio Bonanno) specializzato nell’esasperare il contenzioso sull’amianto. È da segnalare soltanto qualche caso di mesotelioma riconosciuto in sede giudiziaria come causato da esposizione a talco impiegato nei passati decenni nella produzione di macchine da calcolo (alla Olivetti di Ivrea). Il talco italiano, quello della Val Chisone è tradizionalmente considerato privo di amianto e ripetutamente negativi per tumore polmonare e mesoteliomi sono risultati gli studi epidemiologici di coorte che hanno preso in esame i lavoratori che lo hanno estratto e lavorato [5]. Nettamente positivo, “mesoteliomatogeno”, è invece lo studio condotto su animali da esperimento da Cesare Maltoni (1930-2001) e collaboratori con talco grezzo sicuramente contaminato da amianto [6]. Dichiaratamente ispirate dal “buon senso” sono le conclusioni di una nota pubblicata dalla Fondazione Umberto Veronesi: “non c’è ragione di allarmarsi se si è fatto uso di talco. Non si può in nessun modo affermare che il talco privo di amianto rappresenti un rischio aumentato di cancro. Dal momento che ci si deve affidare alla validità dei controlli di qualità sui prodotti e delle buone pratiche di estrazione e lavorazione del talco, si può applicare il principio di precauzione, in armonia con la posizione dell’IARC, evitando di utilizzare prodotti a base di talco nell’area perineale e vaginale” [7]. La nota fonda la sua conclusione su uno studio americano su oltre 250.000 donne che non ha riscontrato un rischio più alto di tumori dell’ovaio nelle donne che hanno fatto uso di talco; non viene tuttavia fatto notare che alcuni degli autori del lavoro dichiarano conflitti di interessi anche con alcune aziende farmaceutiche, ma principalmente si omette di riportare una parte importante delle conclusioni del lavoro citato: “[…] Tuttavia, lo studio può essere considerate carente in potenza per identificare un piccolo aumento di rischio” [8]. È da ricordare inoltre che la valutazione complessiva della Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) è da riferire rigorosamente al talco privo di amianto e recita: “L’uso perineale di polveri per il corpo a base di talco è un possibile cancerogeno per l’uomo (Gruppo 2B); il talco non contenente amianto o fibre asbestiformi inalato non è classificabile per la sua carcinogenicità (Gruppo 3) [9].

Il giusto insegnamento di tutta la storia è principalmente quello di evitare che il talco contenga amianto o fibre asbestiformi.

Francesco Carnevale, medico del lavoro, Firenze

 

Bibliografia

 

1.     J&J’s Controversial Prison Testing Resurfaces in Baby Powder Lawsuits. The company funded experiments on mostly Black men 
comparing the effects of talc and asbestos on their skin. 
https://www.bloomberg.com/news/articles/2022-03-07/j-j-s-controversial-prison-testing-resurfaces-in-baby-powder-lawsuits
  1. Owen Dyer, Johnson & Johnson “regrets” 1971 study that injected asbestos into US prisoners. BMJ 2022;376:o681 
    http://dx.doi.org/10.1136/bmj.o681 Published: 15 March 2022
  2. Allen M. Hornblum, Acres of Skin—Human Experiments at Holmesburg Prison: A True Story of Abuse and Exploitation in the Name of Medical Science. New York: Routledge 1998.
  3. Spector M, Levine J. Special report: Inside J&J’s secret plan to cap litigation payouts to cancer victims. Reuters. 4 Feb 2022. https://www.reuters.com/business/healthcare-pharmaceuticals/inside-jjs- secret-plan-cap-litigation-payouts-cancer-victims-2022-02-04/
  4. Enrico Pira, Maurizio Coggiola, Catalina Ciocan, Mortality of talc miners and millers from Val Chisone, Northern Italy. An updated cohort Study. JOEM 2017;59(7):659-664. DOI: 10.1097/JOM.0000000000000992.
  5. Francesco Minardi, Fiorella Belpoggi, A. Franch e Cesare Maltoni, La cancerogenesi da talco grezzo contaminato con amianto: primi risultati dei saggi sperimentali dell’Istituto di Oncologia di Bologna in: Atti XVI Congresso Nazionale di Oncologia, Vibo Valentia, 30 settembre – 3 ottobre 1990, Vol. 1. Bologna; Monduzzi Editore 1990: pp. 279- 293.
  6. Fondazione Umberto Veronesi, Magazine, Nuovi dati su talco e tumori dell’ovaio: nessun legame. https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/ginecologia/talco-e-tumori-dellovaio-nuovi-dati-escludono-un-nesso
  7. Katie M. O’Brien Dale P. Sandler, Nicolas Wentzensen, et al., Association of powder use in the genital area with risk of ovarian cancer, 2020;323(1):49-59. doi:10.1001/jama.2019.20079.
  8. World Health Organization International Agency for Research on Cancer. IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans: Carbon Black, Titanium Dioxide, and Talc. 2010; Vol. 93. http://publications.iarc.fr/111

 

 

 

 

 

 

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