L’illusione della Evidence Based Medicine.
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- 9 Maggio 2022
Paolo Da Col
La EBM è stata corrotta da interessi corporativi, dall’assenza di regole e dalla commercializzazione del mondo accademico.
Nell’articolo di BMJ intitolato “The illusion of evidence based medicine” (1), che focalizza nel sottotitolo i tre fattori causa dell’illusione (interessi corporativi, assenza di regole, commercializzazione del mondo accademico), Jon Jureidini e Leemon McHenry ripropongono il problema della reale consistenza della EBM. Avevano già affrontato questo tema nel loro ultimo libro (2) ed in precedenza avevano espresso chiare posizioni critiche su come sono impostati i trial psichiatrici (3) e su come le riviste mediche presentano gli studi (ad esempio sull’uso della paroxetina per la depressione maggiore negli adolescenti (4)).
BMJ ritorna sull’argomento della EBM, lanciato nel 1996 (5) e ripreso nel 2014 (6), con questo contributo di grande assertività e forza logica. Lo scopo di questa nota è stimolare la lettura integrale dell’articolo originale attraverso la presentazione di alcuni suoi punti essenziali (mie tutte le traduzioni). Si segnala che nelle successive ventisei “Rapid Responses”, di cui una dello stesso Jureidini (7), si possono trovare interessanti confutazioni, approvazioni, approfondimenti. Gli autori iniziano la loro esposizione ricordandoci che la EBM volle inaugurare un cambio di paradigma per fornire una solida base scientifica alla medicina. Tuttavia – sostengono – la validità di questo cambio di paradigma dipende dall’affidabilità dei dati dei trial clinici, la maggior parte dei quali sono condotti dall’industria farmaceutica e riportati a nome di “senior academics”. In sintesi, – scrivono – finché non sarà corretto il problema del forte condizionamento dell’industria farmaceutica la “evidence based medicine will remain an illusion”. Posizioni analoghe erano già reperibili in letteratura (8-12) ed in particolare rilevanti sono stati i contributi di Marcia Angell, già editor del New England Journal of Medicine, che molto tempo fa aveva sottolineato il problema del controllo dell’industria farmaceutica sulla valutazione dei loro stessi prodotti, del fatto che essa finanzia la maggior parte della ricerca e che spesso distorce la ricerca sponsorizzata per far sembrare i propri farmaci migliori e più sicuri (13,14).
In questo nuovo paper, gli Autori introducono le loro argomentazioni citando il filosofo Karl Popper (1902-1994), sostenitore del razionalismo critico e dell’integrità della scienza e del suo ruolo in una società aperta e democratica: i medici rispettosi di questa integrità – spiegano – dovrebbero considerare soli i dati reali, derivati da studi rigorosi, non quelli più loro graditi. “Questo ideale (dell’integrità -ndA) è minacciato dagli interessi finanziari che prevalgono sul bene comune. La medicina è in gran parte dominata da un piccolo numero di aziende farmaceutiche molto grandi che competono per la quota di mercato, ma sono effettivamente unite nei loro sforzi per espandere quel mercato”. (Vedi BOX 1)
“Il progresso scientifico – denunciano gli autori – è ostacolato dalla proprietà dei dati e della conoscenza perché l’industria sopprime i risultati negativi degli studi, non segnala gli eventi avversi e non condivide i dati grezzi con la comunità di ricerca accademica”, per cui “I pazienti muoiono a causa dell’impatto negativo degli interessi commerciali sull’agenda della ricerca, sulle università e sulle autorità regolatorie”.
Queste affermazioni inducono a riflettere sulle implicazioni che ne derivano rispetto all’affidabilità delle Linee Guida (formulate in base ai trial clinici), come da altri già prospettato (12), ed a porci domande sul ruolo che in Italia esse hanno assunto rispetto alle responsabilità professionali (post “Legge Gelli” (15)), e quindi agli obblighi di rispettarle al fine di adeguarsi ad una (asserita) corretta pratica clinica. A questo punto gli Autori discutono dei “contropoteri regolatori”. Sul ruolo dell’Università così si esprimono: “….. un tempo istituzioni d’elite …. ora rivendicano di essere custodi della verità e della coscienza morale della società. Ma di fronte a finanziamenti governativi inadeguati, hanno adottato un approccio di mercato neoliberista, cercando attivamente finanziamenti farmaceutici a condizioni commerciali. Di conseguenza, i dipartimenti universitari diventano strumenti dell’industria”. Merita qui aprire una breve parentesi per ricordare che, cadute le ideologie del novecento, il neoliberismo è oggi l’unica vera ideologia dominante e, divenuta dogma e paradigma in tutte le politiche economiche dei Paesi occidentali, genera anche in Italia da oltre vent’anni le scelte restrittive a danno, oltre che dell’università, del nostro SSN, la cui esistenza è incompatibile con tale teoria (16). E così concludono il paragrafo: “Quando gli scandali coinvolgenti la partnership industria-università sono esposti nel mainstream dei media, si indebolisce la fiducia nelle istituzioni accademiche e si tradisce la visione di una società aperta.”
Limiti di spazio impongono di accennare solamente alle interessanti analisi sull’influenza dell’industria, che – sottolineano – ha imposto al mondo scientifico i “KOL” (key opinion leader nel linguaggio del marketing), selezionandoli per capacità di influenzare le prescrizioni e per prestigio accademico, retribuendoli ampiamente, dando loro facoltà di partecipare ai board consultivi, presentare ai congressi i trial e divenire così “product champions”. E – proseguono – mentre le Università vengono meno al loro compito di correggere le errate interpretazioni della scienza, si assiste al fatto che chi critica le industrie farmaceutiche “…affronta il rifiuto di pubblicazione delle riviste, le minacce legali e la potenziale distruzione della carriera.”
Concludono il paragrafo evocando ancora Popper: “Questo campo di gioco irregolare è esattamente ciò che preoccupava Popper quando scriveva sulla soppressione e il controllo delle i mezzi di comunicazione della scienza.” A questo punto la conclusione dell’articolo di BMJ non giunge inattesa: “La conservazione delle istituzioni destinate a promuovere l’obiettività e l’imparzialità scientifica …. è interamente alla mercé del potere politico e commerciale; l’interesse prevarrà sempre sulla razionalità dell’evidenza”.
Tutto questo a me sembra si colleghi anche al problema dei conflitti di interesse (17-20).
Dopo l’Università, gli Autori esaminano gli Enti regolatori: “ Le autorità di regolamentazione ricevono finanziamenti dall’industria e utilizzano sperimentazioni finanziate dall’industria ed eseguite per approvare i farmaci, senza nella maggior parte dei casi vedere i dati grezzi. Che fiducia abbiamo in un sistema in cui le aziende farmaceutiche possono “dare i voti ai propri lavori” invece che questi siano valutati da esperti indipendenti, parte di un sistema regolatorio pubblico? È improbabile che governi disinteressati ed enti regolatori sottomessi avviino i cambiamenti necessari per tenere del tutto lontana la ricerca dall’industria e per fare piazza pulita di modelli editoriali che dipendono dai ricavi delle ristampe, della pubblicità e delle sponsorizzazioni.”
Come contributo all’analisi critica, il Box 2 riporta quelli relativi ai bilanci delle Agenzie regolatorie europea (EMA), statunitense (FDA) e della nostra Agenzia AIFA.
Infine, gli Autori offrono proposte correttive, che preferisco trasferire in un elenco (mia anche la numerazione), al fine di ben evidenziarle:
- liberare le autorità di regolamentazione dai finanziamenti delle case farmaceutiche;
- imporre una tassa alle aziende farmaceutiche per consentire il finanziamento pubblico di sperimentazioni indipendenti;
- rendere accessibili su siti web i dati anonimi degli studi pubblicati a livello di singolo paziente, con i protocolli di studio, in modo che terze parti, auto-nominate o incaricate dalle agenzie di tecnologia sanitaria, possano valutare rigorosamente la metodologia e i risultati dello studio;
- (modificare come necessario) i moduli di consenso alla sperimentazione, in modo che i partecipanti possano richiedere agli sperimentatori di rendere i dati liberamente disponibili. La pubblicazione aperta e trasparente dei dati è in linea con il nostro obbligo morale nei confronti dei partecipanti allo studio-persone reali che sono state coinvolte in trattamenti rischiosi e hanno il diritto di aspettarsi che i risultati della loro partecipazione vengano utilizzati in conformità con i principi del rigore scientifico. Le preoccupazioni di settore sulla privacy e sui diritti di proprietà intellettuale non dovrebbero avere il sopravvento.
Qui mi permetto aggiungerne subito un’altra, condivisa con molti altri colleghi: ricondurre al sistema sanitario pubblico la formazione e l’aggiornamento degli operatori.
Mi sembra appropriato concludere questa imprecisa-incompleta sintesi dell’articolo, che ad alcuni potrebbe forse apparire immotivatamente provocatorio, radicale o apodittico già nel titolo, con le parole dello stesso Jureidini, che così replica alle tante Rapid Responses pervenute all’Editore, ad evitare possibili fraintendimenti (7): “Siamo forti sostenitori dell’importanza delle prove in medicina e ci opponiamo a tutti coloro che ignorano la buona scienza, siano essi anti-vaxxer o big pharma. In effetti, nel nostro libro abbiamo elogiato l’innovazione degli anni ’90 della medicina basata sull’evidenza come uno dei più importanti progressi nelle basi scientifiche dell’assistenza sanitaria. Cerchiamo solo di proporre soluzioni che la rendano una realtà piuttosto che un’illusione”.
Tra l’altro, la questione di una EBM quale solida realtà e non illusione si è presentata anche durante l’epidemia COVID-19, in cui molti si sono domandati quando/come/se aderire ad una “evidence-based practice” oppure ad una strategia di “practice–based evidence” (28).
Infine, riprendo un argomento sopra accennato, molto rilevante e prospettato dal sociologo Howick (29), secondo il quale si sta accentuando l’asimmetria tra il potere (finanziario) e l’evidenza (razionalità), con il prevalere del primo, anche a causa dei costi crescenti per acquisire le evidenze, che quindi saranno sempre più soggette all’influenza del potere. A me sembra sia importante ora capire come aumentare le tutele della forza del diritto, delle regole, di ciò che è giusto e bene fare a favore delle persone che a noi si affidano per essere curate e delle Istituzioni per cui noi lavoriamo.
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BOX 1 – Ricavi delle prime dieci Aziende Farmaceutiche nel mondo (Anno 2021).
Al primo posto compare la multinazionale americana Johnson&Johnson con 93,78 mld $; a seguire Pfizer (81,29 – è stato reso noto che la metà dei ricavi del IV trimestre 2021, 12,5 mld sono derivati dai vaccini COVID).
Al terzo posto si colloca Sinopharm (società cinese; nel 2020, 71 mld $), e via via si arriva al decimo posto con nomi quali Roche, Abbvie, Novartis, Bayer, Merck & Co, GlaxoSMithKLine, Bristol Mayers Squibb, Sanofi. Queste ultime otto totalizzano oltre 300 mld $.
Globalmente, queste prime dieci Multinazionali hanno ricavi annuali per circa 500 miliardi di dollari USA.
Queste cifre evidenziano l’enorme potere che hanno acquisito le Aziende farmaceutiche grazie a varie strategie (20-26), e che continuano ad aumentare impadronendosi (come spiegato nell’articolo) anche del pilastro dell’evidenza scientifica, sottraendola a “mani e menti neutrali”, garanzia unica di un’imparzialità indispensabile per disporre di una vera EBM.
(Fonte dati: https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_largest_biomedical_companies_by_revenue – consultazione del 1.4.22)
BOX 2 – Ricavi dell’EMA, FDA, AIFA.
Dal sito dell’EMA: “Per il 2022 il bilancio generale dell’EMA ammonta a 417,5 milioni di €. Circa l’86% del budget deriva da commissioni e pagamenti e il 13% da contributi dell’Unione Europea per questioni di sanità pubblica e meno dell’1% da altre fonti”.
EMA, che in Europa controlla e ha come mission garantire un equo controllo per i sistemi sanitari dei 27 Stati Membri della UE, è quindi finanziata all’86% dalle stesse aziende farmaceutiche che presentano all’Agenzia le domande di valutazione. Sul sito dell’EMA merita anche leggere i dati sulla crescente velocità di approvazione dei nuovi farmaci. ( https://www.ema.europa.eu/en/about-us/how-we-work/governance-documents/funding consultazione del 1 aprile). Si ricorda che dubbi sono stati sollevati sul reale vantaggio dei nuovi farmaci approvati negli ultimi anni (27).
Nel sito della FDA USA si legge che circa il 46% (2,8 mld $) del budget proviene dai versamenti delle Aziende che richiedono l’autorizzazione per l’ingresso dei nuovi farmaci o medical device. Circa il restante 54% (3,3 miliardi $) arriva dal bilancio federale statunitense. (https://www.fda.gov/about-fda/fda-basics/fact-sheet-fda-glance)
Dal sito AIFA si può acquisire il bilancio 2021: è pari a 98 milioni €; solamente 24 mil. provengono dallo Stato. 27 da risorse vincolate a programmi e progetti, 41 da tariffe ex lege su attività istituzionali (attività regolatorie, quindi versati dalle Aziende Farmaceutiche) e 5,9 da entrate proprie. (https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1120944/bilancio_previsione_2021.pdf)
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Paolo Da Col – già Direttore di Distretto e di Azienda Sanitaria, Trieste
BIBLIOGRAFIA
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Molto interessante ed utile, ben scritto e bibliografia adeguata