La sanità oltre le urne

Gavino Maciocco

La buona notizia è che non rivedremo Roberto Speranza alla guida del Ministero della salute. La cattiva notizia è che il suo successore potrebbe essere anche molto peggio. 

Siamo a settembre, in una fase di relativa calma epidemiologica, eppure i Pronto soccorso italiani sono allo stremo per eccesso di domanda e per carenza di personale. I Pronto soccorso sono l’imbuto in cui, oltre alle vere urgenze, si riversa una varietà di bisogni sanitari e socio-sanitari non soddisfatti, prodotti

  • dalle interminabili liste di attesa per attività diagnostiche e specialistiche (compresa la chirurgia di elezione),
  • dalle carenze della sanità territoriale aggravate dal crescente numero di aree di medicina generale vacanti,
  • dalla incapacità delle Regioni di organizzare servizi sanitari e sociali integrati per evitare l’arrivo al Pronto soccorso di tanti pazienti “fragili” che, con un adeguato supporto, potrebbero essere utilmente e meglio curati a domicilio.

I Pronto soccorso sono allo stremo per carenze croniche di organico e più di recente anche per la fuga di medici e infermieri stremati.  Non osiamo pensare cosa succederebbe nel caso di una malaugurata ripresa della pandemia, per la comparsa di una nuova variante. Ma anche il normale risveglio dell’influenza stagionale potrebbe avere affetti disastrosi. I Pronto soccorso sono lo specchio fedele del nostro Servizio sanitario nazionale. Un SSN allo sbando, dove crescono a dismisura le diseguaglianze tra coloro che pagando riescono a ottenere nel settore privato una qualche prestazione (ma raramente una vera presa in carico del loro problema) e coloro che per mancanza di risorse finanziarie o familiari rinunciano a curarsi o si indebitano per cercare di curarsi, aggravando così la loro condizione di povertà (esattamente come avviene in Inghilterra).

Nonostante l’enormità dei problemi suscitati dalla pandemia e dal post-pandemia, di sanità e di salute non si parla nei programmi elettorali dei partiti (vedi Il vuoto sulla sanità). Non se ne parla per mancanza di idee, di un pensiero, ma anche perché un’analisi approfondita delle cause della crisi in cui è sprofondato il SSN richiederebbe un impietoso – e per questo impronunciabile – ragionamento autocritico.

Prendiamo, ad esempio, il caso di Beatrice Lorenzin (BL). Entrata in Parlamento nel 2008 con Berlusconi, transita nel Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano nel 2013, per approdare nel PD di Matteo Renzi nel 2019. Ministra della salute dal 2013 al 2018, totalizzando la maggiore durata al vertice del Ministero dalla sua fondazione (maggiore del Ministro Mariotti e della somma della durata al vertice di tale dicastero di Rosy Bindi e Livia Turco!). BL è protagonista del più massiccio taglio alla spesa sanitaria: 2 miliardi e mezzo di euro in meno alle Regioni con la Legge di stabilità 2015 (governo Renzi). BL è corresponsabile – insieme a Aifa e Gilead – di un intollerabile e iniquo razionamento di un farmaco salvavita contro l’epatite C (leggi qui e qui), facendo prevalere gli interessi di un’industria farmaceutica sul diritto alla salute dei pazienti. BL si è prodigata per ostacolare l’applicazione della legge 194 opponendosi a bandi specifici per medici non obiettori di coscienza. Forte di questo curriculum alle prossime elezioni BL viene candidata al Senato nella lista PD nel collegio plurinominale Veneto 02 come capolista (elezione garantita).

Parliamo poi di Roberto Speranza (RS), nominato Ministro della salute nel governo Conte 2 (quello “giallo-rosso”, seguito al “giallo-verde” di Conte 1) nel settembre del 2019. RS era rappresentante di LeU (Liberi e Uguali), una lista a sinistra del PD, e ciò lasciava sperare (nomen omen) in una intransigente, radicale difesa del SSN. Quando, pochi mesi dopo la nomina, l’Italia entra nel catastrofico tunnel della pandemia di un ministro del genere ci sarebbe stato davvero bisogno. Ma così non è stato. Quando nel dicembre 2020 il governo Conte presentò la proposta di suddivisione delle risorse europee del Recovery Fund (191,5 miliardi €), destinando alla sanità la misera cifra di 9 miliardi € (appena il 4,5% del totale), il ministro RS non ha battuto ciglio. “È una scelta che ha dell’incredibile – si ribella la rete delle associazioni in difesa del SSN -. Avevano detto che la pandemia sarebbe stata l’occasione per ripensare a fondo, e rinnovare, la struttura e l’organizzazione del nostro SSN e avevano detto: mai più tagli. Avevano detto che andava rafforzata la prima linea, quella della prevenzione, delle cure primarie, dell’integrazione tra sociale e sanitario. E invece ai progetti per la Salute sono state riservate le briciole. Ci troviamo di fronte a una scelta politica precisa, uno schiaffo alla sanità pubblica nazionale.”.  A seguito delle pressioni di tanti movimenti e associazioni le risorse del PNRR a disposizione della sanità furono portate a circa 20 mld €. Una cifra bel lontana dai 37 mld € (quelli del MES) ritenuti inizialmente indispensabili dallo stesso ministro RS.

Il ministro RS non solleva il sopracciglio neppure quando nell’aprile 2021 il governo Conte – nel DEF (documento di economia e finanza) – rese note le previsioni di andamento della spesa sanitaria pubblica. Se dal 2017 al 2020 questa percentuale era rimasta ferma al 6,6% del PIL (tra le più basse in Europa), impennandosi al 7,3% nel 2021 a causa delle spese COVID, la tendenza programmata negli anni successivi mira decisamente al ribasso: 6,7% nel 2022, 6,6% nel 2023 e addirittura 6,3% nel 2024. Un pessimo segnale che indica il ritorno allo scenario che, a partire dal 2011, ha duramente penalizzato il SSN. È proprio del 2011 la norma introdotta con la legge Finanziaria che prevedeva che il livello massimo di spesa per il personale doveva parametrarsi a quello dell’anno 2004 diminuito dell’1,4 per cento. Una prolungata camicia di forza che ha ridotto sensibilmente la capacità di risposta della sanità pubblica e favorito la crescente espansione di quella privata. Neanche questo è riuscito al governo Conte, abolire quella norma, a conferma della sostanziale continuità nelle politiche avverse al rafforzamento della sanità pubblica.

Quando RS è stato nominato Ministro della salute (con alle spalle nessuna esperienza politica di sanità), non immaginava che pochi mesi dopo si sarebbe trovato a gestire un problema immenso come il COVID-19 ed insieme la ricostruzione del SSN, devastato dalla pandemia e da anni di tagli.  Serviva un pensiero, una visione. Il ministro avrebbe potuto dialogare con la ricca rete di associazioni e movimenti che da anni, nel vuoto della politica, si battono per il diritto alla salute. Avrebbe potuto colmare i vuoti di conoscenza e condividere idee e proposte per il rinnovamento del SSN e per la lotta alle diseguaglianze. Così purtroppo non è stato. Contro ogni aspettativa, il ministro ha scelto la strada dell’immobilismo e della conservazione, provocando un enorme danno al paese e inferendo un calcio negli stinchi alla sinistra.

La missione storica della destra è stata quella di distruggere il Servizio sanitario nazionale. Ci provò il ministro Francesco Di Lorenzo nel 1992 con l’aziendalizzazione e il ritorno delle mutue, ci provò anche il ministro Maurizio Sacconi nel 2009 con la proposta di “universalismo selettivo” e “diversificazione multipilastro” del sistema di welfare. Nell’ultimo decennio la “sinistra” ha fornito il suo contributo agli obiettivi della destra (tagli alla sanità, secondo pilastro, impoverimento del personale, mancata riforma della medicina di famiglia): ora la destra si appresta – secondo le previsioni – a vincere le elezioni e a sferrare il colpo di grazia al SSN. Le misure sono già scritte nel programma della destra:

  • La detassazione dei ricchi (flat tax) e la “pace fiscale” (leggi evasione e condoni) ridurranno ulteriormente le risorse destinate alla sanità pubblica, spalancando definitivamente le porte al settore privato, con il secondo pilastro che diventerà il primo.
  • L’autonomia differenziata – definita a ragione“la secessione dei ricchi” – prefigura tasse regionali e il trattenimento dei tributi su base territoriale, rompendo ogni idea di perequazione. In campo sanitario concederebbe alle Regioni una maggiore autonomia legislativa, amministrativa ed organizzativa anche in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi dando l’avvio a un sistema assicurativo/mutualistico al di fuori di qualsiasi, anche labile (come attualmente), normativa nazionale.

Nei programmi elettorali della destra non mancano naturalmente i classici temi dell’attacco ai diritti civili e dell’avversione crudele e razzista ai migranti.

Giorgia Meloni continua a ripetere che non toccherà la legge 194 (perché avrebbe per lei un costo elettorale eccessivo), ma siamo certi che l’attacco alla 194 ci sarà (senza neppure modificare un articolo della legge). Ci sarà promuovendo l’obiezione di coscienza e impedendo l’uso della pillola abortiva nei consultori. Ci sarà nella forma più perfida e subdola, quella della stigmatizzazione delle donne che decidono di abortire, con la presenza di gruppi “pro-life” all’interno dei consultori, con l’obbligo di sepoltura dei feti (possibilmente con accanto il nome della donna).

La buona notizia arriva dallo stato americano del Kansas. Uno stato governato dai Repubblicani pro-Trump, i quali – a seguito della sentenza della Corte Suprema contraria all’aborto – avevano deciso di indire un referendum per eliminare dalla costituzione dello stato il diritto all’aborto. Ebbene, in uno stato da sempre conservatore una schiacciante maggioranza ha votato a favore del diritto all’aborto. Un risultato che è il frutto di una mobilitazione nazionale contro la sentenza della Corte Suprema che potrebbe incidere anche nelle elezioni politiche di mid-term che si terranno negli USA il prossimo novembre.

Una grande mobilitazione servirà anche in Italia per difendere il SSN e il sistema dei diritti dagli attacchi della destra.

La rete delle associazioni e dei movimenti dovrà essere più presente e incisiva, più propositiva e popolare, è il momento di mettere in campo il nostro Blitz Spirit. Come quando si è riusciti a convincere il governo a raddoppiare la parte di PNRR destinata alla sanità. Come quando, nel 2009, movimenti e ordini dei medici riuscirono a far cancellare la norma proposta dalla Lega che obbligava i sanitari a segnalare alla polizia gli immigrati irregolari che avevano bisogno di cure.

Un commento

  1. Cosa pensate del fatto che comunque, anche con un raddoppio dei fondi del PNRR, poco o niente venga destinato per la formazione ed assunzione di personale? Guardando l’allocazione dei fondi alla sanità previsti dal pnrr si delinea un progetto politico ben preciso: le spese per il personale non sono compatibili con il mantenimento dell'”equilibrio economico finanziario delle regioni” così come indicato dalla legge 311/2004 (la finanziaria del 2005) che per la prima volta fissava degli standard a cui le regioni avrebbero dovuto attenersi (posti letto, tassi di ospedalizzazione, durata dei ricoveri, tasso di occupazione dei posti letto etc); in quest’ottica si capisce il perchè delle dimensioni del finanziamento alla telemedicina: il rapporto tra paziente ed operatore sanitario verrà prima o poi sostituito da un sistema molto più impersonale che partendo da dei dispositivi applicati al paziente comunicheranno in remoto con una centrale operativa dove i dati raccolti verranno processati da algoritmi che daranno al paziente o ai suoi famigliari le indicazioni sul da farsi. Il rapporto medico-paziente sarà un privilegio di coloro che potranno permetterselo.

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