Bielorussia. Giro di vite sui medici
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- 12 Ottobre 2022
Federica Lavarini
La dura repressione in Bielorussia. Le violazioni del diritto al lavoro nell’assistenza sanitaria per penalizzare coloro che hanno partecipato alle proteste pacifiche per esprimere opinioni, anche politiche, sgradite al governo.
La Bielorussia è balzata alle cronache internazionali nel 2020 per le proteste contro le elezioni che, sulla base di risultati truccati, hanno confermato Aleskander Lukashenko nel ruolo di presidente. L’Unione Europea non ha riconosciuto l’esito elettorale. Nonostante ciò, Sviatlana Tsikhanouskaya, la principale candidata avversaria che ha guidato le proteste dell’agosto 2020, è stata costretta a fuggire in Lituania. Tra il 9 e l’11 agosto 2020 la rete internet è stata oscurata, il Paese isolato dal resto del mondo. “Quando è stata riattivata, attraverso i canali VPN abbiamo visto dei video e sentito degli audio nei quali le persone arrestate per strada venivano torturate nel centro di detenzione di Akrestina” mi racconta Anastasia Pilipchik, chirurga specializzata in ginecologica e presidente della Belarusian Medical Solidarity Foundation (BMSF) raggiunta una prima volta via Telegram nel febbraio scorso e più volte fino alla metà di settembre. Una voce che si aggiunge alle testimonianze[1] di tre medici e un’infermiera bielorussi vittime della repressione del regime che sono state raccolte in un rapporto di Amnesty International nel 2021. “Mettendo a rischio la propria incolumità – scrive il documento della Ong – i medici bielorussi hanno portato primo soccorso alle persone ferite dalla polizia durante le proteste e ai sopravvissuti alle torture rilasciati dai centri di detenzione”. Pilipchik conferma: “Quando le persone sono state liberate si sono fatte delle foto nelle quali si vedono parti del corpo con i segni della tortura. Molte di loro avevano paura di andare in ospedale perché temevano che, leggendo il referto, il KGB o la polizia potessero capire che erano stati torturati ad Akrestina e rischiare di essere arrestate di nuovo. La Bielorussia è un paese europeo e questi avvenimenti ci hanno davvero scioccato”.
Pilipchik si è rifugiata in Polonia, dove ha iniziato un’attività di supporto ai medici bielorussi rimasti nel Paese. Il media indipendente Belsat, dichiarato agente straniero, riporta[2] come i medici vengano licenziati in massa, lasciando migliaia di posti vacanti. Dato confermato da BMSF, secondo cui dopo le proteste almeno 200 lavoratori della sanità sono stati licenziati: “Tra di loro vi sono anche professionisti riconosciuti, membri di società scientifiche europee e internazionali a capo dei più importanti centri medico-universitari del Paese” sottolinea Pilipchik. Le ragioni non sono legate all’attività medica svolta bensì “al fatto di essersi dichiarati contro la violenza verso i civili e aver rifiutato di creare pressione nei confronti dei dipendenti che hanno partecipato alle proteste”. Licenziamenti arbitrari che hanno notevoli conseguenze se, secondo i dati del Ministero del Lavoro e della Protezione Sociale bielorusso, restano scoperte 3956 posizioni di medico e 3416 infermieri. “Più di 260 medici e infermieri sono stati detenuti durante le proteste del 2020” continua l’attivista, “alcuni sono stati vittime di pestaggi, multe e periodi di incarcerazione per ragioni amministrative dai 3 ai 110 giorni”. Secondo BMSF, i medici bielorussi hanno scontato complessivamente più di 5.500 giorni di detenzione. In carcere, molti, hanno contratto il coronavirus.
Come racconta il rapporto di Amnesty International, uno dei casi più conosciuti è quello di Artsyom Sorokin, un medico anestesista che si trovava in servizio al pronto soccorso quando il giovane Raman Bandarenka venne portato dalla polizia in gravi condizioni dopo essere stato picchiato da alcuni agenti in borghese. Il medico informò una giornalista del principale sito di news indipendente bielorusso, Tut.by, da tempo oscurato, che il referto ufficiale era falso: il giovane manifestante, morto dopo un giorno di agonia, non aveva un tasso alcolemico al di fuori della norma, come dichiarato dalle autorità. La notizia venne diffusa dalla reporter Katsyaryna Borisevich. Nel marzo 2021 Sorokin è stato condannato a due anni di carcere, con la sospensione di un anno, e una multa di 575 dollari. La giornalista, invece, a sei mesi in una colonia penale.
Un altro medico, raggiunto via Telegram dalla scrivente, è fuggito in Ucraina prima dell’inizio della guerra. Anche lui, catturato dopo aver partecipato alle proteste, ha lasciato il Paese perché attivo in un sindacato indipendente: “Sono stato arrestato due volte. La prima nel 2020, ma sono stato rilasciato subito. Dopo questo fatto, il primario del mio reparto mi disse che restare nel sindacato voleva dire un nuovo arresto. ‘È una tua scelta’ furono le sue parole. Infatti, nel novembre 2021, dopo l’arresto e un processo di 15 minuti in cui mi sono stati contestati i motivi politici, sono stato condannato a un mese di detenzione ad Akrestina”. Riguardo a quel periodo, il medico, un ginecologo di 32 anni, afferma: “Eravamo 12 persone in quattro metri quadrati e ci veniva concessa un’ora d’aria alla settimana. Non ci venivano consegnati i beni di prima necessità portati dai famigliari. Mi hanno recapitato la prima lettera di mia moglie soltanto dopo una settimana. Tuttavia, credo di essere stato fortunato perché ho avuto un letto, del cibo e non mi hanno picchiato”.
Una “fortuna” che non è toccata invece a un altro medico, Kanstantsin (nome di fantasia), citato nel rapporto di Amnesty: picchiato durante le proteste antigovernative dell’agosto 2020, nonostante avesse subito una grave ferita ad una gamba, è stato costretto a rimanere inginocchiato per quattro ore alla stazione di polizia, imprigionato con altri 30 detenuti in una cella da dieci e rimasto senza cibo per 24 ore. Durante nove settimane di detenzione, Kanstantsin è stato ripetutamente picchiato, in un’occasione anche con il viso coperto da un cappuccio. Dopo il rilascio, alla fine del 2021, il ginecologo, seguendo il consiglio di persone bene informate, fugge con la moglie a Kyiv. Qui inizia a soffrire di attacchi di panico. “Già a Minsk mi svegliavo prima delle 5 del mattino senza aver messo la sveglia: la polizia bielorussa arriva nelle case ad arrestare le persone intorno alle 6. È come se mi stessi preparando al peggio”. L’intervista, rilasciata all’autrice dell’articolo nel febbraio di quest’anno, si svolge quando il medico si trova a Odessa, dove tuttora lavora in un centro medico privato. Sempre nel febbraio di quest’anno, dalla capitale bielorussa, via Zoom, un’infermiera di 23 anni, attiva nel pronto soccorso durante l’agosto 2020, mi racconta da casa la sua esperienza di detenzione a un anno dall’arresto: “Nel gennaio 2021 ero con un’amica nei pressi del luogo dove è stato ucciso il primo manifestante durante le proteste, Alyaksandr Taraikouski. Indossavo una sciarpa bianca e rossa, i colori della storica bandiera nazionale bielorussa diventata il simbolo della protesta e proibita dalle autorità. Il giudice ci ha condannate a 25 giorni: siamo state nel carcere di Akrestina con l’accusa di manifestazione non autorizzata”.
La giovane mi racconta di essere stata reclusa in una cella da sei persone con altri 23 detenuti: “Eravamo senza ossigeno, sdraiarsi per terra era l’unico modo per riuscire a respirare. Per punizione le persone venivano lasciate all’aperto per ore con -20 gradi e rientravano in cella congelate. Molti si sentivano male, ma il medico veniva solamente se c’era il rischio di morire di lì a pochi minuti. In più, sul pavimento della cella, le cui finestre erano sempre chiuse e il cui spazio era occupato quattro volte la capienza, veniva gettata ogni giorno la candeggina. L’aria, così, diventava del tutto irrespirabile, la cella era una camera a gas. Un giorno, una ragazza allergica al cloro ha avuto una crisi per la quale sarebbe morta se un medico non fosse arrivato in tempo con l’adrenalina”. Dopo essere stata licenziata dal pronto soccorso, da quest’estate l’infermiera, ricontattata in agosto, mi racconta di aver iniziato a lavorare in un altro settore, ma di non aver certo dimenticato quanto visto due anni fa. “Ero in turno al pronto soccorso quando è arrivata una chiamata verso l’una di notte dal carcere di Akrestina: un uomo con un trauma cranico di gravità media doveva essere portato all’ospedale. Siamo andati e lì abbiamo visto persone inginocchiate davanti alle pareti e ai cancelli con evidenti segni di pestaggio. Sentivo le urla delle persone che venivano torturate”. Chiedo se è rimasta traccia di queste chiamate: “I tabulati di queste richieste devono essere registrati sia dal carcere sia dal sistema informatico del pronto soccorso, ma non è escluso che siano stati cancellati dalle autorità”. L’operatrice sanitaria racconta che il primario del suo reparto, senza darle alcuna motivazione, non le ha rinnovato il contratto. Forse perché portava appuntate sui vestiti delle spille bianche e rosse: “Aveva paura di perdere il posto di lavoro in quanto una sua dipendente esternava la sua posizione politica. Temeva delazioni da parte dei pazienti”. Il ginecologo fuggito a Odessa spiega che “se un paziente pensa che il trattamento o la diagnosi stilata non sia corretta, i medici non hanno nessuno che li tuteli da possibili cause. Se il mio paziente dovesse morire o avere dei problemi dopo un intervento chirurgico, l’unico responsabile nei suoi confronti sono io. Il sistema sanitario e lo Stato non hanno responsabilità. Medici e infermieri non hanno alcun meccanismo di protezione perché in Bielorussia la “tutela legale” è un concetto che non esiste: il sindacato ufficiale è una struttura totalmente politica che non fa nulla per risolvere i problemi della sanità, ma ha solo l’obiettivo di controllare l’attività di lavoratori e medici”.
Secondo i dati pubblicati dall’OMS[3], in Bielorussia dal 3 gennaio 2020 ad oggi vi sono stati 994.037 casi di Covid-19 con 7.118 decessi e un totale di 15.582.410 dosi di vaccino somministrate. Tuttavia, Pilipchik di BMSF sostiene come le statistiche ufficiali fornite dal governo siano false. Quando è iniziata la pandemia, l’ex presidente ha negato completamente l’esistenza del virus e i medici non avevano i presidi per proteggere sé stessi e i familiari dal contagio. “Durante la prima ondata di Covid lavoravo a Minsk – racconta – conosco la situazione in prima persona. Tutti gli ospedali hanno dovuto dare priorità ai ricoveri per le persone infette e non eravamo assolutamente preparati. Siamo stati aiutati da molti volontari che facevano raccolte fondi per portarci materiale, cibo, acqua, mascherine, ossigeno. Credo che in Bielorussia nessuno conosca veramente quale sia la reale situazione. Noi medici sappiamo che le cifre possono essere superiori di dieci volte rispetto a quanto dichiarato nelle statistiche ufficiali”. La Ong Viasna, considerata agente straniero, denuncia 1.327[4] prigionieri politici nell’unico stato nel cuore dell’Europa dove vige ancora la pena capitale e dove, secondo Our Word in Data, vi è il più alto tasso di suicidi dell’area europea, quasi doppio rispetto alla media mondiale – Figura 1 [5].
Figura 1. Tasso di suicidi (per 100.000 abitanti), 1990-2019
A gennaio di quest’anno la BMSF ha presentato al 71° International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights (CESCR), svoltosi a Ginevra, l’Alternative Report on Healthcare System of Belarus riportando i dati che la sua presidente ha qui raccontato. Le osservazioni conclusive del meeting delle Nazioni Unite rimarcano preoccupazione per le “denunce di violazioni del diritto al lavoro in settori quali l’assistenza sanitaria per penalizzare coloro che hanno partecipato alle proteste pacifiche e ad altre iniziative per esprimere opinioni, anche politiche, non gradite al governo”. Inoltre, il rapporto dell’incontro evidenzia come le informazioni da parte dello Stato bielorusso, che si è fatto garante per la fornitura di dispositivi di protezione personale per il reparto medico-sanitario, siano scarsamente attendibili dopo numerose segnalazioni che indicano come ciò non sia realmente avvenuto, sia nei confronti di medici e infermieri sia dei lavoratori in tutti i settori.
Federica Lavarini, Giornalista scientifica
Per questo articolo ha collaborato come interprete in un’intervista Ekaterina Ziuziuk, presidente dell’Associazione bielorussi in Italia Supolka Italia. I nomi del medico e dell’infermiera sono stati omessi per ragioni di tutela degli intervistati.
[1] Belarus: crackdown on medics. ‘Do you want one of your children to disappear?’, Rapporto Amnesty International, giugno 2021 (https://eurasia.amnesty.org/wp-content/uploads/2021/06/belarus-crackdown-on-medics.pdf )
[2] https://belsat.eu/news/02-09-2022-lekary-masava-zvalnyayutstsa-u-kraine-tysyachy-vakansiyau-medpersanalu/
[3] https://covid19.who.int/region/euro/country/by (consultato il 28 settembre 2022)
[4] https://prisoners.spring96.org/en (consultato il 29 settembre 2022)
[5] https://ourworldindata.org/grapher/suicide-death-rates?tab=chart&country=BLR~ITA~OWID_WRL~European+Region+(WHO)