La vergogna dei “porti sicuri” di Wladimiro Zagrebelsky
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- 12 Gennaio 2023
La vergogna dei “porti sicuri” di Wladimiro Zagrebelsky
La Stampa del 12 gennaio 2023
Una legge può indirizzare la condotta di coloro cui si rivolge e chiaramente indicare la volontà del legislatore. È la sua funzione. Oppure può coprire di parole, da cui magari non si può dissentire, una volontà non detta, fatta filtrare come un messaggio per chi deve intendere. Una volontà che emerge poi dalla condotta concreta delle autorità dello Stato. Fa così il primo decreto legge di quest’anno, che detta nuove norme di condotta per le navi che “effettuano in via sistematica attività di ricerca e di soccorso in mare”: le navi delle Organizzazioni non governative che incrociano nel Mediterraneo, alla ricerca dei gommoni che si avventurano verso le coste italiane. Sotto l’edificante elenco delle Convenzioni internazionali sul diritto del mare, sui diritti fondamentali delle persone e sulla lotta al traffico di essere umani, cui si dichiara che le autorità italiane si atterranno, si svolge il lungo elenco degli adempimenti a cui quei salvatori tra le onde si dovranno attenere. Non sempre il comportamento dei comandanti delle navi è strettamente descritto, così che non vi siano margini discrezionali per una autorità che voglia contestare violazioni. Ciò è tanto più preoccupante perché il decreto contiene sanzioni amministrative che stabiliranno i prefetti – organi del ministero dell’Interno – e saranno accompagnate dall’immediato fermo amministrativo della nave, che ne fa cessare la navigazione. Il fermo è stabilito, non quando la violazione sarà accertata e la sanzione diviene definitiva, ma già al momento della contestazione della violazione. Inutili o quasi i ricorsi.
Le regole imposte ai comandanti delle navi sembrano tendere a scopi diversi, e prese una per una possono anche manifestare esigenze positive, che però paiono di ben dubbia ragionevolezza nel loro complesso.
È il loro insieme che rivela lo scopo della nuova legislazione: disciplinare per restringere l’attività di salvataggio di vite in mare, renderla più costosa per chi la svolge, imporre lunghi periodi di fermo delle navi o distoglierle dall’opera di soccorso.
Che questo sia lo scopo delle norme, è detto chiaramente, non nel testo che si legge sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, ma nelle dichiarazioni rivolte al pubblico, ove si dicono cose sconcertanti, come quella del ministro dell’interno, secondo il quale si tratterebbe di impedire a privati di sostituirsi agli organi dello Stato.
Impedire, appunto. Ma il lavoro di soccorso che fanno le Ong si aggiunge e non sostituisce quello di servizio svolto in mare dalla Guardia Costiera e dalla Guardia di Finanza. Un servizio notevole, ma evidentemente insufficiente poiché dove sono le Ong non ci sono le navi dello Stato.
E d’altra parte la vera novità si trova nelle decisioni governative di assegnazione del Porto Sicuro che, secondo le Convenzioni internazionali, la nave richiede per sbarcare le persone soccorse: non più porti di Sicilia, Calabria o Puglia, ma – lo vediamo in questi giorni – Ancona. E poi forse vedremo Genova o Trieste: il più lontano possibile, in modo da impegnare le navi in lunghi viaggi e costringere le persone imbarcate ad attendere ancora la conclusione del soccorso. Così i costi affrontati dalle navi crescono e la loro presenza sui luoghi in cui i salvataggi si compiono si riduce. Per raggiungere un tale scopo il decreto legge impone a ciascuna nave, dopo aver imbarcato i naufraghi, di recarsi subito al Porto Sicuro indicatole dalle autorità, senza imbarcare altre persone bisognose di soccorso e senza trasferire ad altre navi quelle già prese a bordo. Lo scopo è evidente: fare viaggiare inutilmente e lungamente le navi. Della salute delle persone imbarcate non ci si preoccupa, anche se spesso sono in condizioni precarie. D’altra parte, questo governo, fin dai suoi primi giorni, ha provato ad adottare una soluzione meno sofisticata di quella attuale, come è stata quella di negare puramente e semplicemente lo sbarco in Italia, lasciando le navi con la gente a bordo ad attendere in mare. L’operazione – che non potrà essere dimenticata – si è conclusa con l’isolamento dell’Italia in Europa (con la lezione data dalla Francia) e una completa ritirata, tanto evidente e addirittura ostentata era la violazione delle norme europee e internazionali in materia. È anche possibile che questa o quella disposizione contenuta ora nel decreto legge, in sé e in astratto, non sia illegale (anche le leggi possono essere illegali, quando sono contro la Costituzione o contro le Convenzioni internazionali di cui l’Italia è parte) e ricada in una zona in cui prevale la discrezionalità degli Stati. Tuttavia la valutazione puramente giuridica non è l’unica che si impone. Vi è anche quella che porta a una critica sul piano politico e morale.
Il governo ha manifestato l’intenzione di usare i migranti salvati dalle Ong come strumento di un messaggio cinico e crudele: non provate ad attraversare il mare poiché vi renderemo la vita difficile, a voi e alle organizzazioni che operano per salvarvi. L’uso delle persone e dei loro corpi per perseguire uno scopo politico, quale che esso sia, è vergognoso, inumano e degradante.